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April 18, 2016
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Le infinite vite di Shakespeare

All'interno della rassegna Shakespeare Re-Loaded, va in scena Cry Havoc della compagnia Bedlam di New York

Laura CaparrottibyLaura Caparrotti
Le infinite vite di Shakespeare
Time: 4 mins read

In un’Italia che fa ancora fatica e da cui tutti scappano è bello vedere teatri Off Off (come si direbbe a New York) che si uniscono per celebrare il teatro. È il caso di Shakespeare Re-Loaded, rassegna che si svolge fra Roma e Verona dal 18 al 28 aprile e che propone una serie di spettacoli, alcuni anche internazionali, che usano Shakespeare ciascuno a suo modo.

Ricordo molti anni fa Dario Fo che, in una chiacchierata sul teatro, mi disse che Shakespeare poteva essere fatto da chiunque, in qualsiasi modo, aggiungendo di pensare a quante volte non mi era piaciuta una messa in scena, ma essendo Shakespeare ero rimasta coinvolta dalla storia che comunque conoscevo molto bene. Ricordo quando Peter Brook realizzò un Amleto in cui aveva riarrangiato l’ordine di parti del dramma e i puristi avevano gridato allo scandalo. Con la semplicità che lo contraddistingue, Brook aveva risposto che la grandezza di Shakespeare stava nel poter essere riarrangiato, adattato, tagliato, stravolto forse, ma mai sminuito perché le sue parole e le sue storie funzionavano comunque. Certo, a parlare era Peter Brook, uno dei più grandi registi di teatro mai esistiti, però aveva ragione.

La forza dell’esistenza, ancora oggi, nelle nostre vite di Shakespeare è dovuta proprio a come ha raccontato e scritto le sue storie. Pochi giorni fa, alla conferenza stampa di presentazione dell’Hamlet del Globe in Vaticano, l’ambasciatore britannico presso la Santa Sede ha riflettuto sul motto che il Globe ha creato per il 400 anni dalla morte del Bardo: Shakespeare Lives 400, che può voler che vive 400 anni o che sono le sue 400 vite. Il succo però non cambia. Shakespeare vive di infinite vite e lo si vede bene in questo piccolo grande Festival cui ho avuto la fortuna di contribuire portando, con la mia Kairos ITaly Theater, in collaborazione con KIT Italia, la compagnia Bedlam di New York (se mi seguite sapete benissimo chi sono) con lo spettacolo Cry Havoc. L’onore è dato dalla forza e la sapienza che gli organizzatori – Teatro Argot Studio di Roma e Casa Shakespeare di Verona insieme a Sycamore T Produzioni – hanno messo nel comporre un calendario di tutto rispetto.

Cry Havoc Essendo La Voce un giornale italiano pubblicato in America, mi voglio soffermare sullo spettacolo Cry Havoc, che conoscevo di fama e che ovviamente sto affrontando in maniera profonda in questi giorni. Shakespeare come cura dell’anima e dei traumi di guerra. Shakespeare amico, che ti indica la strada per una vita nuova. Shakespeare maestro, Shakespeare come te combattente. Shakespeare medicina. Stephan Wolfert, attore del monologo e autore, visto che parla della sua vita: viene dal Wisconsin, una famiglia sfilacciata alle spalle, un sogno – quello di fare il ballerino – che si frantuma contro lo stereotipo di provincia (un ballerino è gay per forza). Per fare qualcosa, si arruola ed entra così nel programma, quello per cui finisci per sapere fare solo una cosa: combattere. Ma quando la guerra finisce che si fa? Si gira il mondo e si cerca una via di fuga da quell’orrore che ti scorre negli occhi e nella mente. Per caso, in un teatro di provincia, Stephan incontra Riccardo III. “Ma quello è come me!”. E così inizia una ricerca affamata che lo porta a iscriversi ad una università ad un corso di teatro, a diventare attore, a diventare regista, a diventare insegnante… di veterani come lui che attraverso il teatro trovano una nuova vita.

Stephan costruisce dunque il suo Cry Havoc su di sé, sui suoi ricordi, sui suoi passi fatti di dolore, paure, traumi e rinascite. Come quando è paralizzato, a quindici anni, e gli dicono che non camminerà mai più. Lui invece ci riesce, come riesce a diventare un attore dopo quell’incontro fatale con Shakespeare. Nell’incontrare alcuni studenti della scuola Teatro Azione di Roma, Stephan ricorda a tutti che nelle comunità di indiani d’America il teatro è considerato una medicina che guarisce gli uomini ed esorta a non pensare, ma a  fare. Come ha fatto lui durante i vari passaggi della sua vita.

Quando chiedo come è nato Cry Havoc, mi risponde che è stato un viaggio. Aveva fatto una ulteriore operazione, una delle tante, ed era a letto, fermo. “Ho pensato che dovevo fare qualcosa per uscire da quel letto. La mia tesi universitaria era su Shakespeare e i problemi dei veterani. Ho dunque iniziato a lavorare sulla mia storia inserendoci monologhi su Shakespeare. Sono uscito da quel letto e ho iniziato a fare lo spettacolo di fronte ai veterani. Un’esperienza incredibile, ancora oggi”. Stephan mi racconta come l’esercito usa questi uomini senza curarsi di come finiscano e di cosa gli accada dopo. Storie che lui riporta con le lacrime agli occhi, ma che supera e aiuta a superare con il teatro.

Uno spettacolo, Cry Havoc, che tocca  temi importanti e universali. Attraverso il tema dei veterani, il tema del potere che usa e consuma secondo i suoi interessi. Attraverso Shakespeare, il tema della cultura, in particolare il teatro, che è necessario, fondamentale, vitale in qualsiasi società. Uno spettacolo da vedere e rivedere, dunque e da non dimenticare: e se lo vedrete, non credo correrete questo rischio.

Cry Havoc andrà in scena al Teatro Sala Uno (Via di San Giovanni 10) il 19 e 20 Aprile. Per informazioni: moc.retaehtikobfsctd-889ed0@ofni oppure www.kitheater.com.

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Laura Caparrotti

Laura Caparrotti

Ho cominciato a fare teatro nell'ingresso di casa mia, a Roma. Poi sono venuti i maestri, la laurea in discipline dello spettacolo e le tournée. Nel 1996, New York, nello storico The Kitchen. Vent'anni dopo sono ancora qui. Ho fondato una compagnia, la Kairos Italy Theater, specializzata in cultura italiana, e In Scena! Italian Theater Festival NY, un festival che porta il nostro teatro in tutti i distretti della città. Il teatro è la mia grande passione, insieme al ballo e alla (magggica) Roma. A New York ho anche iniziato a scrivere (proprio con Stefano Vaccara nel 1997), a insegnare teatro, a fare voice over e la dialect coach. Il tutto condito da un inconfondibile – ma affascinantissimo, mi dicono – accento italiano.

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