Il capitale umano, ultimo film di Paolo Virzì adotta un archetipo per mostrare la propensione delle persone a filtrare tutto attraverso la pecunia, compreso il valore di una vita umana. La narrazione è suddivisa secondo i canoni del teatro greco: il prologo si ricongiunge all’epilogo nel rivelare il significato del capitale umano, percorrendo tre capitoli, ciascuno dei quali legato a tre dei personaggi cardine – Dino, Carla e Serena – che ci conducono attraverso la discesa agli inferi del declino culturale, politico e sociale del nostro paese.
Il regista livornese, in questi giorni a New York per presentare il film al Tribeca Film Festival, conosciuto per la capacità di fare critica sociale in maniera pungente e attuale, questa volta sceglie la chiave noir per adattare il romanzo dell’americano Stephen Amidon, ambientato in Connecticut, e trasporlo nel laborioso Nord Italia, come lui stesso racconta a La VOCE di New York:
Cosa ti ha conquistato del romanzo di Amidon, e perché hai scelto di traslarlo nel Nord Italia?
In effetti è stata una sfida un po’ ardita dopo essermi imbattuto in questo romanzo che raccontava in maniera così potente una tragedia americana o per lo meno aveva radici profondamente collocate nel territorio benestante del Connecticut, che orbita intorno a New York. Però mi ha conquistato sentire la comunanza di tematiche, come se, rimpicciolendosi il mondo nella stagione della globalizzazione dell’economia, si fossero anche globalizzati i comportamenti umani. Il Nord Italia del film è un contesto immaginario, anche se spesso si è parlato di Brianza – forse perché fa rima con finanza [ride] – ma in realtà il luogo dove si svolge la storia, Ornate Brianza, non esiste nella realtà. Come nel romanzo di Amidon: la contrada di cui riferisce coordinate con grande precisione, è inventata anche lì. C’è un elemento emblematico, metaforico. Adesso questo film è stato un confortante e bellissimo successo, perché ha avuto un grande esito, dal momento che il film è stato venduto in 31 paesi e adesso questo è il primo appuntamento dove verrà effettivamente visto da un pubblico internazionale. Perciò è interessante che lo spunto sia partito dall’America, che sia poi sbocciato in Italia, e ora torna negli Stati Uniti.
Tutti i personaggi sono condizionati in maniera differente dal capitale, quale è il tuo rapporto con il capitale?
Confusissimo. Non m’interessa accumularlo. Mi piace molto spenderlo e distribuirlo.
C’è stata la tentazione sul set di calcolare il proprio capitale umano?
Per scherzo l’abbiamo fatto tutti. Anche perché il tema è scabroso per quanto sia oggettivo, perché si basa su un algoritmo applicato dalle compagnie assicurative ed è il cartellino del prezzo che ci portiamo tutti dietro.
Secondo un recente – ed inquietante – studio dell’Istat il capitale umano di ciascun italiano equivarrebbe a circa 342.000 euro, e le donne valgono la metà. Era inevitabile quindi interpellare al riguardo le due protagoniste del film, nonché grandi interpreti del cinema italiano, molto amate anche all’estero. Entrambe Valeria. Entrambe attrici-registe: Valeria Bruni Tedeschi (È più facile per un cammello, Attrici, Un castello in Italia) e Valeria Golino (Armandino e il Madre e Miele di recente presentato a New York).
Conoscevate il parametro del capitale umano prima di questo film? E qual è il vostro rapporto con il capitale?
VG: Io non do valore al denaro come dovrei. Lo spendo [ride]. Prima di questo film non conoscevo il parametro del capitale umano.
VBT: Anche io sono spendacciona [ride].
In qualità di registe, com’è stato farvi dirigere da Paolo, c’è mai stata la tentazione di dirigervi?
VG: Amo partecipare ed essere propositiva, ma mi piace anche essere docile e lasciarmi guidare, a seconda del regista con cui lavoro. Con Paolo credo di non aver proposto quasi niente, mi sono lasciata trasportare.
VBT: Io avevo la tentazione più in quanto attrice di proporre dei dialoghi o improvvisare a volte, ma non in qualità di regista. Per me il set è un momento di libertà in cui bisogna aver il coraggio di proporre e lasciare decidere al regista.
E invece con i giovani attori (Matilde Gioli e Guglielmo Pinelli) al loro debutto, come è stata la sinergia sul set?
VG: Le mie scene erano soprattutto con Matilde, che è uno splendore, è dolcissima, una ragazza per bene, era impossibile non affezionarsi a lei. Per me è stato molto bello lavorare con lei. Mi dispiaceva non avere alcuna scena con Valeria (Bruni Tedeschi).
VBT: Guglielmo a volte ho cercato di incoraggiarlo quando era timido, con una sorta d’istinto, quasi magico, a volte aveva dei momenti di timidezza ed era maldestro, mi faceva molta tenerezza.
Che effetto vi fa essere qui al Tribeca?
VG: Siamo molto contente e sarà interessante vedere il riscontro del pubblico americano.
VBT: Io ero già stata qui con il mio primo film e amo molto questo festival, ha un che di fresco, giovanile, porta fortuna come festival.
Qui tutti gli orari delle proiezioni de Il capitale umano al Tribeca Film Festival.