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January 31, 2018
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January 31, 2018
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Trump spegne Trump nel discorso dell’Unione, ma il “bully” finirà come Nixon

L'astuto discorso sullo "State of the Union" forse farà guadagnare del tempo a Trump, ma questa presidenza non ha futuro nell’America che verrà

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 7 mins read

Il presidente degli Stati Uniti con il più basso indice di gradimento della storia moderna, ieri sera ha cercato di inculcare al popolo americano l’idea che solo con lui al comando l’America raggiunge i migliori risultati economici e strategici degli ultimi decenni. Donald Trump, il grande venditore, il nuovo palazzinaro vincente in politica un quarto di secolo dopo Silvio Berlusconi, è riuscito a parlare per 80 minuti (il secondo più lungo discorso dell’Unione negli ultimi 50 anni) nominando una volta sola la Russia, la potenza nucleare guidata dal regime autoritario di Putin, che oltre ad essere l’avversario strategico storico degli Stati Uniti degli ultimi 70 anni, resta al centro dell’indagine nominata appunto Russia-gate, e in cui lo special prosecutor Robert Mueller può avvalersi già di tre importanti reo-confessi che hanno fatto parte dello staff di Trump durante la sua campagna elettorale e, come nel caso del Generale Flynn, anche dentro la Casa Bianca.

Per il “discorso dell’Unione”, un Trump senza più i tic mussoliniani, che è sembrato alle volte sotto l’effetto di “calmanti”, ha letto disciplinatamente senza mai andare fuori testo, evitando i suoi proverbiali, micidiali e velenosi attacchi. E quindi senza apparire cattivo e farsi del male, ha cercato di raccontare la storiella che tutto quello che va bene in America oggi – crescita economica con record di nuovi posti di lavoro e crescita dei salari  – sia tutto merito suo, ignorando quindi i meriti della presidenza precedente, che dopo aver preso un paese finanziariamente in ginocchio nel 2008, ha realizzato per sette anni di seguito crescita economica iniziando quel ciclo di cui ora lui sta beneficiando. Siamo certi che il grande venditore  Trump, se avesse ereditato gli USA nelle condizioni che toccarono al presidente Barack Obama, dopo un anno di presidenza, nel suo discorso dell’Unione avrebbe detto: “non è colpa mia, sono solo da 12 mesi alla Casa Bianca”. 

Non abbiamo problemi a riconoscere che, tra le tante esagerazioni e le numerose bugie, qualcosa di vero Trump ha detto nel suo discorso. Come per esempio che la sua amministrazione è riuscita a portare avanti un taglio storico delle tasse, che beneficia soprattutto le aziende. Questo potrebbe portare ad un ulteriore accelerazione dell’economia con effetti anche nell’impiego e salari. Vedremo. Ma la verità è anche che per il taglio delle tasse al corporate business, i soldi mancanti al budget federale Trump li è andati a cercare da quelle proprietà immobiliari di cittadini che,  guarda un po’, abitano soprattutto negli Stati che gli hanno votato contro. Insomma le tipiche ritorsioni vendicative alla Trump che colpiranno molti americani che vivono in California e New York e che infatti non lo hanno votato e non lo voteranno mai.

Il Congresso degli Stati Uniti durante il discorso sullo “State of the Union” del presidente Donald Trump (Foto White House, D. Myles Cullen)

E’ vero, non tutto quello di cui si è vantato Trump sono esagerazioni. Quando il presidente dice che lui ha eliminato  “decades of unfair trade deals that sacrificed our prosperity and shipped away our companies, our jobs, and our nation’s wealth,” si prende i meriti per una svolta nella politica commerciale degli Stati Uniti che fino ad un anno fa eliminava posti di lavoro negli USA. Qui Trump ha impresso una politica diversa e giustamente se ne prende i meriti. Noi aggiungiamo che queste politiche antiliberiste “trumpiane”, molto lontane da quelle tradizionali del partito Repubblicano, sono frutto del sacco delle proposte di Bernie Sanders che tanta presa avevano avuto sull’elettorato del candidato alla nomination democratica. Poi Trump the great salesman, con astuzia si appropriò di certe idee essendo a caccia di quello stesso bacino di voti lasciato orfano dalla mancata nomination di Sanders, silurato dall’apparato del partito democratico che imponeva Hillary Clinton.

E’ vero che con Trump, la politica estera degli Stati Uniti nei confronti della Nord Corea, così come dell’Iran, è molto più aggressiva e, sembrerebbe, poco incline all’ “appeaseament”. Si dovrà ancora capire però quanto questa sia frutto di una strategia finalizzata all’obiettivo della pace, raggiunta da una politica estera più “assertive”, che potrebbe funzionare, o se invece è dovuta ai continui sbalzi umorali del “vecchio bully” offeso dal “rocket-man”, che invece potrebbe portare il mondo sempre più pericolosamente al precipizio di un confronto nucleare.

Quando Trump ha parlato dei “Dreamer”, i figli degli immigrati illegali arrivati qui da piccoli e che ora hanno costruito una vita negli Stati Uniti e si meritano di essere regolarizzati, non é riuscito a sopprimere la sua cattiveria, riferendosi nel suo discorso ai giovani illegali “appartenenti alle gang violente”. Si sa bene che il 99% di questi giovani si è  integrato e contribuisce ogni giorno al benessere di questo paese con il proprio lavoro e sì, alimentando ancora “il sogno americano”. Ma Trump, che dovrà cedere su questo e trovare un accordo con i democratici per una legge di condono e acquisto cittadinanza, continua a sfoderare la peggior retorica del suo essere anti-immigrati, portando anche ieri il ricatto al Congresso che, se volete salvare i vostri “dreamer”, allora dovete finanziare il muro voluto da Trump.

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump al Congresso mentre pronuncia il discorso sullo stato dell’Unione (Foto Casa Bianca, D. Myles Cullen)

Trump ieri sera ci ha anche provato a non essere Trump, cercando di far dimenticare l’essenza divisiva del suo carattere. Ha menzionato per esempio la parola “together” ben 13 volte. Non male. Ma, ne siamo certi, basterà aspettare la prossima mitragliata di twitter per accorgersi come Trump tornerà ad essere Trump. Se qualcuno si illude che dallo speech di ieri possa iniziare una nuova strategia presidenziale della “coinciliazione”, noi invece restiamo scettici e anche se la speranza non costerebbe nulla, in questo caso illudersi su Trump potrebbe diventare pericoloso.

Certo, qualcuno vorrà continuare a credere che con questo discorso dell’Unione la presidenza Trump potrebbe salvarsi da se stessa arrivando al traguardo 2020. Se fossi un supporter di Trump non ci scommetterei. Andrei a riascoltare invece il discorso dell’Unione pronunciato da Richard Nixon il 30 gennaio del 1974. Anche lui cercava far dimenticare il “Watergate”, e nel suo discorso almeno fece riferimento allo scandalo che stava per travolgerlo, chiedendo che fosse lasciato cadere. Trump ha deciso invece di non menzionare i pericoli incombenti per la sua presidenza, che confluiscono tutti sull’inchiesta guidata da Robert Mueller.

Già, resta l’ombra del “grande elefante” apparsa ieri sera nell’aula del Congresso, un enorme pachiderma che non era il simbolo della maggioranza del GOP che ipocritamente applaudiva il presidente che detesta, ma rappresenta la scomoda verità che prima o poi distruggerà ciò che Trump invano cercava di far apparire vincente: la sua presidenza.

L’amministrazione Trump non potrà mai essere discostata dal carattere dell’uomo che la guida e rappresenta. Come Nixon distrusse la sua presidenza, non per i fallimenti della sua politica (anzi in certe decisioni ancora gli storici ne riconoscono dei meriti) ma per il carattere deviato di uomo tormentato da complessi di persecuzione che gli fecero vedere nemici dappertutto fino a fargli commettere i crimini che poi lo costrinsero a dimettersi, così anche Trump è destinato ad essere l’artefice della fine del suo potere: il fatto che possa aver avuto dei successi economici durante la sua permanenza nell’Oval Office (a prescindere dai suoi reali meriti), non potrà salvarlo dal carattere dell’uomo in antitesi con l’incarico che ha. Un “bully”, uomo prepotente e quindi cattivo, come Trump ha dimostrato di essere ogni volta che ha aperto la bocca o il suo twitter account senza frenarsi, non dovrebbe mai diventare presidente del più potente paese del mondo. Basta farsi un giro a ritroso dei suoi twitter, da Charleston agli “shitholes countries”, per prevedere che Trump, in futuro, tornerà ad essere se stesso e che questo alla fine ne determinerà la cacciata dalla Casa Bianca.

Come ha con eloquenza detto il nipote di Bobby Kennedy, il giovane congressman Joe Kennedy, nel discorso di replica dei democratici che potrebbe lanciarlo come un possibile candidato alle presidenziali del 2020, “Bullies may land a punch. They might leave a mark. But they have never, not once, in the history of our United States, managed to match the strength and spirit of a people united in defense of their future.” ( “I prepotenti possono anche tirare un pugno. Possono anche lasciare un segno. Ma non sono riusciti mai, nemmeno una volta, nella storia dei nostri Stati Uniti, a raggiungere la forza e lo spirito del popolo unito in difesa del suo futuro”)

Anche per noi Trump il Bully resta l’ enorme anomalia dell’America che abbiamo imparato a conoscere e amare nei tanti anni trascorsi in questo straordinario paese. Nel carattere, come nello spirito, quest’America non potrà mai assomigliare a Trump, ma un giorno semmai sarà più vicina a quella agognata dal Bobby Kennedy del 1968 e che, a 50 anni di distanza, ha ribadito di voler credere anche il nipote Joe. Il discorso sullo Stato dell’Unione di Trump di ieri sera,  forse servirà a far guadagnare del tempo ai repubblicani prima della resa dei conti, ma per questa presidenza non c’è futuro nell’America che verrà.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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