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La profezia di Massimo Costa si avvera: Sicilia con il ‘buco’ di 3,2 miliardi verso il fallimento

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 10 mins read

Ricordate la profezia del professore Massimo Costa? Sul nostro giornale, un paio di mesi fa ha scritto che la Sicilia sarebbe fallita. In Italia, ovviamente, nessuno gli ha creduto. Perché nel Belpaese, si sa, le cose estreme non si verificano mai. C’è sempre il tempo e il mezzo per trovare soluzioni intermedie. Le mediazioni, come si chiamano in politica. Ma la politica c’è ancora in Italia? E c’è ancora in Sicilia? Domanda legittima a giudicare da quello che succede in questi giorni nella sempre più scombiccherata politica siciliana. Che, a fine marzo, si ritrova ancora senza il bilancio 2015. E con ben due proposte di manovra economica: una presentata dall’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, e l’altra presentata dal presidente della Regione, Rosario Crocetta. Due manovre economiche e finanziarie diverse, o meglio contrapposte, per una sola Regione.  

Dovendo raccontare ai lettori americani quello che succede nella politica siciliana ci serviamo di una semplificazione. In Sicilia c’è ormai uno scontro tutto interno al governo regionale. E’ come se il governatore di uno Stato americano si trovasse contro gli uomini e le donne che si è messo accanto per governare. Con una piccola ma sostanziale differenza: che mentre negli Stati americani i governatori si scelgono liberamente i propri collaboratori, in Sicilia il presidente della Regione, il già citato Crocetta, ha avuto imposto l’assessore all’Economia, il già citato Baccei, dal governo Renzi.

I due, a quanto pare, non la pensano alla stessa maniera. Baccei ha presentato al Parlamento siciliano una manovra tutto sommato leggera: vorrebbe mettere un po’ a ‘dieta’ alcune categorie sociali, tagliando 150 milioni di euro. Così ha messo giù un disegno di legge da 20 articoli. Il presidente della Regione, Crocetta, per tutta risposta, ha presentato, sempre al Parlamento siciliano, una manovra di ben 80 articoli e oltre. Con un obiettivo politico e parlamentare che sembra piuttosto chiaro: far scorrere altro tempo.

Così il Parlamento siciliano si ritrova con due manovre. Per quello che abbiamo capito, il Parlamento dell’Isola ha preso in esame il testo del presidente della Regione. Nel quale, però, manca la firma dell’assessore Baccei. Anomalia, questa, che è stata subito fatta notare dal presidente del Parlamento siciliano, Giovanni Ardizzone.

Come i lettori possono notare, nella politica siciliana la confusione politica, parlamentare e istituzionale, in queste ore, è tanta. Siamo davanti a una guerra di posizione tutta interna al governo della Regione. Tornano alla mente le già citate parole scritte un paio di mesi fa dal professore Costa sul possibile fallimento della Sicilia. Eh già, perché anche se in Sicilia e in Italia nessuno lo scrive, il fallimento della Sicilia è ormai dietro l’angolo. Non lo diciamo noi: lo dicono i numeri.

Perché in queste ore, per ammissione dello stesso governo siciliano, è emerso un dato sul quale Crocetta e Baccei, in disaccordo su tutto, per l’occasione concordano: il ‘buco’ di finanziario della Regione, che ammonta a 3,2 miliardi di euro. Intanto va precisato che si tratta di un ‘buco’ finanziario di ‘cassa’ e non di competenza. Insomma, su una spesa annuale che, fino a qualche anno fa, si attestava intorno ai 10 miliardi di euro (già allora, in verità, se ne spendevano un po’ meno perché la ‘cassa’ era già in sofferenza), mancano all’appello oltre 3 miliardi di euro.

Ribadiamo a scanso di equivoci: il dato l’ha fornito lo stesso governo siciliano. Ed è la prima volta – elemento, questo, che è stato poco osservato e poco commentato in Sicilia e in Italia – che si ammette ufficialmente la presenza di un ‘buco’ finanziario di tali dimensioni nei conti della Regione siciliana. Perché fino a poche settimane fa il ‘buco’ veniva quantificato in un miliardo-un miliardo e mezzo di euro. Oggi, invece, i governanti siciliani cominciano ad ammettere la verità.

Il dato, forse, non è ancora quello reale. Forse il dato reale l’ha fornito un paio di mesi addietro l’ex assessore regionale, Franco Piro, figura storica della sinistra siciliana. Piro, assessore al Bilancio alla fine degli anni ’90 del secolo passato, è stato uno dei pochi politici a capire, già da allora, dove sarebbe andata a parare la Regione siciliana se non fossero intervenuti correttivi. Ed è stato storicamente il primo ad occuparsi non soltanto della spesa, ma anche delle entrate. Cioè di come fare aumentare le entrate finanziarie della Regione, massacrate da cattivi e corrotti amministratori pubblici siciliani e da uno Stato centrale rapace. Ma Piro è durato poco. Dopo di lui sono arrivati i governi regionali di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. E adesso c’è il governo Crocetta.

Ebbene, qualche mese fa, osservando i conti della Regione, Piro ha detto che il ‘buco’ finanziario della Sicilia sfiorava i 5 miliardi di euro e forse più. Oggi Crocetta e Baccei, gioco forza, hanno dovuto ammettere che il ‘buco’ della Regione ammonta a circa 3,2 miliardi di euro.

Un’ammissione pesante. Anche se non completamente veritiera, stando all’analisi fatta da Piro, che la finanza regionale la conosce bene. A questo punto le questioni sono due: capire da che cosa è stato provocato questo ‘buco’ e che cosa fare per porvi rimedio. I due punti sono strettamente interconnessi, perché è eliminando le ragioni che provocano il ‘buco’ finanziario che si può procedere al risanamento. E qui iniziano le reticenze. Perché né Crocetta, né Baccei raccontano la verità sul perché si è formato questo ‘buco’ finanziario.

A dir la verità, per essere precisi, Baccei una mezza verità l’ha detta. Lo scorso dicembre, infatti, c’era stato il tentativo di scaricare sulla sanità siciliana la responsabilità del ‘buco’ finanziario. Ma l’assessore Baccei, molto correttamente, ha detto che la sanità siciliana è sana e che non c’entra nulla con la crisi finanziaria della Regione. Sono altre le ragioni che hanno portato la Sicilia sull’orlo della bancarotta finanziaria.

Forse per capire il perché la Regione siciliana autonoma è sull’orlo della bancarotta – del fallimento, per tornare alla profezia del professore Costa – bisogna andare sulla rete e cercare gli interventi di alcuni parlamentari nazionali del Movimento 5 Stelle. I quali, senza mezzi termini, ricordano che l’Italia, ogni anno, per restare nell’Unione europea, deve pagare circa 50 miliardi di euro di Fiscal compact. E questo, aggiungono i grillini, non è più sostenibile.

Il Fiscal compact è un trattato internazionale demenziale voluto dall’Unione europea che, detto in soldoni, dovrebbe ridurre del 50 per cento, in 20 anni, il debito pubblico italiano, che oggi sfiora i 2 mila e 200 miliardi di euro. Il Fiscal compact è stato firmato dal governo di Mario Monti quando il debito pubblico italiano si attestava intorno al mille miliardi e 900 milioni di euro. A distanza di tre anni l’Italia paga il Fiscal compact, ma il debito pubblico è aumentato lo stesso di circa 300 milioni di euro. Sono i misteri della Troika: Unione europea, Fondo monetario internazionale (Fmi) e Banca centrale europea (Bce).

Il Fiscal compact non è più sostenibile, dicono i grillini. E la Sicilia ne sa qualcosa. Se è vero che per “risanare la finanza nazionale” Roma ha tolto dal Bilancio della Regione 915 milioni di euro nel 2013, un miliardo e 150 milioni di euro e un miliardo e 115 milioni di euro quest’anno (più altri 200 milioni di euro nel 2014 per pagare i ‘famigerati’ 80 euro al mese). Ma di questi “accantonamenti” – così si chiamano tecnicamente tali prelievi effettuati dallo Stato dai Bilanci 2013, 2014 e 2015 della Regione siciliana – non parlano né Crocetta, né Baccei. Perché? Per pudore. Perché l’ordine è quello di non far sapere agli italiani quanto costa ogni anno la permanenza dell’Italia nell’Unione europea dell’euro. Ordini del Pd, partito ‘europeista’ per antonomasia. Ma se in Sicilia facciamo quattro conti, possiamo affermare che i soli “accantonamenti” dello Stato sfiorano i 3 miliardi e 400 milioni di euro. E siccome il ‘buco’ finanziario della Regione è stato quantificato in 3 miliardi e 200 milioni, beh, siamo lì, centinaio di milioni in più, centinaio di milioni in meno. In realtà, come ha detto Piro, il ‘buco’ è maggiore: dovrebbe superare i 5 miliardi di euro e forse più.

Sui giornali siciliani leggiamo che il governo Renzi sarebbe disposto ad aiutare la Sicilia a fronteggiare il ‘buco’ provocato non dalle spese eccessive della Regione – che non ci sono più ormai da tempo – ma dagli “accantonamenti”  dello Stato. Su questo punto leggiamo un sacco di inesattezze. Abbiamo addirittura letto che lo Stato restituirebbe alla Regione 2 miliardi di euro, ma solo se la stessa Regione eliminerà gli sprechi. Questa, sotto il profilo tecnico, è una menzogna. Perché lo Stato, cioè il governo Renzi, comunque andranno le cose, non restituirà nulla alla Sicilia. Tanto meno 2 miliardi di euro!

Il governo Renzi, sempre che il governo regionale accetti ulteriori sacrifici, autorizzerebbe la Regione siciliana ad utilizzare una parte di soldi che sono già della Regione siciliana. Si tratta del Fondo di sviluppo e coesione, cioè gli ex Fas, Fondi per le aree sottoutilizzate. Sono i fondi nazionali che lo Stato destina alle Regioni del Sud per le infrastrutture. Ebbene, la Sicilia, invece di utilizzare questi fondi per provare a ridurre il divario infrastrutturale con il resto del Paese, li utilizzerebbe per la spesa corrente, cioè per pagare gli stipendi. E’ una follia, ma è questa la proposta del governo Renzi.

Come si può notare, il governo nazionale ha scippato alla Sicilia 3 miliardi e 400 milioni di euro negli ultimi due anni, ma non ha alcuna intenzione di restituirne nemmeno una parte. Darebbe alla Sicilia la possibilità di utilizzare, per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, 700, forse 800, forse un miliardo di euro da prelevare dal Fondo di sviluppo e coesione. Si tratta di un’ennesima truffa ai danni della Sicilia, che invece di realizzare infrastrutture (e quindi investimenti e nuova occupazione), utilizzerebbe il miliardo circa (e forse meno) per pagare stipendi!

E gli altri 2 miliardi e 200 milioni di ‘buco’ come verrebbero coperti? La manovra dell’assessore Baccei è arzigogolata. Noi la sintetizziamo così: Roma concederebbe altre autorizzazioni alla Regione per ‘spalmare’ questi 2,2 miliardi di euro di ‘buco’ sulle spalle degli ignari siciliani, ai quali la verità dei conti verrebbe nascosta. Si sta verificando, in pratica, quello che il professore Costa ha profetizzato: il fallimento della Sicilia. Ma non un fallimento eclatante, alla Michele Sindona, ma un fallimento controllato. L’obiettivo dell’assessore Baccei e del Governo Renzi che l’ha nominato è quello di abituare piano piano 5 milioni di siciliani ad abbassare il tenore di vita, ad andare meno in vacanza, a mangiare meno pesce, ad acquistare meno vestiti e, soprattutto, a pagare altre tasse. Del resto, chi se non gli abitanti della Sicilia pagherà i 2,2 miliardi di euro ‘spalmati’ silenziosamente sui conti regionali per i prossimi anni? Somma, detto per inciso, che andrà ad aggiungersi agli 8 miliardi circa di indebitamento finanziario della Regione. Insomma, con Baccei, Renzi e il Pd la Sicilia si accinge a diventare sempre più povera, sempre più povera, sempre più povera… Di fatto, è il fallimento di cui parlava Massimo Costa, ma tenuto nascosto e somministrato ai siciliani in dosi omeopatiche (o quasi…).

Ovviamente, non ci dicono che è l’Europa lo vuole, perché altrimenti i siciliani comincerebbero a imprecare sull’Unione europea. L’importante è tenere nascosto tutto. Anzi è già tanto che abbiano ammesso l’indebitamento di 3,2 miliardi di euro.

Bisogna capire, adesso, cosa intende l’assessore Baccei quando parla di ulteriori sacrifici per i siciliani. L’assessore, che come abbiamo detto nasconde un sacco di cose ai siciliani, su una cosa ha ragione da vendere: sugli attuali sprechi che ancora esistono in alcune fasce di dipendenti pubblici della Sicilia. Il discorso dell’assessore Baccei, lo ribadiamo, ha una propria ragion d’essere: siccome la Sicilia, nei prossimi anni, sarà sempre più povera (questo non lo dice, ma è così), è bene che chi ancora oggi guadagna soldi a ‘sbafo’ venga messo a dieta. In effetti, negli uffici della Regione siciliana ci sono mille e 800 dirigenti. Troppi. E quasi tutti diventati tali senza concorso, ma con selezioni e leggi molto discutibili. L’assessore vuole tagliare almeno la metà di queste postazioni dirigenziali. E ridurre gli stipendi. Visto che con l’Unione europea del Fiscal compact siamo destinati a diventare tutti più poveri, il suo discorso non fa una grinza.

L’assessore vorrebbe eliminare alcune spese non nell’agricoltura, ma tra chi dice di lavorare per l’agricoltura. La distinzione è importante, perché l’agricoltura siciliana è un disastro e gli enti che dovrebbero sostenerla, in realtà, tranne rarissimi casi, non l’hanno sostenuta affatto. E, credeteci, parliamo con cognizione di causa. L’assessore vorrebbe ridurre anche le spese per gli operai della Forestale: e lì non siamo troppo d’accordo, perché parliamo di gente da mille euro al mese circa che non ha più, a differenza di quanto avveniva negli anni passati, un secondo lavoro, perché l’economia siciliana è ormai un colabrodo. L’assessore vorrebbe poi eliminare gli enti in via amministrativa, cioè con una legge regionale che dovrebbe aiutarlo ad aggirare le leggi che hanno istituito tali enti. Un imbroglio legislativo, insomma. Poi vorrebbe istituire una centrale unica degli acquisti per eliminare, alla fonte, le tangenti sulle forniture (nella sola sanità si risparmierebbero un sacco di soldi, ma i massoni che controllano la sanità pubblica siciliana sono in rivolta). E poi vorrebbe abolire quasi tutte le società regionali lasciando in piedi solo Riscossione Sicilia (la società che riscuote i tributi nell’Isola) e Sicilia e Servizi. Il dubbio è che sui settori dove oggi operano le società regionali (per esempio Sviluppo Italia Sicilia, società che promuove le nuove imprese) siano in corso operazioni truffaldine in salsa romana. Così come operazioni truffaldine sono in corso sulle royalties petrolifere. Di queste cose Crocetta e Baccei non parlano.

Come finirà? Secondo noi Crocetta e Baccei, alla fine, si metteranno d’accordo. Alla fine i tagli proposti da Baccei non sono tutti sbagliati. La follia è il Fiscal compact, come giustamente fanno notare nel silenzio generale i grillini. Ma questo nessuno lo contesta (a parte i grillini, ovviamente). Noi non crediamo che Baccei cederà. Certo, l’assessore ha contro tutto il Parlamento siciliano. Ma siccome i tagli che propone sono in parte giusti – soprattutto alla luce di una Sicilia destinata a diventare sempre più povera – alla fine la sua linea dovrebbe passere. Anche perché, sennò, il fallimento controllato della Sicilia proposto da Baccei e Renzi si potrebbe trasformare in un fallimento con il ‘botto’, cioè con il commissariamento della Regione siciliana. E dubitiamo che i parlamentari siciliani sarebbero disposti a perdere due anni e mezzo di indennità parlamentare.

 

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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