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Catania e la caduta degli ‘Dei’: Mario Ciancio, Giuseppe Castiglione, Antonio Pulvirenti…

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 10 mins read

Un’inchiesta giudiziaria sui possibili imbrogli che vanno in scena nel mondo del Calcio scuote Catania. Le ipotesi accusatorie sono le solite: partite truccate. Coinvolti giocatori e dirigenti. Con in testa il presidente della squadra etnea, Antonio Pulvirenti. E’ il terzo personaggio di spicco di questa città che, nel giro di un mese, finisce nell’occhio del ciclone. Il ‘caso’ Pulvirenti esplode dopo che nei giorni scorsi i riflettori sono stati accesi sull’editore-direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo. Mentre il terzo personaggio – che proprio ieri Renzi ha salvato in Parlamento da una mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni – è il sottosegretario di Stato, Giuseppe Castiglione.

Due domande, a questo punto, sono quasi obbligate. Prima domanda: cosa succede, oggi, a Catania? Seconda domanda: che cosa rappresenta, oggi, Catania in Sicilia, soprattutto nel mondo del malaffare? La ‘lettura’ di quanto sta accadendo non è semplice. Anche perché la città Etnea, rispetto al passato, anche recente, sembra cambiata. Grosso modo, possiamo affermare che fino al 2012, bene o male, gli equilibri di questa complicata città – equilibri che affondano le radici agli anni della cosiddetta Prima Repubblica – hanno resistito. Nel 2012, o forse nel 2013, deve essere avvenuto ‘qualcosa’ che ancora oggi non è facile delineare. Proviamo a decifrare quello che sta succedendo, precisando che non possediamo il dono della verità su tutta la linea. Se non altro perché, come proveremo a raccontare, Catania è una città per certi versi ‘misteriosa’ dove non è facile capire quello che succede. Anzi.

Cominciamo col dire che Antonio Pulvirenti, a Catania, è un personaggio importante, ma non centrale. E’ un catania panoramicaimprenditore molto abile. Che è riuscito a creare dal nulla primo hard discount della Sicilia, tutt’ora operativo: il gruppo Fortè. Ed è stato, dal 2004 al 2012, il protagonista dell’operazione Wind Jet, la compagnia aerea low cost. Storia finita male, così com’è finita male a tutti gli imprenditori siciliani che hanno provato a creare una compagna aerea siciliana.

Chi scrive ricorda le piccole compagnie aeree dei primi anni ’80. Fino a quando si mantenevano nei voli di terzo livello, tutto filava liscio. Appena qualcuno provava – è il caso di dirlo – a spiccare il volo con una compagnia siciliana di respiro nazionale (che in quegli anni, inevitabilmente, avrebbe fatto concorrenza all’Alitalia, negli anni ’80 la monopolista assoluta dei cieli italiani, siciliani compresi), scattava uno strano meccanismo che bloccava tutto.

Negli anni ’60 in Sicilia non c’erano ancora le autostrade e c’era la linea aerea tra Palermo e Catania (che, volendo, potrebbe essere ripristinata, visto che l’autostrada è interrotta da una frana). Nella prima metà degli anni ’80, in Sicilia, operavano piccole compagne aeree di terzo livello. Ma quando, nella seconda metà degli anni ’80, l’allora presidente della Regione siciliana, Rino Nicolosi, proverà a far decollare una compagnia aerea siciliana verrà bloccato in mala maniera. C’erano state, in quegli anni, vivaci proteste dei cittadini siciliani, che lamentavano prezzi eccessivi, soprattutto sulle tratte Palermo-Roma, Palermo-Milano e Catania-Roma (insomma, Renzi, nella storia della Repubblica italiana, non è il primo che tratta la Sicilia come una ‘mammella da mungere’: anche i democristiani e l’Alitalia non scherzavano) . Alla fine ritoccarono un po’ i prezzi all’ingiù, ma Nicolosi si dovette rimangiare il proprio progetto di una compagnia aerea siciliana.

Ci ha provato, negli anni ’90, l’imprenditore Luigi Crispino a dare vita a una compagna aerea, la Air Sicilia. Ma è fallita. Poi ci ha provato, come già ricordato, Pulvirenti con Wind Jet. Ma gli è andata male. A questo punto, bisognerebbe capire se tutti gli imprenditori siciliani che provano a misurarsi con i trasporti aerei sono sfortunati o non bravi, o se invece sotto c’è qualche altra cosa. Chissà.

Chiusa questa digressione, lo ribadiamo, Pulvirenti (nella foto a destra) è importante. Ma non sembra inantonio pulvirenti grado di interferire in modo profondo nei meccanismi che regolano i sistemi di potere catanesi e siciliani. Un personaggio di certo più importante è Castiglione. Che diventa tale in quanto genero di Giuseppe ‘Pino’ Firrarello, più volte deputato del Parlamento siciliano e poi parlamentare nazionale. Firrarello, a Catania e dintorni, rappresenta il passaggio tra Prima e Seconda Repubblica. Firrarello era uno dei politici legati agli andreottiani siciliani che, a Catania, erano rappresentanti da un democristiano di grande peso che era conosciuto come “l’ingegnere”: l’ingegnere Nino Drago, parlamentare nazionale della Democrazia cristiana. Con il tramonto della Prima Repubblica Firrarello si trasferisce, armi e bagagli, in Forza Italia. Passaggio quasi naturale, in quegli anni. E nella seconda metà degli anni ’90 lancia nell’agone politico il genero Giuseppe Castiglione, che diventa assessore regionale. Ma suocero e genero finiscono invischiati in una brutta storia di corruzione legata alla sanità catanese. Cosa che non impedisce a Firrarello di restare a galla per ‘guerreggiare’ con uno dei suoi nemici storici: l’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo. Oggi i due sono fuori dalla scena politica ufficiale. Firrarello non è più parlamentare. E ha smesso anche di fare il sindaco della sua città, Bronte. Anzi, alle recenti elezioni comunali il suo candidato è stato battuto.

alfano e castiglioneAnche suo genero sembra destinato al tramonto. Da presidente della Provincia di Catania, insieme con il Ministro degli Interni, Angelino Alfano (a sinistra, nella foto, insieme con Castiglione), si sono inventati il grande business dell’assistenza ai migranti. A cominciare dal Cara di Mineo. Ma ormai il gioco è stato ‘sgamato’ (scoperto). La ‘triangolazione’ Libia-Sicilia-Roma è già venuta fuori. Con molta probabilità, c’è un filone criminale che gestisce il sistema migranti via mare dalle due sponde del Mediterraneo. Il pentolone maleodorante è stato scoperchiato dalla Procura della Repubblica di Roma che, non a caso, insiste nella natura mafiosa del sistema. Non è ancora chiaro se c’è una mafia romana autoctona, o una mafia siciliana in versione capitolina. Anche se la storia degli ultimi quarant’anni, o già di lì, insegna che la “palma va al Nord”: ovvero che la mafia, dalla Sicilia, si è trasferita a Roma e nel Centro Nord Italia.

Ieri, come ricordato all’inizio, il Parlamento ha salvato Castiglione. Ma il sistema truffaldino e mafioso (con riferimento, in questo caso, all’inchiesta Mafia Capitale) che sta dietro gli sbarchi dei migranti è già stato scoperto. Non a caso nei Paesi europei stanno chiudendo le frontiere, perché, come scriviamo spesso, il business dei migranti organizzato in Italia nel nome della finta solidarietà (che peraltro coinvolge in modo pesante organizzazioni cattoliche che Papa Francesco farebbe bene a non difendere per evitare fatti spiacevoli) non incanta più nessuno. Questo sistema si regge sulla possibilità si ‘sbolognare’ in tempi brevissimi il 90 per cento dei migranti che arrivano nel nostro Paese agli altri Paesi europei. Ma gli altri Paesi europei, che ormai hanno fatto due più due, non hanno più alcuna intenzione di alimentare la catena che, partendo dagli scafisti in Libia, arriva in Europa, passando per la lucrosa e truffaldina gestione dei centri di accoglienza italiani.

Diverso e molto più complesso è il tramonto – ammesso che di tramonto si tratti – di Mario mario ciancioCiancio Sanfilippo (nella foto a destra). Non stiamo parlando dell’uomo più potente di Catania: stiamo parlando di uno degli uomini più potenti e più misteriosi della Sicilia. Il livello è molto elevato, perché si tratta di un personaggio legato a fatti, personaggi e cose che, in parte, non conosceremo mai. Se provate a cercare sulla rete, su Mario Ciancio Sanfilippo troverete un sacco di notizie: Mario Cancio dei baroni Ciancio di Adrano, editore di giornali, di tv, interessi di qua e di là. Queste, lo ribadiamo, sono certamente notizie di peso, ma che non danno la misura del potere di uno degli ultimi grandi personaggi della Sicilia da cinquant’anni a oggi.   

Negli anni ’70 la famiglia Ciancio Sanfilippo era importante. Ma divideva il potere e la gloria con altri soggetti, ovvero con politici e imprenditori catanesi (o imprenditori siciliani trasferitisi a Catania) venuti fuori durante l’operazione Milazzo, alla fine degli anni ’50. Tra i politici abbiamo ricordato l’ingegnere Drago. Ma non era il solo. Ce n’erano altri, come dire?, non esattamente ‘cristallini’. Come Giuseppe ‘Peppino’ Aleppo, anche lui democristiano come Drago. E poi c’erano due organizzazioni sindacali – Cisl e Cgil – che allora rappresentavano un’idea della politica e della società diversa, lontana dal malaffare, anche mafioso, che già allora, anche se in modo non palese, inquinava la politica. L’esperienza di Vito Scalia, per decenni leader indiscusso della Cisl catanese, in simbiosi con un’idea della Dc diversa da quella di Drago e Aleppo, è, sotto questo profilo, illuminante.

Il peso di Cisl e Cgil a Catania si riverberava nelle elezioni. La Cisl contava, e molto, nella Dc. Lo stesso Rino Nicolosi, nella seconda metà degli anni ’80, era un esponente cresciuto nella Cisl. La Cgil contava nel vecchio Pci (ancora oggi, nel PD, la Cgil determina l’elezione di deputati).

Anche sui Cavalieri del lavoro di Catania – immortalati da un’intervista che, nel 1982, Carlo Alberto Dalla Chiesa rilascerà poco prima di essere trucidato – sono state fatte generalizzazioni che, con molta probabilità, non hanno colto la complessità del mondo imprenditoriale catanese e siciliano di quegli anni. Parliamo di nomi allora molto noti: i Rendo, i Costanzo, i Graci, i Finocchiaro, i Parasiliti, i Puglisi Cosentino. Storie in parte diverse accomunate da una sorta di ‘iconoclastia’ che, tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 ne avrebbe determinato la scomparsa.

Se ricordiamo questi fatti è per segnalare che l’unico, grande personaggio che si salverà dall’oblio che avvolgerà i grandi imprenditori siciliani di quegli anni sarà proprio Mario Ciancio. I ‘Cavalieri dell’Apocalisse’ scompariranno (così come a Palermo scomparirà il gruppo del conte Arturo Cassina, per lunghi decenni numero uno nei grandi appalti nel capoluogo dell’Isola e dell’intera Sicilia), ma l’editore-direttore resterà in piedi, più potente di prima. E dire che gli ‘schizzi’ non avevano risparmiato lo stesso Ciancio. Oggi l’editore catanese è coinvolto in una vicenda giudiziaria colorata di mafia. Ma già negli anni ’80 il suo nome era venuto fuori in storie mai chiarite del tutto. Vicende legate al nome di Benedetto Santapaola, forse uno dei più grandi e altrettanto misteriosi capi mafia della Sicilia. Scrive Claudio Fava (il figlio di Giuseppe Fava, il giornalista e scrittore ammazzato a Catania nel gennaio del 1984) nel libro La mafia comanda a Catania: “La Sicilia, al di là di ogni pudore, riuscì per molti anni a sopprimere dai propri scritti la parola mafia: usata raramente, e solo per riferirla a cronache di altre città, mai a Catania. Nell'ottobre del 1982, quando tutti i quotidiani italiani dedicheranno i loro titoli di testa all'emissione dei primi mandati di cattura per la strage di via Carini, l'unico giornale a non pubblicare il nome degli incriminati sarà La Sicilia. Un noto boss, scriverà il quotidiano di Ciancio: Nitto Santapaola, spiegheranno tutti gli altri giornali della nazione. Il nome del capomafia catanese resterà assente dalle cronache della sua città per molti anni ancora: e se vi comparirà, sarà solo per dare con dovuto risalto la notizia di una sua assoluzione. O per ricordarne, con compunto trafiletto, la morte del padre”.

Chi scrive, nel 1996, ha firmato un’inchiesta sul Piano regolatore generale di Catania, allora come oggi in discussione (a Catania il Piano regolatore della città è in discussione da quasi 50 anni: se ne discute e basta…). In quell’occasione abbiamo avuto modo di intuire la trama complicatissima di interessi che si snoda attorno a questo personaggio. Ovviamente, lo schema di massima del Piano regolatore di Catania, che era stato redatto da Pier Luigi Cervellati, rimarrà tale: la città Etnea, detto in altre parole, non avrà un Piano regolatore.   

Già nel 2012 il potere di Ciancio era un po’ incrinato. Ma non troppo, se è vero che la politica siciliana lo riveriva come sempre.

Ultimo particolare degno di nota. Alle elezioni regionali del 2012, quando un catanese fuori dagli schemi della partitocrazia mafiosa – parliamo di Nello Musumeci – si è candidato alla guida della Sicilia, il colpo di grazia per non farlo eleggere è stato deciso proprio a Catania. Certo, Messina con Francantonio Genovese, allora ‘re’ incontrastato del PD (e di un impressionante cartello di voti) si era già schierato contro Musumeci. Ma, a tavolino, i voti di Genovese rischiavano di non bastare per far eleggere il candidato di centrosinistra, Rosario Crocetta.  

Nasce così la rottura del centrodestra siciliano e la candidatura di Gianfranco Miccichè, appoggiato dall’ex presidente, Raffaele Lombardo (anche lui, non a caso catanese). Così si determinarono tre candidati forti: due di centrodestra (Musumeci e Miccichè) e uno di centrosinistra, Rosario Crocetta. Quest’ultimo, a questo punto, sulla carta, non avrebbe dovuto perdere, usufruendo delle divisioni del centrodestra.

Ma anche questo, a un certo punto, sembrava non bastare. Così il gruppo del già citato Firrarello effettuava il classico ‘salto della quaglia’: invece di votare per Musumeci (Firrarello era allora senatore del Pdl, legatissimo a Berlusconi), il gruppo Firrarello ha fatto votare per Crocetta. Berlusconi e Alfano lo sapevano ed erano d’accordo? E chi lo sa.

“A Catania non si muove foglia che Mario Ciancio non voglia”, si diceva ancora nel 2012. Dire che Ciancio non sapeva quello che stava succedendo dalle sua parti, beh, sarebbe un’offesa alla sua intelligenza. Ma noi comunque non possiamo dirlo, perché non ne abbiamo le prove. Forse se si riuscisse a sapere se è vero che Crocetta, subito dopo la sua elezione a presidente della Regione, si sarebbe recato da Ciancio a fargli visita, beh, questo fatto – se provato – potrebbe tagliare la testa al toro. Ma noi nemmeno questo possiamo dire. Anche se Crocetta, che è riuscito a ‘declinare’ la sua ‘Rivoluzione’ con il Muos di Niscemi e l’acqua e le discariche nelle mani dei privati, non dovrebbe avere molte difficoltà a far passare la sua eventuale visita a Ciancio come la presa della Bastiglia catanese. Ma nemmeno questo possiamo dire noi, perché non ne abbiamo le prove…

Ah, dimenticavamo: cosa sarebbe successo tra il 2012 e il 2013? Cosa potrebbe essere il ‘qualcosa’ che avrebbe cambiato la direzione degli eventi? C’è un legame tra questo impalpabile ‘qualcosa’ e la caduta di Firrarello-Castiglione-Alfano e Ciancio?

Foto tratta da zainoo.com  

         

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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