C’era una ragazzina bionda di nome Susanna che abitava nel palazzo davanti a casa mia. Aveva più o meno la mia età, cioè undici anni. Era davvero molto carina, tanto che io mi ero innamorato follemente di lei. La guardavo mentre faceva i compiti, nel pomeriggio, seduta alla sua scrivania, mentre io facevo finta di fare altrettanto, davanti a qualche tema d’italiano o ad una ricerca di storia. Lei sapeva che io ero lì, però, un po’ perfidamente, non si girava mai a guardarmi. Così io continuavo a fissarla, mi concentravo e pensavo: “Dimmi quando, quando, quando?”
A furia di quando quando, improvvisamente, un giorno lei si girò e mi sorrise. Era un sorriso dolce, simpatico, fantastico che, naturalmente, mi fece innamorare sempre di più. Così chiesi i soldi in prestito a mio padre e andai nel negozietto sotto casa a comprarmi il disco di quel cantante dallo strano nome, Tony Renis. Quando, quando, quando era stata la sua prima canzone famosa, non aveva vinto il Festival di Sanremo di quel 1962 ma, in compenso, era rimasta prima in classifica per ben dieci settimane e aveva anche iniziato a girare il mondo, interpretata dai cantanti più famosi.
Le parole erano davvero semplici, direi quasi banali. Ma c’era qualcosa che andava al di là del testo. Era l’allegria. L’allegria della musica e dell’accattivante ritornello, certo, ma, in fondo, anche l’allegria di quel giovane cantante sempre sorridente che, all’epoca, aveva soltanto ventiquattro anni. Elio Cesari, questo è il suo vero nome, in arte Tony Renis, era nato a Milano nel 1938. Da piccolissimo, a 5 anni, già si esibiva nell’aia del paese di Cassago Volta, dove la sua famiglia era sfollata durante la guerra. Era leggermente balbuziente, difetto che l’ha accompagnato tutta la vita e che lo ha reso ancora più simpatico. Lui ha sempre detto che tutti coloro che parlavano con lui, sviluppavano subito una sorte di tenerezza e un immediato senso di protezione a causa di questo suo difetto, così non si è mai deciso a frequentare seriamente un logopedista.
Era amico d’infanzia di Adriano Celentano, con cui andava in vacanza in colonia, a Pietra Ligure.
I due ragazzini, insieme, si divertivano ad imitare nei locali periferici il duo Dean Martin (Renis) e Jerry Lewis (Celentano). Suo padre Orfelio era un musicista, e compose le prime canzoni, tra cui una certa Pozzanghere Tony aveva portato a Sanremo nel 1961, passando praticamente inosservato, nonostante la sua grande amica Mina praticamente barattato la propria presenza con la sua, pur di farlo entrare in gara. Ma era solo questione di tempo. Il Festival, infatti, Tony lo vinse nell’anno successivo, il 1963, con la canzone Uno per tutte.
“L’anno prima ero stato eliminato subito ed ero rimasto molto deluso. Vivevo ancora con i miei genitori e non sapevo più che cosa fare riguardo alla mia carriera. Mi misi al pianoforte e, in quel momento di grande tristezza, iniziai invece a suonare queste note così allegre. Portai il brano al mio editore Mariano Rapetti, il papà di Giulio, che poi diventò il celebre Mogol. Decidemmo di cambiare il tempo dalla bossa nova al samba e, infine, approdammo a Sanremo e per me cambiò tutto”.
Il testo, in fondo un po’ hard per quei tempi, consacrava un cinico playboy di provincia che passava tranquillamente da una ragazza all’altra, senza aver alcuna voglia di sceglierne una soltanto. all’epoca, per i ragazzetti sbarbatelli, una sorta di esempio di totale superficialità da imitare e diffondere, della serie “più ragazze ho e più sono fico”. Renis invece non era superficiale per niente e procedeva nella sua carriera con grande serietà.
Nel 1964, lavorando con il giovane arrangiatore americano Quincy Jones, realizzò il disco per bambini Lettera a Pinocchio fu inciso in ben sette lingue e divenne un successo internazionale, anche nella versione successiva di Johnny Dorelli. ’67 partecipò di nuovo al Festival di Sanremo, ma solo come autore con Quando dico che ti amo, cantata da Annarita Spinaci e da Les Surfs, che arrivò seconda.
Nel ’68 invece tornò in prima persona, in coppia con Domenico Modugno, con la bellissima Il posto mio. stesso anno scrisse per Mina una canzone destinata a diventare storica nella carriera della cantante. Grande grande grande, infatti, divenne popolarissima non solo in Italia, ma nel mondo intero. Tradotta in inglese con il titolo Never Never Never, è stata poi cantata da moltissimi famosi interpreti, tra cui Shirley Bassey, Celine Dion e Luciano Pavarotti.
Negli anni Settanta Renis decise di trasferirsi a vivere negli Stati Uniti. “All’inizio non conoscevo praticamente nessuno lì – raccontò – Alloggiavo al Beverly Hills Hotel, a Los Angeles. Stavo tutto il giorno in piscina dove c’erano attori e produttori importanti. Mi ero messo d’accordo con la ragazza alla concierge. Doveva chiamarmi al telefono ogni dieci minuti con il megafono. ‘Mister Tony Renis al telefono, please!’ Dopo tre giorni di quella solfa qualcuno iniziò a chiedersi chi diavolo fossi, visto che ero così ricercato e così cominciai a conoscere gente, a fare cose in quell’America che mi ero immaginato come inarrivabile”.
Ritrovò anche il suo vecchio amico Quincy Jones e conobbe presto altri grandi della musica come Stevie Wonder e Frank Sinatra. Iniziò a scrivere canzoni che furono interpretate da Diana Ross, Julio Iglesias, Lionel Ritchie e anche da una bambina fenomeno desinata a diventare molto famosa, Nikka Costa. Nel ’99 vinse il Golden Globe con la canzone The Prayer cartone animato La spada magica, cantata da Celine Dion e Andrea Bocelli, con il quale iniziò una collaborazione destinata a durare per molti anni. In seguito Renis ha lanciato e prodotto i primi dischi de Il Volo. Quest’anno Tony ha ricevuto il premio I Numeri Uno – Città di Sanremo, consegnato sempre agli artisti capaci di portare la canzone e il festival nel mondo.
“Tornare a Sanremo è sempre un’emozione – ha detto lui – Avvicinandomi alla città, ho sentito ieri una stretta al cuore”. La stessa stretta al cuore che avevo sentito io, in quel giorno di tanti anni fa.
Dopo aver comprato il 45 giri di Quando, quando, quando, ero tornato a casa e lo avevo subito messo sul giradischi, alzando il volume al massimo. E mentre i miei genitori inferociti dal rumore, bussavano sulla porta, chiedendomi inutilmente di abbassare, la ragazzina del palazzo davanti, si era di nuovo girata dalla mia parte e poi si era anche affacciata alla finestra, per sentire meglio.
“Andiamo a fare una passeggiata?”, gridai io, temendo di beccarmi il classico rifiuto.
“Sì”, rispose invece lei. Dopo cinque minuti ci ritrovammo davanti al portone e prendemmo a camminare insieme, parlando di un sacco di cose. Diventammo grandi amici e lo siamo ancora oggi.