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September 1, 2015
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September 1, 2015
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Il grande imbroglio dei fondi europei destinati alla Sicilia

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 7 mins read

Nella prima puntata del nostro ‘viaggio’ (che potete leggere qui) abbiamo provato a dimostrare che, su oltre 5 milioni di siciliani, la Regione – cioè quello che resta della Regione siciliana a Statuto speciale – rappresenta, di fatto, gli interessi di un decimo circa della popolazione, cioè di circa 500 mila persone. Di questi, sono circa 50 mila i veri soggetti gestori della Regione. Si tratta, in pratica, di un’entità autoreferenziale che oggi non è nemmeno in grado di rappresentare gli interessi dei già citati 500 mila soggetti. Questo perché i tagli effettuati dal governo nazionale nell’ultimo anno e mezzo (circa 10 miliardi di Euro con tagli diretti e indiretti) impediscono ormai alla stessa Regione di fronteggiare i pagamenti in favore di questi soggetti. Tant’è vero che, quest’anno – e siamo a Settembre – le ‘casse’ regionali sono vuote (con problemi per i Comuni, per gli operai della Forestale, per i precari dei Comuni, per i dipendenti delle società collegate e via continuando).

Oggi, ragionando sui fondi europei destinati alla nostra Isola, proveremo a ribadire che la Regione siciliana non è al servizio di oltre 5 milioni di siciliani. Oggi, come già accennato, la Regione siciliana non riesce ad essere utile nemmeno ai 500 mila soggetti che dipendono da essa. Questo perché, come già accennato, Roma ha lasciato a secco le ‘casse’ regionali. Questo non significa che è fallimentare l’Autonomia siciliana, come qualcuno, in questi giorni, cerca di far credere. Questo significa che l’Autonomia siciliana viene utilizzata male. Ma andiamo ai ‘numeri’.

Intanto vediamo cosa sono i fondi europei. Di fatto, non sono fondi europei, ma soldi degli italiani che eurol’Unione Europea restituisce solo in parte.  Il sistema è il seguente. Ogni Paese che fa parte dell’Unione Europea contribuisce ogni anno al bilancio europeo mettendo a disposizione  l’1% del Prodotto Interno Lordo (PIL) nazionale. Nel 2013 il nostro Paese ha versato nelle ‘casse’ di Bruxelles circa 15 miliardi di Euro. Una parte di questi soldi è rientrata sotto forma di fondi europei. Conti alla mano, Bruxelles ha messo a disposizione dell’Italia poco meno di 9 miliardi di Euro. Soldi che il nostro Paese avrebbe dovuto utilizzare per rilanciare l’economia. Risorse che, invece, hanno alimentato un fiume di clientele. Fatti i classici quattro conti, il Belpaese, in dieci anni, ha versato nelle ‘casse’ dell’Unione Europea circa 160 miliardi di Euro strappati dalle tasche degl’italiani con le tasse. Di questi, ha ripreso circa 104  miliardi di Euro. Già, in partenza, abbiamo perso circa 55 miliardi di Euro. Ci sono Paesi europei che, nel gioco del dare-avere, ci guadagnano. L’Italia – che pur essendo messa malissimo dovrebbe essere ancora il terzo contribuente netto dell’Unione Europea – perde ogni anno un sacco di soldi. E quei soldi che riesce a far rientrare come fondi europei li spende male o non li spende affatto (se non credete a quello che diciamo andate a leggere qui).

Fatta questa premessa, e cioè che l’Unione Europea, per l’Italia, è un investimento a perdere già in partenza, va anche fatta chiarezza sul meccanismo di funzionamento dei fondi europei, soprattutto per quelli destinati alla realizzazione di infrastrutture. A giudicare da quello che viene comunicato, sembrerebbe che l’Unione Europea, a un certo punto, prenda dal cassetto i soldi e li consegni agli Stati. Facciamo un esempio. Nei giorni scorsi è stato detto che, per la Sicilia – o meglio per le infrastrutture da realizzare in Sicilia con i fondi europei – sono disponibili 4,7 miliardi di euro. A giudicare da quello che è stato detto, sembrerebbe che nelle ‘casse’ della Regione siciliana siano già entrati questi 4,7 miliardi di euro. Purtroppo le cose non stanno così. Intanto c’è il cofinanziamento dell’Italia, che ammonta a circa 2 miliardi di euro. Quindi, da un investimento di 4,7 miliardi siamo già scesi a 2,7 miliardi di fondi effettivamente messi a disposizione della Sicilia dall’Unione Europea.

pac siciliaI fondi europei – soprattutto quelli per le infrastrutture – funzionano a rimborso: gli Stati e le Regioni li anticipano e poi, a lavori rendicontati, Bruxelles restituisce i soldi spesi da ogni Paese membro. Già in Italia il governo nazionale di Matteo Renzi ha messo le meni avanti. E (come vi abbiamo raccontato qui) ha fatto sapere che i 2 miliardi di euro circa destinati al cofinanziamento dei fondi europei per la Sicilia (e, in generale, i fondi per il cofinanziamento di tutti i fondi europei) resteranno nel PAC, sigla che sta per Piano di Azione e Coesione. I fondi del PAC, sulla carta, sono destinati al Mezzogiorno d’Italia. Ma solo sulla carta, perché quest’anno 12 miliardi di fondi PAC (cioè soldi destinati al Sud) sono stati impiegati per finanziare gli sgravi fiscali alle imprese (che per il 90 per cento ed oltre sono localizzate nel Centro Nord Italia). Di fatto, il Jobs Act (che, detto per inciso, non ha affatto creato nuova occupazione: non lo diciamo noi: l’ha detto l’ISTAT) nel Centro Nord Italia è stato finanziato con i soldi del Sud. Una truffa ai danni del Meridione.

Con molta probabilità, con una buona parte dei fondi PAC (e quindi con il cofinanziamento dei fondi europei destinati alla Sicilia) il governo Renzi proverà a rifinanziare gli sgravi fiscali per le imprese del Centro Nord Italia.

Andiamo ai 2,7 miliardi di euro che, insieme con il cofinanziamento di 2 miliardi di euro, dovrebbero essere investiti per realizzare infrastrutture in Sicilia da qui al 2020-2022. Questi 2,7 miliardi di euro dovrebbero essere anticipati dalla Regione siciliana. Ma la Regione siciliana, a causa dei tagli subiti dal governo nazionale, dovrebbe redigere il Bilancio 2016 partendo da un ‘buco’ finanziario che oscilla tra 2 e 3 miliardi di euro. Da qui una domanda: ma se la Regione non ha nemmeno i soldi per pagare il personale dipendente, come dovrebbe trovare ogni anno, per sette anni, circa 500 milioni di euro da investire in infrastrutture?

Come i nostri lettori possono notare, con i ‘numeri’ alla mano, abbiamo dimostrato che, per ciò che riguarda le infrastrutture – cioè le opere da realizzare con le risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) – i 4,7 miliardi sbandierati sono solo teorici. Poi ci sono i fondi per l’agricoltura (il PSR, sigla che sta per Piano di Sviluppo Rurale, e il FEARS), i fondi per la formazione e le politiche del lavoro (FSE, sigla che sta per Fondo Sociale Europeo) e il FEP (Fondo Europeo per la Pesca).

Ignazio Corrao

L’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Ignazio Corrao

Sulla carta, questi fondi dovrebbero essere destinati a beneficio di oltre 5 milioni di siciliani. Ma non è così. Incredibile quello che succede in agricoltura, dove (come denunciato dal parlamentare europeo del Movimento 5 Stelle, Ignazio Corrao: denuncia che potete leggere qui) sono spariti 5 miliardi di euro circa destinati alla Sicilia. Dove sono finiti? Di sicuro non nelle tasche degli agricoltori siciliani. Con molta probabilità, una parte – minima – potrebbe essere stata utilizzata per sostenere i produttori siciliani di vino. Per il resto – lo ribadiamo – non si sa nulla. Persino i 14 deputati grillini del Parlamento siciliano, a un certo punto, si sono arresi: hanno inoltrato richiesta di accesso agli atti. Ma ancora aspettano tali atti. Ci sta provando, come già accennato, l’europarlamentare Corrao chiedendo ‘lumi’ a Bruxelles. Ma non è detto che ne venga a capo.

Questo esempio ci serve per ‘tranquillizzare’ gli oltre 5 milioni di siciliani. Quando, cari siciliani, leggete sui giornali che la “Sicilia rischia di non spendere i fondi europei”, non vi dovete preoccupare. Tanto, questi fondi europei non sarebbero mai stati spesi per interessi collettivi, cioè nell’interesse di oltre 5 milioni di siciliani. Sono soldi che una ristretta cerchia di siciliani non è riuscita a intascare. L’esempio dei fondi europei destinati all’agricoltura siciliana è indicativo. A noi risulta che una parte di questi fondi sia finita nelle tasche di politici, di parenti di politici, di burocrati e di parenti di burocrati regionali. Lo scriviamo da anni e non ci hanno mai smentito. Per un semplice motivo: perché è così.

La vicenda legata alla gestione dei fondi europei destinati alla Sicilia dimostra che la Regione siciliana non è al servizio di oltre 5 milioni di siciliani. Semmai sono gli oltre 5 milioni di siciliani che sono al servizio non della Regione siciliana autonoma, ma di chi la gestisce. Perché è in nome di una Regione di oltre 5 milioni di siciliani con un reddito pro capite inferiore alla media europea che vengono stanziati i fondi europei per la Sicilia. Soldi che poi – per la parte che viene utilizzata – finiscono nelle tasche di una ristretta cerchia di persone che noi abbiamo individuato nei circa 50 mila soggetti che gestiscono, di fatto, la Regione siciliana.

Quando leggiamo sui giornali le due parole “bandi europei” dobbiamo sapere che si tratta di ‘bandi-fiction’. Perché la parola “bandi”, nella gestione dei fondi europei siciliani, è un falso. Perché quando un bando viene pubblicato i politici e i burocrati della Regione sanno già in anticipo a chi andranno i soldi. Quindi è tutta una sceneggiata.

Lo stesso discorso vale per il Fondo Sociale Europeo (FSE). La formazione professionale, in Sicilia, è stata di fatto sbaraccata perché le risorse europee dell’FSE destinate alla nostra Isola debbono finire nelle tasche dei ‘presunti’ industriali siciliani mezzo falliti che vivono abbarbicati alla spesa pubblica. Nell’estate dello scorso anno i fondi europei per i tirocini formativi destinati alla Sicilia non sono stati spesi perché politici e burocrati, dopo liti furibonde, non sono riusciti ad assegnarli ai soggetti prestabiliti.

La pesca – il FEP – merita un capitolo e parte. Vi possiamo anticipare che i pescatori siciliani hanno cose più serie a cui pensare.

Lo stesso discorso vale per quasi tutti gli altri fondi regionali. Quasi tutte le risorse della Regione ancora disponibili (ormai sono veramente poche) non servono per fare crescere la Sicilia, ma per alimentare la solita cerchia dei 50 mila soggetti e clientele varie. Per le attività produttive, nella gestione dell’ambiente, negli interventi per il lavoro e via continuando, tutto viene programmato prima. L’unica cosa di cui non si tiene rigorosamente conto è l’interesse pubblico.

Fine seconda puntata/ continua            

 

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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