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February 2, 2015
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February 2, 2015
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Mattarella, la vecchia DC e il nuovo liberismo

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Time: 6 mins read

Il problema non è Sergio Mattarella, che è una persona per bene anche se, da giudice della Consulta che ha giudicato incostituzionale la legge con cui l’attuale Parlamento è stato eletto, forse non avrebbe dovuto accettare la nomina, a maggior ragione in quanto proposta e sostenuta da un presidente del Consiglio che a quelle elezioni incostituzionali neanche si era presentato. Il problema non è neanche che la sinistra abbia votato per un democristiano, permettendone la nomina: è accaduto in passato. 

Un po’ più preoccupante è che si sia dovuto ricorrere a un politico formatosi e cresciuto nella prima repubblica: più di trent’anni di militanza nella DC prima di contribuire alla fondazione del PPI e poi passare alla Margherita e da lì al Pd. Come a dire che in Italia non c’è nessuna personalità emersa negli ultimi venti anni, dopo la crisi del vecchio sistema partitico, che dia garanzie di onestà, rigore morale, competenza istituzionale. Perché stupirsi? Non sono più quelli i valori richiesti per avere successo, in politica e nella società. Cosa faremo alle elezioni del 2022, quando la vecchia generazione non sarà più disponibile e ci saranno solo invecchiati giovani rampanti e arrivisti? 

Brava persona, Mattarella, a quanto deduco dalla sua biografia. Però un uomo di centro, senza dubbio. Che prenderà sul serio la carica di presidente della Repubblica e non permetterà alle sue opinioni e al suo giudizio personale di interferire con il suo ruolo istituzionale. Come fecero altri presidenti recenti che pure entrarono al Quirinale con fama di gentiluomini. Oscar Luigi Scalfaro, per esempio, eletto con ampia maggioranza nel 1992 sull’onda dell’emozione per la strage di Capaci: il quale assistette, impotente o indifferente, alla progressiva berlusconizzazione della politica e società italiana, firmando senza esitazioni la nuova legge elettorale (scritta proprio da Mattarella) che di fatto eliminava il proporzionalismo richiesto dalla Costituzione e importava in Italia il bipolarismo. Con i risultati che abbiamo visto. Non solo: Scalfaro presiedette anche, senza protestare, alla devoluzione di buona parte della sovranità nazionale a organismi internazionali politicamente irresponsabili (ossia non eletti dai cittadini) grazie al trattato di Maastricht. Lo stesso fece il suo successore, un altro personaggio sobrio, competente e onesto, Carlo Azeglio Ciampi, anche lui eletto con i voti della sinistra e che non si oppose né all’ingresso nell’euro né alla nuova legge elettorale, il famigerato Porcellum, poi giudicato incostituzionale dalla Consulta.

Quello che intendo è che il presidente della Repubblica, in Italia, quando accetti degnamente e correttamente la sua posizione super partes e di semplice simbolo dell’unità nazionale, non conta niente. Così farà Mattarella (a differenza di Napolitano, del quale non parlo perché non so se criticare un presidente uscente esponga all’accusa medievale di lesa maestà).

Mattarella non conterà niente. Per questo Renzi e Berlusconi lo hanno scelto. Non perché fosse il loro uomo (non lo è e non credo che sia l’uomo di nessuno) ma perché gli serviva una patina di rispettabilità per coprire le loro trame. A essere in gioco è molto, molto di più che qualche formalismo giuridico o procedurale: è un modello di sviluppo. Mattarella non si opporrà alle privatizzazioni, non si opporrà alla crescente influenza del denaro, delle lobby e dei media sulla politica, secondo un modello ben collaudato negli Stati Uniti. Probabilmente non ha neppure ben chiaro come opera il liberismo. È un uomo d’altri tempi, che non cambierà e che non ha più bisogno di cambiare. Avverserà le cadute di gusto, la mancanza di correttezza, le intemperanze; forse farà sentire la sua voce contro un vecchio nemico ormai irrilevante, il fascismo, per la gioia di chi si accontenta di continuare a rivincere quella vecchia battaglia per dimenticare le continue sconfitte di oggi.

Quale è stato il suo primo gesto? Andare alle fosse Ardeatine a equiparare il nazismo e il terrorismo. Come a dire che la lotta antifascista va trasformata in una denuncia della violenza, senza fare distinzioni fra chi opprime e chi è oppresso. Ce lo vedo, Mattarella, in prima fila a Parigi a marciare per Charlie Hebdo con Angela Merkel, Mariano Rajoy, David Cameron, Benjamin Netanyahu, tutti campioni del neocapitalismo liberista. E con Renzi, naturalmente. L’ineguaglianza economica, l’ingiustizia sociale, la distruzione dell’ambiente e della cultura, la crisi della democrazia, la disgregazione delle comunità, il consumismo compulsivo, le migrazioni di massa e la libera circolazione dei capitali non sono per loro la vera emergenza. La vera emergenza è solo la minaccia terroristica, come ripetono ossessivamente i media liberisti. Senza mai ricordare che statisticamente il rischio di esserne vittima sia lo stesso che venire schiacciati dalla propria televisione. 

Per questo è assurdo che la sinistra gioisca per questa elezione e la consideri una vittoria. Anche il potere più corrotto ha bisogno di una maschera di integrità. Chi avrebbero dovuto scegliere, Renzi e Berlusconi? Pensate davvero che gli sarebbe convenuto accordarsi su un personaggio squallido o squalificato? su un loro burattino? E per fargli fare cosa? Vorrei che mi elencaste i casi in cui un presidente abbia influenzato l’operato di un governo. Neanche Pertini poté fermare lo sgretolamento dello stato voluto da Craxi (e dal suo amico Berlusconi) e reso possibile da quel patto del Nazareno ante litteram che fu il suo accordo con Andreotti e Forlani (la famigerata CAF). 

L’elezione di Mattarella non è insomma un’operazione politica: mediatica piuttosto. Non fa né di Renzi né di Berlusconi dei grandi strateghi: conferma solo le loro doti di abili manipolatori e di impareggiabili promotori di sé stessi. Era inevitabile che scegliessero una persona pulita: altrimenti avrebbero fatto il gioco della sinistra e del Movimento 5 Stelle. E per cosa? Per la presidenza della Repubblica? A loro non importa chi stia al Quirinale: gli importa una nuova legge elettorale che gli dia il controllo assoluto del Parlamento, possibilmente con una maggioranza dei due terzi per riscrivere la Costituzione.

Non credo che abbiano perso tanto tempo a discutere il nome del prescelto: uno o l’altro era lo stesso purché avesse certe caratteristiche: schiettezza, modestia, rettitudine, coerenza, quelle che loro non hanno. Piuttosto avranno discusso il copione. A Berlusconi è toccata la parte dello scontento: che avrebbe potuto ribellarsi e mettere insieme una coalizione in grado di eleggere, chessò, Amato o Vittorio Feltri. Impossibile, ma la sinistra ormai compensa la sua marginalità con l’ansietà. Per cui di fronte a quella minaccia fasulla si è istantaneamente ricompattata. Anche Vendola è diventato mattarelliano: il consunto gioco del meno peggio ha funzionato ancora. “Perché non possiamo non dirci democristiani” avrebbero potuto dire parafrasando Benedetto Croce – se avessero mai letto Croce.

A Renzi invece è toccata la parte che gli piace di più: del “kingmaker”, quello che sposta le pedine. Con immediato incensamento da parte dei giornali, che non aspettavano altro: non hanno ancora detto che finalmente abbiamo un nuovo Cavour ma ci manca poco. Un Renzi forte a Berlusconi conviene: senza di lui non sarebbe al tramonto; sarebbe tramontato da un pezzo.

Chi crede che il loro scopo sia semplicemente il potere, come sarebbe stato nella vecchia DC, non ha capito nulla. Il renzismo-berlusconismo non è una corrente, un partito, un movimento. Come ho detto sopra, è un modello di sviluppo. È liberismo all’italiana. Queste elezioni presidenziali sono state un diversivo, molto opportuno perché la popolarità del Pd era in caduta libera e gli attriti interni cominciavano a sentirsi. C’era addirittura il rischio che Civati se ne andasse davvero e che il vento di Syriza e Podemos gonfiasse le vele di una nuova sinistra italiana. Una sinistra che avrebbe potuto resistere, come sta accadendo in Grecia e in Spagna, alla dissoluzione dello stato sociale, alla svendita dei beni comuni, alla liberalizzazione del mercato del lavoro, alla globalizzazione dell’economia, all’abbandono della rappresentatività a vantaggio della governabilità. 

Questi sono gli obiettivi di Renzi e dei poteri forti della finanza e dei media che lo sostengono. E sono gli obiettivi del plurimiliardario Berlusconi. Il resto sono dettagli di nessuna importanza, da dare in pasto alla gente per farla accapigliare. Mattarella? La sua legge elettorale fu il primo passo per dare più potere all’esecutivo e toglierlo al Parlamento – senza quella legge Berlusconi, come politico, non sarebbe esistito. Credete che possa e voglia rallentare la deriva liberista? Servirebbe un Alexis Tsipras, un Pablo Iglesias. Un politico di sinistra, di una nuova sinistra che non lotta più contro i fantasmi del passato ma contro il vero nemico di oggi, con armi adeguate, con una nuova retorica, nuove idee. Mattarella non lo è ed è stato scelto per quello. Non è neppure il capo del governo o un leader dell’opposizione: è solo un dignitoso presidente della Repubblica.

Il problema non è Mattarella. Il problema è che la sinistra guardi a lui come a un salvatore.

 


Altri articoli di Francesco Erspamer nei blog Controanalisi  e Il pensiero inelegante.

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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