Nei lunghi secoli che hanno visto gli europei scannarsi vicendevolmente per la conquista dell’egemonia, un posto a sé occupa la battaglia di Azincourt, località presso la cittadina di Calais, il tradizionale punto d’imbarco dal continente verso le isole britanniche. Si trattò di uno degli episodi più significativi della guerra dei Cent’anni, e accadde seicento anni fa, il 25 ottobre 1415.
La centenaria carneficina era scoppiata nel 1337, con la richiesta del trono di Francia da parte dell’allora re inglese Edoardo III, e si sarebbe conclusa nel 1453, con l’espulsione degli invasori dal continente, ad eccezione del ridotto di Calais, che tornerà francese nel 1558. Così andava l’Europa del tempo. I due stati in formazione se le davano di santa ragione per il predominio geopolitico e geoeconomico, con la corona inglese impegnata a non consentire lo sviluppo, alle frontiere, di uno stato competitor come la Francia, già sufficientemente assertiva e tuttavia in ritardo nell’edificazione di istituzioni nazionali condivise e riconosciute. La soluzione al conflitto coincise con la fine del Medio Evo, tra il clamore delle nuove armi da fuoco e il sorgere degli eserciti professionali nazionali, l’avanzata ad oriente dell’islam e la caduta di Costantinopoli in mani ottomane e, neppure 25 anni dopo, la scoperta del continente americano.
In quel contesto va letto quanto accadde ad Azincourt, o Agincourt come stroppiano gli inglesi. Il re britannico Enrico V provò a trarre vantaggio dalla contesa tra armagnacchi e borgognoni per il trono di Francia, schierandosi con i borgognoni contro il re demente Carlo VI e i suoi alleati genovesi. Preparò perfettamente la campagna armando marina ed esercito con le risorse attinte tra nobili, clero e popolo, e avviò le operazioni sul suolo francese. Arrivò alla giornata di Azincourt con un numero relativamente basso di uomini, per giunta stanchi e malnutriti. Si impose grazie alla tattica adottata, lasciando sul terreno qualche centinaio di combattenti, mentre i francesi perdevano un gran numero di nobili e quadri, e molte migliaia di militi. Pur avendo (sembra) il quintuplo degli armigeri britannici, i francesi soffrirono l’impantanamento della cavalleria pesante sul terreno fangoso di fine autunno, offrendo agli infallibili arcieri gallesi e ai gagliardi fanti inglesi l’opportunità di un facile e subitaneo massacro. Così ampia sarebbe stata la risonanza dell’episodio, che Shakespeare lo avrebbe messo nell’Enrico V.
Azincourt rischiò di segnare la fine della Francia come nazione stato. Gli inglesi si impadronirono dell’intero settentrione del regno, Parigi inclusa. Con il trattato di Troyes, nel 1420, gli armagnacchi ingoieranno bocconi davvero amari, come le nozze tra Caterina, figlia di re Carlo, e l’invasore. Quando Enrico V morirà, suo figlio, a soli nove mesi di età, sarà incoronato “re di Francia e Inghilterra" col nome di Enrico VI. La madre verrà allontanata, e le sarà impedito di educarlo: il consiglio di reggenza inglese che gestiva la corona, volle farle passare ogni tentazione di orientare il bimbetto in favore della Francia.
La località di Azincourt, rimasta quasi intatta nei secoli, sarebbe tornata agli onori della cronaca nel 2003, per una di quelle beghe, tipiche del provincialismo nazionalista dell’Europa contemporanea. I francesi, intenzionati a installarvi quattro pale di centrale eolica, si ritrovarono conto gli inglesi ligi a non violare la memoria del re che lì aveva arringato i suoi con il celebrato: “Noi pochi, noi pochi felici, noi manipolo di fratelli…”. La gente di Calais si schierò con i britannici: ogni ingresso al Centro di storia medievale, in situ, faceva incassare alla città €6,50.