Si cerca sempre di dare agli altri la colpa della propria inadeguatezza. Gli slavi venivano chiamati dagli antichi greci sklavos, schiavi, perché erano delle genti sottomesse essendo sempre state popolazioni divise in tribù litigiose, incapaci di unirsi per il bene comune creando uno stato ed una cultura. Il dittatore comunista Tito ci riuscì alla fine della Seconda guerra mondiale, istigando gli slavi stanziati lungo la costa in Dalmazia ed in Istria, già dall’impero austro-ungarico, a sollevarsi contro il padrone di etnia italiana derubandolo ed uccidendolo al fine di prendere il suo posto e instaurare la Repubblica socialista federale di Jugoslavia, che significa “terra degli slavi del sud”, dalle spoglie del Regno di Jugoslavia, creato nel 1929 dalla dinastia serba dei Karageorgevic.
Per secoli gli italiani della costa orientale hanno continuato a chiamare in dialetto veneto gli slavi, sc’iavi, schiavi appunto, un termine dispregiativo che li ha fatti odiare da quest’ultimi. Quando Tito ha risvegliato il loro orgoglio etnico, si sono scatenati come delle bestie feroci, liberate dalle catene. Perché altro non si può dire di genti che nel 1943 hanno cominciato a trucidare tutti gli italiani di Istria e Dalmazia.

Non tutti gli slavi erano maltrattati dagli italiani e, se si rifiutavano di passare dalla parte dei partigiani comunisti, venivano uccisi anch’essi, come non tutti i ricchi erano italiani e, se erano austriaci o slavi, erano comunque odiati dai comunisti slavi, che li ammazzavano. Ma non bastava farli morire. Dovevano prima soffrire atrocemente perché erano state delle ‘persone che avevano rubato ai poveri’, essendo la proprietà ritenuta un furto. Conflitti e guerre sono generate sempre dall’avidità e dall’invidia dell’uomo. Così gli slavi inventarono le foibe, cimiteri per morti viventi. Le foibe erano profonde voragini naturali nel terreno istriano dove venivano gettati i ricchi, per lo più italiani, dopo esser stati umiliati e seviziati. Erano legati l’un l’altro ai polsi, creando una fila di prigionieri, e al primo sul ciglio della foiba veniva sparato un colpo di pistola che lo faceva precipitare nella fossa immane, provocando il trascinamento degli altri vivi e feriti nell’abisso. Si moriva con atroci sofferenze che duravano giorni.

Norma Cossetto aveva 23 anni: è morta così, gettata ancora viva in una foiba di 136 metri di profondità, dopo esser stata seviziata atrocemente e violentata da 17 partigiani. Era la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. Catturata al posto del padre, che si trovava a Trieste nel momento dell’armistizio come ufficiale della Milizia volontaria per la Sicurezza nazionale. Stava preparando la tesi di laurea dal titolo “Istria Rossa”, perché terra ricca di bauxite che lei aveva definito “rossa come il sangue”. Sono le parole d’inizio del film Red Land, presentato a Roma e a Trieste un paio di settimane fa. Non ci sarei andata a vederlo – è difficile guardare la sofferenza patita anche da tuoi parenti – se un mio amico, l’attore Vincenzo Bocciarelli, che nel film è il cognato di Norma, non avesse insistito. Attori non famosi ma bravissimi, film veritiero, ma io sono rimasta tramortita sulla sedia senza riuscire a parlare, come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco.

Alla proiezione erano presenti Loredana, Diana e Dino Cossetto figli di Giuseppe, cugino di Norma e suo coetaneo, che andò a riconoscerla e a tagliarle il filo di ferro ai polsi cinque giorni dopo. Giuseppe ha lasciato un diario dove descrive le sensazioni di abbandono, panico e terrore vissute dagli istriani in quei giorni durante le violente irruzioni partigiane nelle case. Hanno osservato che “l’attrice Selene Gandini assomiglia molto a Norma, che il film è fedele ai fatti ma che erano preparati al peggio perché le violenze sono state peggiori”. Ho poi letto che a Norma vennero amputati i seni e fu trovata con un palo di legno conficcato nella vagina. Una donna che vide lo stupro dalla finestra testimoniò che invocava: “Mamma, dammi acqua”. Ora nella casa dei Cossetto abitano da padroni i loro ex contadini slavi che non hanno mai comprato la proprietà che occupano. Ma sono convinti di essersi meritati questo ‘risarcimento’. Succedeva ‘solo’ 75 anni fa, in terra italiana.