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Pino Maniaci: “Gli amministratori giudiziari fanno fallire le aziende perché ci guadagnano”

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 10 mins read

“Oggi sono molto amareggiato. E addolorato. No, non sono affatto felice. Scoprire un verminaio dentro il Tribunale di Palermo non mi ha dato alcuna soddisfazione. Anzi, se proprio debbo essere sincero, sono molto preoccupato. Non vorrei che, per tutto quello che sta venendo fuori in materia di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, i mafiosi brindino. Mi auguro che la Procura della Repubblica di Caltanissetta metta in luce tutto il malaffare, individuando i responsabili e ripristinando la legalità”. 

Così parla Pino Maniaci, il battagliero e coraggioso direttore di TeleJato. L’uomo è abituato alle bufere. I mafiosi di Alcamo, Partinico, Castellammare del Golfo, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Corleone, Cinisi, Terrasini, Montelepre, in tutti questi anni, gliene hanno fatto vedere di tutti i colori. Minacce, intimidazioni, auto incendiate, i suoi cani impiccati. Fare un giornalismo d’inchiesta contro i mafiosi non è facile. Tutt’altro. Ma lui tira dritto. Anche se incontra una montagna. Perché Pino Maniaci e la redazione di TeleJato, di fatto, negli ultimi due anni, si sono scontrati contro una montagna che, come tutte le montagne, non è facile spianare. Una montagna fatta del vero potere: quello di certi magistrati che gestiscono i beni sequestrati e confiscati alla mafia. Una montagna che si chiama sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.

Ebbene, Pino Maniaci e la redazione di TeleJato sono riusciti, da soli, a spianare questa montagna di

silvana saguto

Il giudice Silvana Saguto

malaffare. Oggi la montagna non c’è più. La presidente della sezione per le Misure di prevenzione, Silvana Saguto, si è dimessa. E sembra che con questa figura, che ci ricorda un certo Sansone, potrebbero cadere pure tutti i filistei: cioè tutti gli amministratori giudiziari che, per tanti anni, hanno brillato della ‘luce’ irradiata dalla dottoressa Saguto.

Con Pino Maniaci proviamo ad affrontare il ‘caso’ del verminaio da una particolare angolazione: l’economia.

Alla fine certi amministratrori giudiziari hanno devastato l'economia? 

“In certi casi sì – ci dice Maniaci -. Questa è una storia dalle tante sfaccettature. E tra queste sfaccettature c’è anche l’economia. Ora la domanda la pongo io: secondo voi, può un Tribunale gestire l’economia di un’intera provincia?”.

Si riferisce, ovviamente a Palermo e provincia, no?

“Certamente. A Palermo e provincia si concentra il 43 per cento dei beni sequestrati e confiscati. Ebbene, per la gestione di questi beni non sono state nominate figure di prestigio. La sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha nominato solo avvocati. Mi chiedo e chiedo: possono gli avvocati, che spesso non hanno alcuna esperienza imprenditoriale, andare a gestire aziende dove, in tanti casi, lavorano decine, se non centinaia di persone? Attenzione: noi non stiamo contestando la legge sul sequestro ed eventuale confisca dei beni ai mafiosi. La legge è giusta. Noi ci siamo occupati della gestione di questi beni. E abbiamo scoperto cose incredibili! Parcelle enormi. Aziende sane portate al fallimento con enormi danni per l’economia. Lo sapete che il 90 per cento delle aziende finite nelle mani degli amministratori giudiziari falliscono?”.

Perché le fanno fallire?

“Perché gli conviene”.

In che senso?

“Se fanno fallire un’azienda non debbono rendicontare un bel niente. Se invece la tengono in vita debbono rendicontare tutto”.

Il problema, se abbiamo ben capito, non riguarda solo le aziende confiscate, ma anche quelle poste sotto sequestro che, in teoria, potrebbero tornare al legittimo proprietario.

“Per l’appunto”.

Salvo Vitale, qualche giorno fa, ha scritto che molte di queste aziende avrebbero dovuto essere restituite ai legittimi proprietari scagionati dalle indagini. Ai quali hanno restituito aziende malconce.

“Io direi devastate”.

Come fanno a devastare le aziende?

“Con un metodo ben organizzato e ben oliato”.

Proviamo a descriverlo?

“Prima arriva l’amministratore giudiziario nominato dalla sezione per le Misure di prevenzione. E già qui le parcelle volano. Poi spuntano tre coadiutori da 4 mila e 500 euro al mese cadauno. Quindi tocca ai periti che si tengono il cinque per cento del capitale. Il cerchio si chiude con i consulenti”.

Insomma, tante tavole apparecchiate…

“Già”.

Ma che mondo è quello degli amministratori giudiziari made in dottoressa Silvana Saguto?

“E’ un modo chiuso. Solo per pochi eletti”.

Voi di TeleJato come siete arrivati a questo mondo?

“Tutto è iniziato con la denuncia di alcuni operai di un’azienda di calcestruzzo. Un’azienda sana sottoposta a sequestro. Gli operai sono venuti da noi a raccontarci che l’amministratore giudiziario invece di fare lavorare loro faceva lavorare i padroncini di un’altra azienda sottoposta a sequestro. La cosa ci ha allertato. E ci siamo gettati in questa storia. Piano piano, una dopo l’altra, abbiamo iniziato a scoprire tante storie, una più strana dell’altra”.

Man mano che andavate avanti non vi sono arrivati avvertimenti?

“Che dire? Un giorno ho chiesto a un magistrato: ma perché per gestire questi beni vengono nominate quasi sempre le stesse persone? Mi ha risposto: o perché sono bravi, o perché gli piacinu i picciuli (tradotto per i non siciliani: perché gli piacciono i soldi)”.

La seconda tesi ci sembra più veritiera.

“Anche a me”.

Altri avvertimenti?

“Un altro mi ha detto: Pino stai mettendo i piedi su una mina. E un altro ancora ha precisato: sai, se non ti ammazzerà la mafia, questa volta ti ammazzerà l’antimafia”.

Ne ha incontrati, di personaggi particolari, in quest’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati.

“Eccome! Ricordo il giudice Tommaso Virga. Archivia un procedimento a carico della dottoressa Saguto. Dopo qualche settimana Walter Virga, suo figlio, incassa una nomina. Se non ricordo male, 700 mila euro”.

Parla del giudice Virga del CSM?

“Sì, ma oggi non fa più parte del Consiglio Superiore della Magistratura”.

In questa storia, oltre ai magistrati, sono coinvolte altre figure istituzionali?

“Sì. Ci sono Carabinieri, militari della Guardia di Finanza. La dottoressa Saguto cercava di accontentare tutti. Di tutto e di più”.

Avete provato, in questi due anni, a coinvolgere altri esponenti del mondo dell’informazione?

“Certo. Mi sono rivolto a Michele Santoro, a Milena Gabanelli e ad altri”.

Cosa le hanno risposto?

“Nulla. Non si sono mai fatti sentire. La verità è che, a parte Le Iene, in questa storia noi di TeleJato siamo rimasti da soli. Tutti gli altri si toccavano il culo con la pezza. Mi hanno preso per matto. Per uno fuori dagli schemi. Oggi mi danno pacche sulle spalle”.

Alla fine che idea si è fatto di questa storia?

“Che è una storia ben più grave di Mafia Capitale. Nella gestione dei beni sequestrati alla mafia sono coinvolti ‘pezzi’ dello Stato. Invito tutti a riflettere sul silenzio della politica. E sul silenzio dell’antimafia ufficiale. A cominciare dalla commissione nazionale antimafia”.

E’ corretto parlare di mafia dello Stato?

“Io parlerei di mafia dell’antimafia”.

C’è qualcosa che l’ha particolarmente colpito di più in questa storia?

“Sì: la gestione disinvolta dei sequestri di beni. Ci sono beni societari sotto sequestro da diciassette anni! Questo è incredibile. La signora Saguto è stata capace di far modificare la legge sulla scadenza dei termini. Questo avveniva nel 2011. Di fatto, sui sequestri non c’è più scadenza!”.

Ma il Procuratore della Repubblica, il presidente del Tribunale e tutte le altre autorità non sapevano nulla?

“Dovrebbe chiederlo a loro”.

Nella vostra inchiesta avete incrociato politici?

“Ricordo che il senatore Giuseppe Lumia si è battuto per il sequestro di alcune aziende che operano nell’area portuale di Palermo. Aziende che sono ancora sotto sequestro. E sapete chi è l’amministratore giudiziario?”.

Ci dica.

“L’avvocato Gaetano Cappellano Seminara”.

Un nome a caso…

“Sì, un nome molto a caso”.

Che ci dice della clinica Santa Teresa di Bagheria, quella confiscata all’ingegner Michele Aiello?

“Ah, qui ci sarebbe una bella storia”.

Ce la racconta?

“E’ semplice: una lite tra l’ex amministratore giudiziario della clinica Santa Teresa, Andrea Dara, e l’avvocato Cappellano Seminara”.

Ancora lui?

“Sì, ancora lui”.

E che c’entra l’avvocato Cappellano Seminara con la clinica Santa Teresa?

“Ha fatto una bella consulenza. E si è beccato una parcella da circa un milione di Euro”.

Ammazzate!, direbbero a Roma. E poi che sa sul Santa Teresa.

“Poco. Pare che sia sparita una Porsche. E pare che siano stati venduti macchinari per milioni di Euro”.

Venduti? A chi?

“Venduti a dei medici”.

Ma è vero che la clinica Santa Teresa, come si dice in Sicilia, è muru cu muru cu ‘u spitali? (tradotto: è in difficoltà economiche).

“Credo che sia vicina al fallimento. Insomma, è in grosse difficoltà economiche. Detto questo, l’attuale amministratore, il prefetto Giosuè Marino, è una gran persona per bene”.

La presidente dell’Antimafia nazionale, Rosy Bindi, si è fatta sentire?

“Per favore!”.

Cioè?

“Che vi debbo dire? Ricordo che un giorno è arrivata in Sicilia per portare la solidarietà al giudice Nino Di Matteo. E invece poi ha espresso solidarietà alla dottoressa Saguto. Insomma, per l’onorevole Bindi nella gestione dei beni sequestrati alla mafia andava tutto bene”.

E Claudio Fava?

“Anche per lui andava tutto bene”.

Ma voi vi siete rivolti alla dottoressa Saguto?

“Certo! Le abbiamo chiesto un’intervista. Ci ha risposto dicendoci: inviate le domande. E noi gliele abbiamo inviate”.

Ha risposto?

“Sì: in tre righe. Vi leggo la risposta: ‘In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover declinare la richiesta, poiché, per indirizzo della sezione, non si forniscono informazioni sull'andamento della stessa. Saluti Silvana Saguto’ Capito?”.

Ci può fornire le domande che avete posto alla dottoressa Saguto? Così i nostri lettori si fanno un’idea degli argomenti sui quali l’ex presidente della sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha glissato.

“Certamente. Eccole”.

Queste le domande che la redazione di TeleJato ha posto alla dottoressa Saguto.

Egregia dottoressa Saguto, con la presente le inviamo le domande, come da lei richiestoci, che vorremmo porle nel corso di un’intervista al fine di spiegare ai nostri telespettatori i problemi e le dinamiche riguardanti la gestione dei beni sequestrati alla criminalità, soprattutto quella organizzata.

–          In mancanza dell’albo degli amministratori giudiziari, che pure dovrebbe esistere, come previsto dalla legge del 2010 (DECRETO LEGISLATIVO 4 febbraio 2010, n. 14 e successive modifiche) come si nominano gli amministratori giudiziari?

–          Secondo la prassi gli amministratori giudiziari hanno un rapporto fiduciario con il giudice che li nomina e con i sostituti che si occupano di più specifici ambiti territoriali: questo rapporto è totalmente discrezionale o vi è un garante esterno che può intervenire e sindacare le scelte del tribunale?

–          I periti che devono occuparsi di accertare la provenienza lecita o meno del bene hanno un particolare criterio di scelta od anche quello è discrezionale nella persona del presidente dell’ufficio delle misure di prevenzione e dei suoi sostituti?

–          In che misura e secondo quali crismi vengono calcolate le parcelle degli amministratori e dei periti? Possiamo anche parlare di Milioni di euro?

–          Grave problema, riscontrabile sul territorio, è il deperimento naturale che in particolare le aziende e le imprese, ma solitamente tutti i beni , hanno durante il periodo di amministrazione giudiziaria. Ora, al di là dei rimpalli di competenza con le associazioni subentranti come assegnatari, è evidente che il cittadino medio, che vede decadere le aziende floride, seppur mafiose, sia quasi autorizzato a pensare che lo stato non sia in grado di subentrare alla Mafia, e che economicamente e lavorativamente i mafiosi siano più convenienti. Di quanto detto siamo in grado di fornire diversi esempi, tra i quali i cassaintegrati della <> ed il tracollo della ditta di latticini <>. Quali sono, viene da chiedersi, le competenze esigibili dagli amministratori giudiziari? Come si risolvono eventuali inefficienze ed inadeguatezze?

–          E’ chiaro che non essendoci un albo da cui attingere nominativi è logico ricorrere al sistema del rapporto fiduciario con enti e soggetti del territorio. In tutto ciò si possono verificare evidenti problemi di conflitti d’interesse, che al di là di perniciosi discorsi legislativi, oltrepassano il confine della buona fede e del buon esempio che l’apparato giudiziario deve sempre esprimere. Come si interviene in questi casi? C’è un ente terzo che dovrebbe pronunciarsi? Se così non fosse ci sarebbe la strana regola per cui a pronunciarsi sui conflitti d’interesse sarebbe lo stesso soggetto, ovvero il giudice, coinvolto nel conflitto.

–          In ambito territoriale si riscontra un dato sociologico allarmante, ovvero la scarsa propensione della gente ad accettare l’amministrazione giudiziaria, per i motivi precedentemente esposti. Noi, che partiamo proprio dal territorio per fare un’analisi oggettiva dei fatti le chiediamo: è opportuno che un amministratore giudiziario come il Signor Benanti, dopo essere stato sospeso dall’amministrazione di un bene per avere commesso gravi condotte sia ancora oggi amministrare di altri beni? Cosa vieta di pensare che la condotta si reiteri? Come mai non si è proceduto in suddetto caso, come più logicamente ipotizzabile, alla sospensione totale del rapporto che lega il Sig. Benanti con il Tribunale?

–          Continuando proprio nella scia della richiesta di doverosa trasparenza da parte di tutte le componenti del tribunale le chiediamo: come mai si è deciso di procedere anche con un'altra nomina ad amministratore giudiziario, ovvero quella con lo studio dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, nonostante lo stesso sia in questo momento inquisito per fatti, ancora da verificare alla luce del diritto, ma che si presentano foschi dal punto di vista umano e morale?

Cordiali Saluti, la redazione di Telejato

 

La risposta

In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover
declinare la richiesta, poichè, per indirizzo della sezione, non si
forniscono informazioni sull'andamento della stessa.
Saluti
Silvana Saguto

 

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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