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Dagli USA ancora pochi investimenti in Italia, il déjà vu di Tria a New York

Dopo la tappa a Washington e gli appuntamenti newyorkesi, il titolare dell'Economia ha incontrato la stampa al Consolato Generale in Park Avenue

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Time: 4 mins read

Nessuna recessione in vista, nessuna necessità di una manovra correttiva, più di una ragione per guardare con ottimismo al futuro. Dopo la tappa di Washington, il pranzo con le banche italiane a New York e la lectio magistralis alla Columbia University, Giovanni Tria, venerdì 1 febbraio, ha incontrato i rappresentanti della stampa italiana presso il Consolato Generale d’Italia in Park Avenue. La linea è sempre quella di non drammatizzare il dato della recessione tecnica. “Per ora non c’è alcun motivo di una manovra correttiva perché, come più volte detto, anche l’obiettivo di deficit concordato con la Commissione Europea riguarda il deficit strutturale, e non viene toccato dal rallentamento dell’economia”, ha fatto sapere il titolare del Tesoro.

Sul dato, ha detto il Ministro, hanno pesato da un lato a una componente di incertezza italiana nel periodo che ha preceduto e immediatamente seguito l’approvazione della legge di bilancio, caratterizzato dall’aumento dello spread, dall’altro la congiuntura europea con il rallentamento della produzione in Germania, oltre alle aspettative negative sul commercio internazionale. Condizioni, ha previsto Tria, che dovrebbero rapidamente sparire già nei prossimi mesi: “Non si vedono rischi di recessione in Europa”, ha confermato.

Quanto all’indice PMI manifatturiero, che ha visto un crollo al livello maggiore da inizio 2013, e alle previsioni del Centro Studi Confindustria che si aspetta per il 2019 una crescita vicino allo zero, al Ministro è stato chiesto se le dichiarazioni di ottimismo del premier Conte non risultino troppo scollate dalla realtà. “Guardare con pessimismo al futuro non è una forma di realismo, ma quasi una forma di sabotaggio”, ha risposto Tria. A suo avviso, esistono “tutte le condizioni per una ripresa dell’economia italiana, l’importante è che vengano messe in atto”.

La necessità è dunque quella di combattere “questo sentimento di pessimismo sugli investimenti”, anche perché “ne siamo convinti noi e trovo una corrispondenza in tutti gli interlocutori sul fatto che i fondamentali economici dell’Italia siano forti”. “Tutti però si chiedono come mai questo non porti a un afflusso di investimenti” nel nostro Paese, cosa che dipende, secondo Tria, proprio da quel pessimismo che, a suo avviso, è da combattersi con le parole e con le azioni. “L’investimento sul nostro debito è conveniente”, ha poi affermato il Ministro. E in Italia, ha spiegato, è vantaggioso investire “perché c’è molto spazio per investimenti con alto rendimento, per esempio nelle infrastrutture”. 

A chi gli ha chiesto se, proprio a proposito di percezione, esista una responsabilità da parte del Governo, quando effettua dichiarazioni avventate che preoccupano gli investitori internazionali, Tria ha inizialmente specificato che la maggior fonte di timore è spesso l’idea di una scarsa stabilità e continuità istituzionale. Quindi, ha ammesso che “ci sono a volte messaggi che non vanno in questa direzione”.

Noi della Voce, quando abbiamo posto una domanda al Ministro, abbiamo osservato che già da 25 anni a questa parte i titolari dell’Economia che vengono in visita negli Stati Uniti battono sempre sullo stesso chiodo, e cioè la necessità di attrarre più investimenti. Quindi, gli abbiamo chiesto che cosa gli interlocutori a stelle e strisce non capiscono dell’Italia, e se sono consapevoli del fatto che l’economia  del Belpaese è ben più grande di quello che riferiscono i numeri ufficiali (e qui ci riferivamo al sommerso che, secondo i dati Istat, tra il 2013 e il 2016 ha fatturato 210 miliardi di euro, pari al 12,4% del Pil). Infine, sulla base dell’amicizia reciprocamente ed esplicitamente dichiarata tra il governo di Roma e quello di Washington, abbiamo domandato a Tria se, in occasione di questo viaggio, ha chiesto qualche favore agli americani per aiutare l’economia italiana. “Non ho chiesto favori”, ha risposto il Ministro. “Ho solo cercato di spiegare quali sono le posizioni del Governo in tema di politica economica, ma soprattutto di ribadire che cos’è l’Italia”. Gli americani, ha sottolineato, sono consapevoli della sua solidità. “Ma conoscere bene i dati e avere una visione oggettiva, a volte, non significa capire e conoscere veramente” il nostro Paese, ha fatto notare Tria. Che ha citato ancora, per giustificare l’assenza di una corsa agli investimenti, al netto della forza economica del nostro Paese, la “percezione”: “È vero che i precedenti ministri dell’Economia vengono qua a dire più o meno cose simili: da questo punto di vista la situazione non è cambiata”.  È cambiato, però, il contesto economico globale. “Qui bisogna incidere: non è stato fatto nel passato, dobbiamo cercare di farlo oggi, non si sfugge” e soprattutto “non si può più rimandare”.

Sulle dichiarazioni del ministro e vicepremier Luigi Di Maio, che ha addossato la responsabilità degli ultimi dati sui governi precedenti, Tria, un po’ imbarazzato, non si è sbilanciato più di tanto, ma ha offerto una propria interpretazione delle parole del leader pentastellato: “Si può risalire fino al 1981 quando cominciò a salire il rapporto debito/Pil, e in un certo senso [quello che ha detto Di Maio] è vero perché da allora il debito è aumentato, fino a toccare 120% nel ’92. Il problema del debito viene da lontano, non lo abbiamo creato noi. Se vogliamo interpretarla in questo modo, si può dire che sia vero”, ha chiosato.

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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