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Morire di fame: la tragedia che sarà presto catastrofe

Alle Nazioni Unite si ripetono gli appelli per le crisi umanitaria in Yemen, Sud Sudan, Somalia e Nigeria

Viola BrancatellabyViola Brancatella
Sud Sudan fame

Donne a Ganyiel, Unity state del Sud Sudan, mentre raccolgono dei sacchi contenenti cibo. (Foto: OCHA/Gemma Connell)

Time: 4 mins read

“Una crisi umanitaria evitabile, forse peggiore di quella del 2011, sta diventando rapidamente inevitabile”, ha dichiarato Adrian Edwards, il portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati della Nazioni Unite, durante una conferenza stampa al Palazzo delle Nazioni di Ginevra l’11 aprile 2017.

La crisi umanitaria
Corno d’Africa, Yemen, Nigeria e Sud Sudan stanno attraversando una delle crisi umanitarie più gravi del secolo: le stime citate da Edwards, infatti, riportano che circa 20 milioni di persone stanno vivendo in aree colpite dalla siccità, di cui 4,2 milioni sono rifugiati, mentre il numero degli sfollati aumenta giornalmente.

“Molti rifugiati non hanno pieno accesso ai mezzi di sussistenza – ha detto Edwards – all’agricoltura, alla produzione di cibo e la loro capacità di prendere la situazione in mano e di aiutare se stessi è limitata”. Emblematico è il caso delle zone sud-orientali dell’Etiopia, dove si registra un’acuta malnutrizione tra i rifugiati somali, soprattutto fra i bambini di età tra i sei mesi e i cinque anni, con una percentuale altissima (tra il 50 e il 79 per cento).

Anche in Sud Sudan le percentuali di bambini tra i nuovi arrivati è altissima, raggiungendo il 62 per cento, mentre 100,000 persone sono in grave difficoltà alimentare e un milione di persone è sull’orlo della carestia. In Somalia, da novembre 2017 sono state individuate circa 500,000 persone sfollate, mentre in Yemen, gravemente colpito dalla guerra civile, la situazione umanitaria continua a peggiorare: 19 milioni di persone hanno bisogno di aiuto umanitario e 9 milioni sono a rischio denutrizione.

Gli effetti collaterali

In alcuni casi la situazione sta peggiorando, a causa dei nuovi esodi, delle crisi economiche, della perdita del raccolto e soprattutto dei conflitti. La mancanza di cibo, inoltre, crea un ulteriore effetto collaterale tra i giovani: gli studenti lasciano la scuola in massa, per andare a lavorare o per spostarsi insieme alla famiglia. In Kenya, riporta Edwards, 175,000 studenti che vivono in aree di siccità hanno lasciato la scuola, mentre in Etiopia circa 600 scuole sono state chiuse. Complessivamente cinque milioni di bambini potrebbero perdere accesso all’educazione nel corso dei prossimi mesi.

La comunità internazionale 

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha annunciato la necessità di aumentare gli sforzi economici, perché le esigenze sono maggiori rispetto a quelle preventivate per il 2017: in Sudan, per esempio, si stimava l’arrivo di 60,000 persone, ma si crede che entro la fine dell’anno saranno 180,000; in Uganda erano previsti 300,000 sfollati, ma si stima l’arrivo di 100,000 persone in più.

In ragione della gravità della situazione, il ministro degli esteri tedesco Sigmar Gabriel ha convocato per il 12 aprile a Berlino la riunione straordinaria Berlin Humanitarian Call – jointly against famine, per riunire i paesi donatori, i partner umanitari, i rappresentanti ministeriali delle nazioni e delle organizzazioni internazionali (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Food and Agriculture Organization of the United Nations, World Food Programme, International Committee of Red Cross), numerosi membri degli Stati dell’Unione Europea e la European Commission for Humanitarian Aid & Crisis Management.
L’allarme che si è diffuso tra le organizzazioni internazionali capeggiate dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, come è stato più volte ribadito dai diversi portavoce, è dovuto, non solo alla gravità della situazione, ma anche alla memoria della crisi umanitaria del 2011. Sviluppatasi nel Corno d’Africa, la siccità del 2011 tolse la vita a 260,000 persone, per metà bambini, ed è passata alla storia come la prima carestia dichiarata dalle Nazioni Unite in quasi 30 anni.

Le Nazioni Unite
È proprio la prevenzione l’atteggiamento cui più volte António Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha esortato la comunità internazionale negli ultimi mesi. Per dieci anni a capo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il nuovo segretario generale delle Nazioni Unite ha fin da subito lanciato l’allarme. Durante la conferenza stampa del 22 febbraio sulla crisi umanitaria in Nigeria, Yemen, Somalia e Sud Sudan, Guterres ha delineato il quadro generale della situazione e ha chiesto il coinvolgimento di tutti i Paesi: “Siamo di fronte a una tragedia, dobbiamo evitare che si trasformi in catastrofe”. L’ONU ha rafforzato la collaborazione con alcuni partner come la Banca Mondiale, per salvare le vite e per costruire delle risposte alla crisi a lungo termine, ma uno degli ostacoli maggiori è rappresentato dai fondi, ha aggiunto Guterres: quest’anno servono 6 miliardi per affrontare la crisi e “abbiamo bisogno di 4,4 miliardi entro la fine di marzo per evitare la catastrofe”. Per ora, le operazioni delle Nazioni Unite sono finanziate tra il 3 e l’11 per cento e c’è bisogno di raccogliere fondi, “nel nostro mondo fatto di abbondanza, non c’è ragione per non agire o per essere indifferenti. Abbiamo ascoltato l’allarme, adesso è il tempo di non perdere tempo”. “Le quattro crisi in atto sono diverse, ma hanno qualcosa in comune: si possono prevenire”, ha concluso Guterres il 22 febbraio.

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Viola Brancatella

Viola Brancatella

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