Troppi Democratici americani reagiscono in modo esagerato a ogni affanno che porta il presidente Trump ad avere dei problemi politici. Basta che una donna in più dichiari di essere stata abusata da Trump, che i Democratici paventeranno l’impeachment. È sufficiente che Trump scriva un tweet dicendo che il suo pulsante rosso, quello nucleare, sia più grande di quello di Kim Jong-un, per far credere ad alcuni democratici che, finalmente, i supini Repubblicani del Congresso si ribelleranno contro il loro presidente. Basta che il Presidente dica un’altra palese menzogna, una di più, che i Democratici anticiperanno le celebrazioni per le vittorie congressuali del prossimo novembre.
Il recente libro di Michael Wolff, Fire and Fury, porta alcuni Democratici e molti altri ad immaginare l’impossibile, anzi, il ridicolo. Immaginano che un Congresso dominato dai repubblicani, possa davvero far leva per la prima volta nella storia sul 25° emendamento della Costituzione per rimuovere Donald Trump dal suo incarico.
Come se gran parte di ciò che Wolff ha pubblicato non fosse già bene a conoscenza del pubblico. Come se nessuno avesse immaginato quanto velocemente i colleghi giornalisti di Wolff avrebbero posto l’accento sui suoi numerosi errori presenti nel libro. Come se nessuno considerasse come potrebbe diventare la vita in America se gente del calibro di Mike Pence diventasse presidente!
Il delirio politico è senza limiti. Gli americani che sono amareggiati perché Trump manca di qualsiasi precedente esperienza politica ora sembrano pronti, anzi entusiasti, a rivolgersi a una Oprah Winfrey, un’altra americana priva di tali esperienze. Non è colpa di Winfrey, qualcuno potrebbe dire, il fatto che lei stessa abbia innescato questa “ondata di scudi” (a suo favore e a favore della sua candidatura) con il discorso pronunciato durante i “Golden Globe”. Ma “Oprah for President” sarebbe comunque molto vicino alla cima della lista degli impulsi autodistruttivi del Partito Democratico.

Le potenti e inquietanti ragioni per cui Donald Trump è oggi il Presidente degli Stati Uniti e il motivo per cui potrebbe benissimo resistere, meritano di essere esaminati.
Per cominciare, Donald Trump non è un presidente populista, non lo è socialmente, non lo è politicamente e certamente nemmeno economicamente. Parte della retorica di Trump può sembrare populista. In realtà si preoccupa meno di tutto proprio di quelle stesse persone che lo hanno mandato a Washington. Lungi dall’attuare politiche pubbliche populiste, che ad esempio forniscano assistenza per chi è in affanno, Trump esorta ancora oggi il Congresso a costruire un muro inutile e costoso per bloccare i messicani. E contrariamente alle sue promesse, sarà il contribuente americano, e non il Messico, a dover saldare il conto di questa cognizione.
Il termine populismo include una componente emotiva: ovvero le aspettative delle persone comuni, del popolo, che il loro leader politico metterà in atto politiche pubbliche capaci di ridurre e non incrementare il loro dolore e di alleviare la loro rabbia. Per queste persone una politica fatta di “drained swamp” (letteralmente, una “palude prosciugata”) significherebbe soprattutto la fine delle politiche pubbliche, che finiscono per favorire, ingigantendole in maniera schiacciante, l’élite di una nazione, e in particolare le “vacche grasse” dal punto di vista economico di quest’ultima.
Come può quindi un Trump essere scambiato per populista, un presidente che ha riempito il suo governo e le altre agenzie federali di miliardari! Molti di questi uomini e di queste donne sono chiamati da Trump a paralizzare o a distruggere le stesse unità federali che sono stati chiamati a guidare. Come membri di una potente cabala politica, lasceranno il pianeta e la sua gente in condizioni peggiori di quanto non abbiano trovato.
C’è anche l’errata convinzione che la spesa pubblica di Trump gonfierà astronomicamente il debito pubblico. Si, questa tendenza potrebbe concretizzarsi. In effetti sembra essere garantita dalla riforma fiscale promulgata frettolosamente da Trump e dai Repubblicani. Questo disegno di legge è stato architettato in maniera palese per avvantaggiare i super-ricchi e per storpiare economicamente la classe media. Ma l’intonazione di Trump, “America First”, porta l’implicazione anti-populista che la disuguaglianza socio-economica, già oggi in testa alla classifica in America, stia per peggiorare. E se il deficit raggiungesse il suo picco, la sua causa non sarebbe proprio l’ammontare della spesa pubblica sul welfare del Paese.
Nonostante tutto, Donald Trump appare politicamente immune, intoccabile. Una delle ragioni è che nessuno meglio di lui sfrutta i mass media per ottenere un vantaggio personale. Non a caso, ha sempre ringraziato apertamente anche i media più ostili nei suoi confronti. In generale infatti i media hanno fornito a Trump, senza alcun costo per lui, pubblicità su pubblicità gratuita che gli sarebbe dovuta costare, come valore, miliardi di dollari. Come presidente, ora, riceve le attenzioni del mondo anche se colpisce una pallina da golf in Florida, o ancora se pubblica un altro tweet con tono “minaccioso”, da lui stesso scritto, dallo Studio Ovale.
Se, come molti esperti sostengono, la name-recognition (il riconoscimento del nome da associare a un volto o a un personaggio pubblico) è la quintessenza della politica, beh, Donald Trump è senza pari in questa categoria. Stando così le cose, perché qualcuno dovrebbe quindi sorprendersi nel sapere che, anche se non voleva o non si sarebbe mai aspettato di avere quattro anni alla Casa Bianca, ora Trump potrebbe contemplare un secondo mandato? È incoraggiato a farlo sapendo che, nonostante quello che i sondaggi potrebbero dire, la sua base elettorale rimarrà solida. Quella base che rimane stabile sempre, indifferente alla grandezza delle prove inquietanti del suo comportamento quotidiano.
Quindi, se il populismo non si trova alla base della presidenza Trump, che cosa può spiegare meglio agli Stati Uniti la sua presenza alla Casa Bianca? Che cosa devono fare i Democratici per “digerire” le dinamiche del Paese che potrebbe aiutarli a vincere non solo il prossimo novembre ma, in modo vitale, anche le elezioni presidenziali del 2020? Quali sono per gli Stati Uniti, politicamente parlando, le informazioni essenziali?
Potremmo iniziare con un semplice memorandum storico: i padri fondatori dell’America hanno costituito, e il suo popolo apparentemente lo accetta, un collegio elettorale per le Presidenziali progettato per prevenire il dominio del voto popolare. Alcuni “membri dell’equipaggio” di Trump possono ora affermare di averlo sempre saputo e, in effetti, hanno deciso di sfruttare elettoralmente questo aspetto del sistema. Questa cosa è palesemente riconosciuta. Tuttavia, come sottolinea il voto popolare, Donald Trump è un presidente distintamente di minoranza, che ha ricevuto quasi tre milioni di voti in meno rispetto a Hillary Clinton. Non è il primo candidato a cadere in questa categoria, di Presidente “di minoranza”; ma è di gran lunga il caso più spettacolare, così come, per la maggior parte degli americani, il più spaventoso di tutti.
A dire il vero, l’antica arte del gerrymandering (ovvero la modifica da parte di un partito delle circoscrizioni, dei distretti elettorali, per trarne un vantaggio alle elezioni) aiuta anche i repubblicani a dominare il collegio elettorale. È anche la ragione per cui Repubblicani in “minoranza” dominino così tanti legislatori statali (circa tre quarti) e, conseguentemente, per come funziona il sistema, anche la maggior parte dei governatorati. Un fatto politico fondamentale degli Stati Uniti è proprio questo, del resto: che non avendo valorizzato fin dall’inizio il concetto di rappresentanza territoriale, quasi la metà della popolazione che ora risiede negli enormi centri urbani e cosmopoliti del Paese rimane marcatamente sotto-rappresentata.
La popolarità di Donald Trump negli stati “rossi” sovra-rappresentati è così forte che persino i repubblicani che detestano il presidente si fanno scrupoli a metterlo in discussione. Questo include quasi tutti quelli che, durante le primarie presidenziali repubblicane, sono stati umiliati, sminuiti, presi in giro o, altrimenti brutalizzati, da Donald Trump. Per la maggior parte di questi Repubblicani, titolari di cariche o di incarichi politici, né gli antichi principi del Partito Repubblicano (ad esempio, il principio dell’anti-deficit) né l’integrità della stessa Repubblica Democratica, sono più importanti della loro carriera politica personale.
Almeno due aspetti aggiuntivi dell’America contemporanea sembrano fatti su misura per permettere a Trump di trionfare contro la sua “potenziale” opposizione. Il primo è che il Paese è ampiamente misogino. Nessun candidato presidenziale prima di Donald Trump aveva promesso che, se eletto, avrebbe mandato in galera il suo avversario. Si può sostenere in questo contesto che nemmeno uno come Trump avrebbe rischiato di usare una tale minaccia senza precedenti, se il suo avversario fosse stato maschio.
Se Trump ha dei ripensamenti su Hillary Clinton, non è così per i suoi seguaci. Tra questi ultimi ci sono milioni di donne americane per le quali la pubblicazione (favorita dagli hacker russi) delle e-mail di Clinton sia molto più da condannare della lunga lista di accuse, incluse le molestie alle donne, alle quali il presidente è stato associato o delle quali è stato accusato. Se la diffusa misoginia non fosse stata politicamente utile, è improbabile che Donald Trump sarebbe rimasto ancora “in corsa contro Hillary!”
Le visioni del misogino non sono limitate alle donne in Alabama o nel profondo sud. Senza un livello sorprendente di avido sostegno da parte di così tante donne americane, Trump non sarebbe il presidente. Questo grado di tolleranza femminile nei confronti dell’ostilità e degli abusi maschili può essere considerato in Europa come strano o disdicevole. Nell’America contemporanea, ad eccezione delle donne delle generazioni più giovani, questo tipo di misoginia è invece un fatto di importanza politica potenzialmente enorme.
L’America purtroppo è anche un paese profondamente razzista, un altro dei fattori che ha funzionato e che continua a funzionare a favore di Trump. Per esempio, fin dal suo primo passo all’interno dell’Ufficio Ovale, Barack Obama aveva ben capito che a lui, un nero americano, non sarebbe mai stato permesso di agire con lo stesso grado di libertà di cui godevano i suoi predecessori bianchi. Il razzismo può essere subliminale per la maggior parte degli americani e persino inattivo per quasi tutti. Ma basta chiedere in giro, ovunque, del comportamento tenuto dalle autorità locali, per vedere uno scenario che diventerà quantomeno più confuso.
Se non ci fosse il razzismo, quello subliminale o di altro genere, da sfruttare politicamente, i Repubblicani avrebbero impiegato meno tempo e messo in campo meno sforzi per capitalizzare il vantaggio che hanno. Invece, a cominciare dallo stesso Trump, i repubblicani fanno di tutto per affiancare il nome di Obama a tutte le politiche pubbliche che vogliono arginare o distruggere. Ciò include anche quelle politiche pubbliche con le quali l’ex presidente ha avuto poco o nulla a che fare. E questa non è una svista accidentale.
Considerate questo: quando agli americani viene chiesto se approvano o desiderano un’assistenza sanitaria sponsorizzata dal governo per loro stessi, i loro coniugi e/o i loro figli, circa due terzi degli intervistati risponde affermativamente. Allo stesso tempo, basta chiedere a qualsiasi campione nazionale composto da americani se siano favorevoli o meno all’Obamacare (un altro modo per menzionare l’Affordable Care Act di Obama) per vedere quella maggioranza sciogliersi, evaporare, scomparire! Anche questo non è un caso.
I Democratici americani hanno bisogno di riconoscere e di scendere a patti con questi fatti. Aiuteranno a creare un’opposizione più forte a Trump, e forse un maggiore successo alle urne. Modi, mezzi e candidati capaci di porre gli Stati Uniti su una traiettoria politica migliore, più sana, sono urgentemente necessari. È essenziale, per il cittadino americano, che la presidenza di Trump non venga “istituzionalizzata”, cioè, non venga considerata come normale.
Quando, come amministratore delegato e commander-in-chief, Trump sembra comportarsi in modo eccessivo, è saggio ricordare non solo che questi enormi poteri esecutivi erano già lì, sul posto, quando Trump entrò nell’ufficio ovale. Ma che anzi questi poteri crebbero enormemente sotto le amministrazioni presidenziali di Bill Clinton e Barack Obama. Ora, molti di noi si ritrovano a dover convivere nervosamente con questa realtà.
Trovare candidati democratici che, il prossimo novembre, creino più delle perdite politiche di medie o “normali” dimensioni al partito che è oggi al potere, è chiaramente una missione ad alta priorità. Individuare e nominare un candidato in grado di negare a Donald Trump un secondo mandato sarà molto più impegnativo. Essendo il cittadino americano così come l’ho descritto politicamente, la marcia del domani è ancor più ripida e in salita!
Quanto detto sopra sembrerebbe rendere quindi visionario e irrealista, un qualsiasi pensiero che possa accostare Oprah Winfrey a valido candidato contro Donald Trump, nonostante il suo talento e i risultati a lei ampiamente riconosciuti. È urgentemente richiesto un pensiero politico più creativo, più solido, non solo da parte dei Democratici quanto, piuttosto, da tutti quegli americani che condividono una qualsiasi fonte di preoccupazione riguardo al destino della nostra Repubblica Democratica.
Traduzione a cura di: Davide Mamone