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December 13, 2015
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Natale all’italiana: il Centro

Paola OrricobyPaola Orrico
Time: 12 mins read

Dopo la parte dedicata al Nord, il nostro giro virtuale del Belpaese all’insegna delle tradizioni natalizie prosegue al Centro Italia, un viaggio fra usanze e sapori ancora tanto cari agli italiani. Abbiamo visto, infatti, che un omogeneo Natale all’italiana in realtà non esiste, proprio perché diversi e variegati sono gli usi e i costumi tradizionali di ogni regione, inclusa la gastronomia tipica delle feste. Per questo la nostra guida alle tradizioni natalizie italiane si muove alla scoperta delle diversità regionali per non farvi cogliere impreparati dall’arrivo delle feste e magari, perché no, approfittare di una simpatica gita fuori porta in uno dei periodi più magici dell’anno. E dato che, lo dicevamo, il nostro adagio potrebbe riassumersi in “regione che visiti tradizione natalizia che trovi”, continuiamo il nostro tour passando in rassegna, questa volta, le regioni del Centro Italia.

Emilia Romagna

t1Durante il periodo pre-natalizio c’è un vero e proprio fiorire di mercatini, feste e tradizioni locali, associate a iniziative di nuova concezione, oltre che presepi caratteristici. E a proposito di presepi, sui generis è quello che viene allestito a Cesenatico: al posto di paesaggi naturali, grotte, sentieri aperti di muschio, ruscelli fatti con fogli di alluminio, pastori e pecorelle a zonzo, vi spiccano Bragozzi, Battane, Lance, Trabaccoli Paranze e Barchét, ossia, le antichissime imbarcazioni dell’Adriatico. Diffuse sono anche le varie fiere natalizie, a Bologna, Ravenna, Piacenza, Modena: ogni anno, nelle principali piazze, vengono allestiti spettacoli per bambini (ma non solo), con saltimbanchi, giocolieri e intrepidi “mangiafuoco”.

Ma quali sono le pietanze più diffuse sulle tavole dell’Emilia-Romagna in questo periodo? I mitici tortellini (ripieni di prosciutto, mortadella di Bologna, Parmigiano, maiale e uova) in brodo di cappone – a Bologna, in particolare, ci sono i tortellini più piccoli che ricordano un ombelico (si dice che quando un bolognese mangia i tortellini in brodo rimanga zitto fintanto che non ha finito); il bollito misto, accompagnato da fagioli, purea di patate e mostarda; la soppressa all’aceto; la coppa piacentina; i cappelletti, di cui in Romagna esistono due versioni: una povera (o “di magro”) ripiena di ricotta e bazzotto (un formaggio a pasta tenera), e una grassa, a base di carne, da servire rigorosamente con brodo di gallina vecchia o cappone, e poco manzo magro; il formaggio di fossa con la Saba (mosto cotto e aromi naturali).

Tra i dolci, invece, spicca fra tutti, il Panone di Natale di Bologna, un dolce tipico a base di farina, mostarda di mele, cacao, cioccolata fondente e fichi secchi.

Liguria

t2L’alloro, tipica e profumatissima pianta natalizia, rappresenta ancora oggi il culto del Natale ligure, un simbolo bene augurante che già secoli fa veniva utilizzato in diverse occasioni, durante le festività, per propiziare e benedire. Il giorno della vigilia lo si utilizzava per addobbare la casa con decorazioni fatte con bacche di ginepro, rametti di ulivo, maccheroni, noci e nocciole. Il giorno di Natale, poi, il Pandolce (infornato con la classica croce impressa a mano sull’impasto) veniva decorato con un ramoscello d’alloro, in genovese chiamato “u çimello”. In tale occasione, il componente della famiglia più giovane, toglieva il rametto e tagliava il Pandolce, mentre il più anziano serviva le porzioni a tutti lasciando però due fette da parte, che venivano custodite rispettivamente per il primo viandante che bussasse alla porta, e per San Biagio, il protettore della gola festeggiato il 3 febbraio. Sul piano del focolare si lasciava, poi, ardere il ceppo d’olivo o d’alloro, che bruciava lentamente fino a Capodanno, simbolo del vecchio anno che stava per terminare.

Un tempo, per Natale, un ramo dall’alloro veniva donato dalle lattaie, che dalle colline dell’immediato entroterra genovese portavano il latte nelle famiglie, ma anche dai macellai e i rosticcieri, che lo usavano per adornare la loro bottega. Al di là delle diverse simbologie che il ramo d’alloro ha sempre portato con sé, per sua natura è un sempre verde, è simbolo cristiano della vita eterna e, nel caso particolare del Natale, della nuova vita portata con l’avvento del Redentore.

In tema di tradizioni a tavola, invece, in passato sulla tavola natalizia venivano posti degli elementi simbolici che avevano un carattere propiziatorio: una manciata di sale, un pane bianco destinato ai poveri e uno per gli animali, un mestolo forato (cassoa) e uno “scopino di erica” benedetto nella messa di mezzanotte. Negli stessi versi del poeta e drammaturgo genovese Nicolò Bacigalupo, troviamo sintetizzato il simbolo del Natale Ligure: “Senso della famiglia, parsimonia ligure, previdenza e amore”.

Piatti tipici natalizi liguri? La zuppa di cavolo nero; il baccalà mantecato con le patate; la “fugassa” genovese (che deve essere, per tradizione, minimo alta 2 cm), i natalizi (o natalini) in brodo di cappone, che verrà poi servito con salsa di noci o mostarda; il coniglio alla genovese.

Passando ai dolci, abbiamo il celebre Pandolce, i canestrelli, gli anicini e il castagnaccio.

Lazio

t3Sul Lazio, per la ricchezza di tradizioni locali, ci sarebbe da aprire un capitolo a parte. Concentrandoci solo su Roma, vediamo che durante il periodo festivo la città si veste letteralmente a festa, rivivendo gli antichi fasti con un tripudio tale di luci e suoni natalizi che gli stessi luoghi storici e i monumenti (come il Colosseo, l’Altare della Patria, Piazza di Spagna, Piazza Navona e, non ultima San Pietro) sembrano avere nuova vita. Il Santo Natale, a Roma, non può che essere speciale.

L’otto dicembre, il Pontefice raggiunge Piazza di Spagna e porta i fiori alla statua della Madonna, che si trova in cima alla colonna di fronte alla chiesa di Trinità dei Monti. È una delle tradizioni più sentite dai romani, un appuntamento fisso che si tramanda da anni e che attira sempre numerose persone; è il passaggio tradizionale che segna l’inizio ufficiale dei festeggiamenti natalizi. Altro due eventi che rendono unico il Natale romano sono la messa della vigilia in Vaticano, la cosiddetta “messa di mezzanotte”, seguita la mattina del 25 dal messaggio pastorale del Pontefice, entrambi affollatissimi di fedeli italiani e stranieri. Ogni chiesa, poi, si arricchisce di presepi artistici di fine fattura (molti antichissimi); nella Sala del Bramante a Piazza del Popolo, vengono ospitati durante il periodo natalizio un centinaio di presepi, opere di artisti e artigiani provenienti da tante collezioni private e paesi diversi.

Anche nella capitale abbondano i mercatini di Natale capitolini. Celebre è quello allestito a Piazza Navona, che inizia il Giorno dell’Immacolata e dura fino al 6 gennaio, ma degni di menzione son anche quelli di Piazza Re di Roma e di Piazzale Ankara (non lontano dallo stadio Flaminio), dove è possibile trovare numerosi prodotti del commercio equo solidale, con tanto di “riffe” di beneficenza e degustazione di prodotti tipici.

Il menù festivo del Lazio, è ricco di sapori genuini e piatti caratteristici che spaziano dalla verdure, fino al pesce e alla carne. Fritture di verdure in pastella, come broccoli, zucchine, carciofi, ma anche mele; zuppa di broccoli e arzilla (razza chiodata); baccalà fritto e anguilla cotta in umido; cappelletti in brodo o la cosiddetta “stracciatella”, fatta con un uovo; abbacchio al forno con patate, tacchino ripieno di castagne e salsiccia, e la celebre coda alla vaccinara.

I dolci della tradizione laziale sono il “pangiallo” (impasto di frutta secca, farina, candidi, miele e cioccolato) e la “nociata” laziale (per differenziarla da quella umbra), un torrone fatto in casa con le noci e il miele, caratteristico delle aree interne e rurali.

Marche

t4Anche le Marche seguono una tradizione ormai collaudata (di importazione nordica) fatta di mercatini folcloristici nei borghi antichi e allestimenti di presepi viventi in molti paesini. Fra i mercatini più originali, bisogna menzionare la “Candelara” di Pesaro, che si svolge nell’antico borgo medievale sulle colline attorno a Pesaro. È il primo mercatino natalizio italiano dedicato alle candele. Ogni anno, migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia giungono a Candelara per ammirare la suggestiva e particolarissima festa dedicata alle candele: ogni sera la luce artificiale viene spenta per lasciare posto a migliaia di fiammelle accese che illuminano il paesino, una luce calda e rassicurante che crea un’atmosfera unica ed imperdibile. Se vi trovate a Candelara in questo periodo dell’anno, vale la pena percorrere la Via dei Presepi, dove è possibile ammirare natività realizzate da artigiani di ogni parte d’Italia con i più diversi materiali (cera, legno, pietra, terracotta, ceramica, argento, sughero), piccole opere di artigianato rigorosamente “home made”.

Per i più piccini o per chi ancora vuol sognare assieme a i propri figli o nipoti, a Frontone è da visitare l’antico castello del borgo (XI sec), che ogni anno diventa la dimora di Babbo Natale: il tour parte da Piazza del Municipio, dove i visitatori sono condotti con le navette sotto il maestoso Albero di Natale e successivamente accompagnati al Castello, ovattato in una atmosfera unica e magica, per poi finire castagne, vin brulé e dolciumi vari.

A San Severino Marche, invece, ogni anno durante il periodo natalizio si svolge un’iniziativa all’insegna della tradizione e del risparmio: gli abitanti del paese allestiscono in Piazza del Popolo un vero e proprio bosco urbano, una zona verde composta dagli alberi di Natale, portati da generosi benefattori, e addobbata con ghirlande e luci riciclate dalle case degli abitanti stessi. Un tripudio di luci e colori.

Dando un’occhiata ora ai piatti tipici delle feste natalizie, cos’è che non può mai mancare sulle tavole marchigiane? Tra i primi: i maccheroncini di Campofilone in sugo; i cappelletti in brodo di carne, il vincisgrassi (timballo di manzo macinato, salsiccia, pollo tritato, prosciutto crudo); gli spaghetti al sugo di magro. Fra i secondi: il cappone arrosto, l’anguilla arrosto o in umido, lo stoccafisso all’anconetana.

Per quanto riguarda i dolci, invece: la “Pizza de Natà” (una pasta di pane con frutta secca, uvetta, cioccolato in polvere, limone e arancio grattugiati, fichi e zucchero) e il “Fristingo”(un impasto di fichi, cioccolato, canditi e frutta secca).

Abruzzo

t5Gli abruzzesi sono un popolo molto osservante delle antiche tradizioni, presenti sul territorio da secoli, e celebrano ogni anno innumerevoli feste di origine sia religiosa che pagana, spesso collegate con la cultura contadina e pastorale.

Un’usanza molto diffusa è l’allestimento di presepi viventi in quasi tutti i paesini abruzzesi, a cui partecipano attivamente gli stessi abitanti. Non si tratta di allestimenti improvvisati, ma di vere e proprie opere teatrali locali e itineranti, con tanto di processione per il paese, la cui preparazione tiene occupati gli abitanti anche nei mesi pre-festivi. Viene allestita una grotta con la Sacra Famiglia, il bue e l’asinello, e molti degli abitanti vengono coinvolti per dare vita ai pastori, accompagnati dalle fedeli pecorelle, e agli zampognari, che animano il villaggio.

Un’altra antichissima tradizione che contraddistingue il Natale abruzzese la troviamo a Lanciano, in provincia di Chieti, ed è la Squilla, una tradizione risalente al 1607, quando Paolo Tasso, allora arcivescovo di Lanciano, iniziò un pellegrinaggio penitenziale a piedi per rievocare il cammino di Giuseppe e Maria verso Betlemme; una processione che veniva accompagnata dalla “squilla”, cioè dal suono delle campane delle chiese.ÔÇ¿ Verso l’imbrunire del 23 dicembre, le vie della cittadina oggi si popolano di gente che va e viene; poi alle 18 la campana posta sulla torre civica comincia a suonare dando il segnale a tutte le altre chiese della città che di lì a un’ora cominceranno a scampanare per l’inizio della festa. Tutto si svolge in un’ora perché alle 19 i lancianesi corrono nelle loro case dove li attende il caldissimo “rito familiare dell’abbraccio”: tutti i familiari si ritrovano nella casa del più anziano per dare inizio al rito domestico, che si svolge in un clima affettuoso e di rispetto.

Di valore simbolico, ma anche pratico, il fuoco ha un ruolo da protagonista in molte usanze natalizie abruzzesi. In alcuni comuni si svolge il “rito del Ceppo”: all’inizio dell’inverno, quando le famiglie si procurano la legna per scaldarsi, mettono da parte il tronco dell’albero più grande per bruciarlo durante la notte della Vigilia; in questo modo ci si assicura di avere la casa calda durante tutta la notte. Frequenti sono anche i falò che “illuminano” la via della prossima natività e riscaldano il cammino dei pellegrini; Famoso è quello di Netito, vicino a Teramo, che si accende il giorno della Vigilia e viene alimentato dagli abitanti del paese, ogni giorno fino all’Epifania.

Il menù festivo delle feste abruzzesi comprende, come piatti tipici: la minestra di cardi; la zuppa di castagne e ceci, le lasagne con carne macinata, mozzarella e parmigiano; le “scrippelle m’busse”, cioè bagnate, immerse in un leggero brodo di pollo dopo essere state cosparse di parmigiano o pecorino d’Abruzzo stagionato e arrotolate; l’agnello arrostito o bollito di manzo.

Come dolci, i “calcionetti” fritti (panzerottini dolci con marmellata d’uva nera, noci e mandorle tritate, mosto e cacao), e le “ferratelle” (ostie con ripieno di mandorle, noci e miele).

Umbria

t6La regione che diede i “natali” a San Francesco D’assisi vive letteralmente durante il periodo pre-natalizio e natalizio una rinnovata spiritualità, diffusa in ogni paesino del territorio. Francesco, difatti, è considerato comunemente il “padre del presepio” poiché nel lontanissimo Natale del 1223 fece il primo presepio in un bosco, proprio per rappresentare con estrema umiltà e verità le condizioni reali in cui nacque Gesù Bambino. Papa Onorio III gli permise di uscire dal convento di Greggio affinché potesse erigere una mangiatoia all’interno di una caverna in un bosco, e portarvi un asino e un bue viventi, ma senza la Sacra Famiglia; poi tenne la sua famosa predica di Natale davanti a una grande folla di persone, rendendo così accessibile e comprensibile la storia del Natale a tutti coloro che non sapevano leggere.

Nelle nelle città umbre, durante il mese di dicembre, si assiste a un vero e proprio fiorire di alberi di Natale, presepi ad altezza naturale e presepi viventi, tutte opere realizzate grazie al contribuito volontario di tante persone. In occasione del Natale, tutte le chiese dell’Umbria celebrano solenni liturgie e numerosi luoghi di culto sono allietati da concerti di musica sacra e cori natalizi. In contemporanea, si possono ammirare presepi artistici di grande pregio e presepi viventi in molti centri.

Di particolare suggestione è l’Albero di Natale di Gubbio, il più grande al mondo (entrato nel Libro dei Guinness dei primati nel 1991). Situato sulle pendici dell’Ingino, il monte che sovrasta la medioevale città di Gubbio, l’albero è costituito da corpi illuminanti di vario tipo che, insieme, realizzano un effetto cromatico assolutamente particolare ed unico: oltre 250 punti luminosi di colore verde delineano la sagoma di un albero alto oltre 650 metri, con il corpo centrale disseminato di oltre 300 luci multicolore e con, installata alla sommità, una stella della superficie di circa 1.000 metri quadri, illuminata da oltre 200 punti luminosi. Resta acceso per tutto il periodo natalizio e viene spento dopo l’Epifania. L’Albero di Natale di Gubbio vine realizzato ogni anno da un gruppo di “Alberaioli” che compiono questa azione non per una ricompensa, ma per amore verso questo simbolo di fratellanza e di amicizia e per pura dedizione al patrono San Ubaldo e alla città di Gubbio.

Un’altra opera “faraonica” è la stella luminosa di Miranda, che ogni anno, dall’8 dicembre e per tutto il periodo delle festività, illumina Terni: 105 metri di diametro e 350 metri di coda, per una superficie complessiva di 30.000 metri quadrati. Nel suo genere, è l’installazione più grande del mondo, e viene naturalmente concepita come portatrice di un messaggio di pace e di speranza, per tutti.

Sulle tavole umbre, a Natale, non possono mancare: i cappelletti ripieni di cappone e piccione; gli spaghetti alla nursina (con tartufo); il cappone bollito con contorni di cardi umbri; l’agnello in umido.

Come dolci: il panpepato (farina, noci, cioccolato fondente, mandorle, scorza di arancia candita, uva passa, miele, pinoli, nocciole, pepe macinato e vino rosso); le pinoccate (fatte di zucchero e pinoli); il torciglione (serpentello di pasta dolce con le mandorle).

Toscana

t7Nell’ambito delle tradizioni natalizie, si colloca una tradizione diffusa in varie regioni italiane, principalmente in Toscana e il Piemonte. È la “Festa del Ceppo”, simbolicamente legata alla tradizione dell’albero di Natale, con un significato tutto da scoprire. In ogni parte della Toscana rurale, per esempio, tutte le famiglie si riunivano la sera della vigilia di Natale, mettevano un ceppo nel camino e tutti insieme invitavano il ceppo a rallegrarsi, perché l’indomani sarebbe stato il giorno del pane, descrivendo poi uno scenario in cui l’abbondanza del vino, del grano e degli armenti, avrebbe evidenziato la particolarità del giorno che stava per arrivare, ossia il giorno di Natale. Dopo aver pronunciato una preghiera celebrativa, i bambini venivano bendati, si avvicinavano al camino e battevano con le molle sul ceppo, recitando la cosiddetta Ave Maria del ceppo, al termine della quale ricevevano dolci e regali.

Era consuetudine pensare che il ceppo si sarebbe ridotto in cenere, a poco a poco, durante le 12 notti tra il Natale e l’Epifania. Queste 12 notti rappresentavano i 12 mesi dell’anno, nel corso dei quali il sole che rinasceva (il ceppo) avrebbe nutrito gli uomini e l’universo intero attraverso la sua luce e il suo calore. Il ceppo, in tal senso, allora non era altro che il simbolo di Cristo, del sole o dell’albero cosmico che unisce cielo e terra e che offre nutrimento attraverso i suoi doni spirituali e materiali, a seconda di come li si voglia interpretare. Questo è dunque anche il significato dei dolci che i bambini ricevevano quando battevano il ceppo e lo stesso significato va attribuito al fatto che si diceva che l’indomani sarebbe stato il giorno del pane. Il pane e i dolci rappresentano quindi, a livello simbolico, il nutrimento spirituale e materiale che si elargiva loro.

Il ceppo non era posto semplicemente sul fuoco e incendiato, ma veniva benedetto, ornato, cosparso di vino, o di grasso, burro e acceso dal capo famiglia. A questa nuova entità che veniva ad abitare per poco la casa, si collegavano usanze varie, tra le quali la più conosciuta e vistosa era quella di portare doni ai bambini. Questi regali (si trattava di cose semplici, come dolci, frutta, modesti giocattoli) si potevano disporre sopra il ceppo stesso nella mezzanotte del Natale, se le dimensioni lo permettevano, oppure si facevano cadere in vari modi o dal camino o da qualche altra apertura.

Fiabesca è l’atmosfera che si respira un po’ in tutti in borghi le città d’arte della Toscana. In molti paesini, ogni anno, si ripete una delle più belle tradizioni natalizie, quella delle fiaccole. La sera della vigilia i paesi si animano di canti popolari e del calore del fuoco dei falò accesi, che conducono abitanti e turisti in un viaggio indietro nel tempo. Si tratta di una tradizione millenaria che affonda le sue radici nella Notte dei Tempi, prima dell’anno Mille, quando gli abitanti dei villaggi e quelli dei borghi lungo la Via Francigena si ritrovavano lì per la messa di mezzanotte. I fuochi erano accesi per illuminare la strada e mantenere la popolazione al caldo. Famosa è la “benedizione del fuoco”, una sorta di rito pagano propiziatorio del raccolto, che ripreso dalla tradizione cristiana assurge a un rito di purificazione dai pericoli dell’anima: il male e le tentazioni. I festeggiamenti ancora oggi si concludono in piccoli chioschi accanto ai fuochi che offrono dolci tipici e vin brulé.

La cucina toscana delle feste è fatta di sapori semplici e delicati. Si prediligono i frutti della terra, come verdure e funghi, e i piatti della tradizione contadina. Il pane è l’ingrediente più amato, protagonista di ricette come focacce e schiacciatine al rosmarino o come semplice accompagnamento ai piatti di carne. A Natale viene usato per preparare l’antipasto tipico, ovvero i crostini di fegatini di pollo o le bruschette all’olio. Immancabili sulle tavole toscane: un buon piatto di brodo di carne con cappelletti fatti in casa; l’arrosto di tacchino, pollo, o anatra al forno; la famosissima ribollita e i fegatelli, di pollo o di maiale. Il tutto accompagnato da pane, insalata e un buon bicchiere di vino rosso.

Anche i dolci della tradizione toscana sono tanti e variegati: dalle pagnottelle dell’Argentario, fatte di pasta di pane con fichi secchi, uvetta, pinoli, noci e mandorle, al Panforte di Siena, ricco di mandorle e canditi; non mancano, ovviamente, anche le proposte natalizie tipiche come il panettone, il pandoro e il torrone. Il tutto accompagnato, naturalmente, dal Vin Santo.

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Paola Orrico

Paola Orrico

Parlare di sé stessi è sempre molto difficile: si rischia di scadere nel retorico o di minimizzare - facendo uno sfoggio di modestia. Citerei piuttosto una frase di Gerry Spence: “Il modo in cui le persone si muovono è la loro autobiografia in movimento.” - perché credo fermamente che siano le azioni a qualificare meglio le persone. Ho fatto tante cose, continuo a farle; sono sempre in movimento perché - nonostante la mia proverbiale pigrizia - ho una mente rumorosa. Sono una giornalista che ha studiato giurisprudenza ed una giornalista che è diventata insegnante di Italiano per stranieri. Amo moltissimo tutto ciò che significa “introspezione”: leggere, scrivere, insegnare. Possiedo una tossicodipendenza da gatti - da quando sono nata e sono attratta da tutto ciò che è ignoto ed oscuro. Forse sono un po’ Wicca inside. Sono alla perenne ricerca della Verità - perché sono una che scava finché non trova qualcosa. Sono essenzialmente una persona introversa: alle mie stranezze però ho imparato a voler bene.

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