Viene considerato il più grave scontro in mare al largo della Crimea dall’annessione della penisola alla Russia nel 2014. L’incidente avvenuto nello stretto di Kerch ha fatto alzare la tensione tra Mosca e Kiev, al punto che la vicenda è finita sul tavolo di una sessione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza all’ONU richiesta da entrambe le potenze contendenti. La Russia, in particolare, ha chiesto l’adozione di un ordine del giorno provvisorio eloquentemente intitolato “Violazione dei confini della Federazione russa”, che non è stato adottato nonostante il voto a favore, oltre al suo, di Cina – che questo mese ha la presidenza – e Bolivia. Quindi, il successivo meeting del Consiglio sulla questione ha anche ospitato il briefing Rosemary DiCarlo, sottosegretaria generale per gli Affari Politici.
Per Mosca, il passaggio di due cannoniere ucraine e di un rimorchiatore per lo stretto di Kerch – unica via per le navi per entrare nel Mar d’Azov dal Mar Nero – avrebbe costituito una provocazione, dal momento che quel tratto di mare era stato temporaneamente chiuso alla navigazione dall’autorità di frontiera. Attualmente, la Russia trattiene quindi le tre imbarcazioni a Kerch, una delle quali sarebbe stata speronata. Mosca avrebbe anche aperto il fuoco prima di sequestrare le navi e inviato sulla scena aerei militari. Alcuni mariani ucraini – di cui Kiev, ha detto l’ambasciatore all’ONU Volodymyr Yelchenko, non ha ancora avuto notizie – sarebbero anche rimasti feriti. Un comportamento che Kiev ritiene una grave violazione del diritto internazionale, perché l’incidente è avvenuto nel mar Nero, libero per la navigazione, e in quanto, naturalmente, non riconosce l’annessione della Crimea da parte russa.
Una vicenda sulla quale si era espresso, nella mattinata italiana, anche l’ambasciatore ucraino a Roma, Yevhen Perelygin, rivolgendosi direttamente a Palazzo Chigi: “Faccio un appello al Governo italiano affinché condanni con fermezza l’aggressione russa contro l’Ucraina e unisca gli sforzi a quelli della comunità internazionale per fermare l’aggressore russo, rafforzare le misure sanzionatorie contro il regime del Cremlino allo scopo di proteggere l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina entro i confini internazionalmente riconosciuti”. Appello “preventivo”, o motivato da un ritardo del nostro Paese nel sanzionare il comportamento di Mosca?
Noi della Voce ci siamo posti questa domanda, non appena abbiamo ricevuto il primo comunicato di condanna delle azioni russe, rilasciato dalla missione permanente della Francia all’ONU. Tra i firmatari della nota, comparivano – oltre a Parigi – l’Olanda, la Polonia, la Svezia e il Regno Unito, ma non l’Italia (che con l’Olanda spartisce il seggio in Consiglio di Sicurezza, e che, in questa veste, in altre occasioni ha esplicitamente condiviso la posizione di altri Paesi europei). Un dubbio che potrebbe essere avvalorato, anche dalla sostanziale schizofrenia della politica estera italiana sulla Russia mostrata già negli anni passati (e con gli esecutivi precedenti). Nonostante si imputi al Governo del Cambiamento di essere filoputiniano, infatti, anche negli anni del centrosinistra l’Italia è sembrata accodarsi controvoglia all’Occidente nel promulgare le sanzioni a Mosca, in virtù dei cospicui interessi economici in ballo. E se all’ONU si condannavano le politiche russe in Ucraina, dall’altro lato i Governi, sul piano delle dichiarazioni ufficiali e non solo, pur mantenendosi fedeli alla posizione occidentale hanno sempre cercato la via della mediazione. A partire da quando, sotto il governo Gentiloni, il Belpaese chiese che il rinnovo dei provvedimenti contro Mosca non avvenisse tramite procedura automatica. Non fu un caso isolato: nel 2015, quando Federica Mogherini ventilò un possibile incremento delle sanzioni alla Russia, giunse la frenata di Gentiloni: «Qualsiasi iniziativa di rinnovo automatico o di nuove sanzioni rischierebbe di danneggiare anziché aiutare l’evoluzione della situazione», aveva chiarito.
In ogni caso, pur non presente nel primo comunicato inviato sulla questione, l’Italia (nella persona del vice Rappresentante Permanente dell’Italia all’ONU Stefano Stefanile) era schierata con gli altri Paesi europei nello stakeout successivo al Consiglio di Sicurezza, in cui si è rinnovata la condanna del comportamento russo. Un portavoce della missione olandese all’ONU ci ha poi assicurato che l’assenza del Belpaese nel primo comunicato era semplicemente dovuta al fatto che gli altri promotori si trovavano in quel momento in Cina: circostanza che avrebbe reso più complicate le comunicazioni con Roma. Resta ancora da vedere come si comporterà l’Italia sull’argomento più spinoso di tutti: le sanzioni. Perché l’ambasciatore ucraino Volodymyr Yelchenko, all’uscita dal Consiglio, rispondendo alle domande dei media, ha dichiarato di aspettarsi dalla comunità internazionale un approccio economico ancora più duro nei confronti della Russia. Ma solo tre giorni fa, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi incontrava l’omologo russo Sergey Lavrov, il quale inseriva il nostro nella lista dei Paesi “che considerano le sanzioni un atto anomalo”. “Gliene siamo grati”, ha detto Lavrov, ma “sta a loro prendere le decisioni e fare il primo passo”. Un primo passo che farà, dopo tanti indugi, proprio questo Governo del Cambiamento?
Quanto agli Stati Uniti, dall’ambasciatrice (uscente) all’ONU Nikki Haley è giunta fermissima condanna della posizione russa. “Questa mattina ho parlato con il presidente Trump e il segretario Pompeo e la mia dichiarazione riflette le preoccupazioni al più alto livello del governo americano”, ha affermato. Eppure, nella sua quotidiana tempesta di tweet, al momento in cui scriviamo il presidente Trump sembra essersi “dimenticato” dell’incidente tra Russia e Ucraina. Non si è dimenticato, invece, di pubblicare un endorsement per Brad Raffensperger come Segretario di Stato per la Georgia; di criticare la CNN; di ricordare il decimo anniversario dall’attacco di Mumbai; di attaccare Mueller e le sue indagini; di intimare al Messico di rispedire i migranti – “molti dei quali delinquenti a sangue freddo” – nei loro Paesi; di criticare la trasmissione 60Minutes per il coverage, a suo avviso di parte, delle politiche migratorie dell’Amministrazione; di evidenziare la caduta del 42% delle donazioni alla Clinton Foundation; e persino di mandare un avvertimento all’Europa rispetto al livello del suo commitment finanziario con la Nato: “le cose”, ha detto, “dovranno cambiare”. In effetti, ad attendere un cinguettio presidenziale sull’inasprimento delle tensioni tra Ucraina e Russia c’è anche lo stesso ambasciatore ucraino Yelchenko, che, parlando con i corrispondenti all’ONU, ha ammesso sorridendo di aspettarlo con curiosità. Il Commander-in-Chief fugherà ogni dubbio e lo accontenterà?