Tutti noi abbiamo sentito parlare di innumerevoli teorie complottistiche. È sufficiente fare una veloce ricerca su Google per immergersi nel vastissimo mondo che esplora le più controverse teorie riguardanti le scie chimiche, l’assassinio di Robert e John Kennedy, la tragedia dell’11 settembre, gli Illuminati e il “falso allunaggio” del 1969, solo per citare i casi più famosi.
Una teoria del complotto (ancora) non molto conosciuta, invece, riguarda proprio le Nazioni Unite. La morte dell’ex Segretario Generale Dag Hammarskjöld rimane infatti avvolta nel mistero e proprio in queste ore l’attuale Segretario Ban Ki-moon ha fatto sapere di aver riaperto le indagini a riguardo in seguito al rilascio da parte del governo sudafricano di particolari documenti che potrebbero aggiungere importanti dettagli ed aiutare a ricostruire l’ancora confusa dinamica degli eventi. L’impresa è però complicata dal fatto che vari paesi direttamente coinvolti nelle indagini, quali Belgio. Regno Unito e Stati Uniti sono da sempre riluttanti a condividere le informazioni. E, a ben guardare la storia, hanno le loro ragioni.
Dag Hammarskjöld, diplomatico svedese, ha servito come Segretario Generale delle Nazioni Unite per due mandati consecutivi, dal 1953 fino alla sua morte avvenuta il 18 settembre del 1961. Il suo impegno per l’Organizzazione è stato molto sentito: ha infatti cercato di allentare le tensioni tra Israele e i paesi arabi, negoziato il rilascio di 11 piloti statunitensi catturati in Cina durante la Guerra di Corea, è intervenuto attivamente durante la crisi di Suez ad ha anche, tra le altre cose, pianificato personalmente la creazione di una “sala di meditazione” all’interno del Palazzo di Vetro. A partire dal 1960 egli si è fortemente legato alla causa della decolonizzazione dell’Africa e si stava in particolare dedicando alla difficile questione dell’indipendenza del Congo, allora ancora nelle mani del governo belga. È proprio in Congo che Hammarskjöld farà il suo ultimo viaggio. La morte l’ha colto quando l’aereo “Albertina” (un Douglas DC-6B) partito dalla capitale Léopoldiville (oggi Kinshasa) e diretto al campo di aviazione di Ndola è precipitato nel protettorato britannico dell’allora Rhodesia Settentrionale, cioè l’odierna Zambia. L’ex Segretario si trovava in Africa per negoziare un cessate il fuoco tra le forze ONU e le truppe katangesi di Moise Thsombe sostenute anche dal Belgio. Hammarskjöld morì sul colpo (almeno secondo quanto affermano le ricostruzioni ufficiali) e con lui persero la vita altre 14 altre persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. La versione ufficiale, accettata durante i primi anni che seguirono il fatto, affermano che l’aereo precipitò per problemi tecnici o, comunque, a causa di un non meglio definito ”incidente”. A noi italiani questo richiama alla memoria un simile “incidente” nostrano, quell’aereo che nel 1962 strappò la vita a Enrico Mattei, l’allora presidente dell’ENI, odiato dai magnati anglo-americani dell’industria petrolifera, morto proprio a causa di una bomba collocata nel carrello d’atterraggio…
Le indagini iniziarono subito dopo la morte di Hammarskjöld e furono seguite dalle Nazioni Unite e dalla Rhodesian Board of Investigation. Si scoprì presto che la faccenda era in realtà molto più complicata, tanto che ancora oggi non è chiaro come realmente si svolsero i fatti. Uno dei giornalisti che recentemente ha scavato più a fondo nell’intricato quadro della situazione è Colum Lynch di Foreign Policy, che ne ha fatto un reportage completo da cui anche noi abbiamo preso alcune informazioni.
Dag Hammarskjöld era coinvolto in questioni strettamente legate agli interessi di Belgio, Stati Uniti, Inghilterra, Sudafrica e dell’industria estrattiva Union Minière che sfruttava le risorse del ricco sottosuolo dell’area del Katanga. Mentre il diplomatico infatti si era dichiarato completamente a favore dell’indipendenza del Congo, il Belgio e gli altri paesi citati non volevano perdere la loro influenza sulla zona e in particolare erano preoccupati che le risorse di uranio presenti in Katanga potessero finire nelle mani nemiche dell’Unione Sovietica. Inoltre, Hammarskjöld si trovava in Congo proprio per convincere il leader dell’esercito indipendentista Moise Thsombe ad allentare i legami con il Belgio e riappacificarsi con i leader del suo paese.
Iniziarono a circolare voci secondo le quali la morte dell’ex Segretario dell’ONU non era affatto stata un incidente, ma un vero e proprio assassinio premeditato. Questa tesi è fortemente sostenuta nel libro “Who Killed Hammarskjöld? The UN, the Cold War and White Supremacy in Africa” pubblicato nel 2012 da Susan Williams. Il libro include anche preziose testimonianze risalenti alla notte del crollo dell’Albertina. Charles Southall, un ex officiale navale americano che nel 1961 era stanziato a Cipro, ha per esempio dichiarato di aver ascoltato una registrazione in cui un pilota esultava per il crollo dell’aereo di Hammarskjöld: “Vedo un aereo che sta perdendo quota. Tutte le luci sono accese. Si, è il DC6, è quello, l’ho colpito! Ci sono delle fiamme, sta precipitando!”. Un altro americano di base a Candia, Grecia, ha invece riferito all’agenzia investigativa dell’ONU di aver intercettato un segnale radio in cui una persona con un forte accento straniero affermava: “Gli americani hanno appena colpito un aereo delle Nazioni Unite”.
In generale, la tesi complottista che ha avuto più seguito è stata indotta da alcuni documenti presentati per la prima volta nel 1998 dall’intelligence sudafricana alla Commissione Sudafricana per la Verità e la Riconciliazione riguardanti l’assassinio del leader comunista Chris Hani. Nel plico comparivano anche 8 importanti documenti che esplorano la collaborazione instauratasi tra l’Istituto Sudafricano per la Ricerca Marittima (SAIMR), una presunta organizzazione clandestina attiva in Congo agli inizi degli anni ’60, l’intelligence britannica (MI5) e la CIA. Secondo quanto riportato queste organizzazioni sarebbero strettamente coinvolte nell’assassinio di Dag Hammarskjöld al punto che l’allora capo della CIA Allen Dulles avrebbe dichiarato in privata sede: “Dag ci sta dando molti problemi… dovremmo eliminarlo”. Il piano elaborato prevedeva di piazzare circa 3 chili di esplosivo nell’areo del diplomatico svedese che sarebbe quindi dovuto esplodere poco dopo il decollo dall’aeroporto di Léopoldville. Dato che questo non è avvenuto si è dovuto passare al “piano B” che consisteva nell’accendere la dinamite a distanza durante la discesa verso Ndola. L’intelligence americana aveva prontamente allontanato tutte le accuse affermando: “L’idea che la CIA possa aver a che fare con la morte di un Segretario delle Nazioni Unite è assurda e senza alcun fondamento”.
Tuttavia, i documenti presentati dall’intelligence sudafricana che portarono alla macchinazione di questa teoria non sono originali e quindi non è stato possibile provarne l’autenticità attraverso i test di carta e inchiostro. Inoltre in essi si fa anche riferimento ad un misterioso “Corpo per le Operazioni Speciali”, che è stato invece dimesso negli anni ‘40.
Uno dei principali ostacoli all’avanzamento delle indagini riguardo alla morte di Dag Hammarskjöld consiste nella scarsità di informazioni. Le torri di controllo dell’aeroporto di Ndola non hanno registrato alcun traffico la notte del 18 settembre (nonostante avessero tutte le attrezzature necessarie per farlo) e gli Stati Uniti hanno dichiarato di non aver avuti contatti radio con Hammarskjöld, anche se molti affermano il contrario. Già in passato Ban Ki-moon aveva dichiarato che i documenti in possesso dei singoli Stati rappresentano le fonti migliori e più preziose per le ricerche. Oggi, il Segretario Generale ha rafforzato il suo invito perchè tutti i paesi condividano il materiale a loro disposizione in modo da riuscire finalmente a fare luce su una morte che richiede una spiegazione ormai da troppo tempo.