Lo spostamento di ricchezza in giurisdizioni a bassa pressione fiscale e a limitata trasparenza bancaria è stata la scelta che per un periodo di tempo piuttosto lungo – iniziato a cavallo delle due guerre mondiali – ha caratterizzato la vita “fiscale” di molti contribuenti (si pensi ai vantaggi arrecati dallo Swiss Bank Secrecy Act del 1934).
La Svizzera, alcuni paesi dei Caraibi, il Liechtenstein, ed oggi il Principato di Monaco (solo per citare alcune tra le giurisdizioni più note) si trovano sempre più coinvolte in un nuovo flusso di scambio di informazioni con le amministrazioni di vari paesi, tra cui gli Stati Uniti e l’Italia.
Il panorama della fiscalità mondiale nelle ultime tre decadi è stato modificato da molteplici eventi quali il terrorismo internazionale, il riciclaggio del denaro da attività illecite e il monitoraggio dei sistemi di pagamento internazionali (si vedano le norme americane anti corruzione). Con tali leve normative, e con una rinata consapevolezza dei rischi dovuti all’erosione della base imponibile e sottrazione di utili (e dunque imponibile), le amministrazioni finanziarie di alcuni paesi (tra cui Italia ed USA per l’appunto) hanno puntato sulla necessità di mutua collaborazione, di fortificare lo scambio di informazioni e, dunque, ridisegnare (e limitare) il segreto bancario. Questa congiuntura storica di eventi ha favorito il rafforzamento di attività intergovernative, ad esempio nell’ambito dell’OECD, volte alla moltiplicazione della collaborazione fiscale e di accordi internazionali bilaterali e multilaterali.
Gli Stati Uniti hanno approcciato il problema della collaborazione intergovernativa e dell’evasione in maniera coordinata e sistematica: più incisività al contrasto all’evasione e al segreto bancario è stata garantita da ulteriori iniziative tra cui le investigazioni del DOJ (Department of Justice Americano) contro UBS, Credit Suisse, HSBC e Wegelin Bank (oggi scomparsa).
Negli ultimi anni, attraverso notifiche di atti di citazione, l’ottenimento di informazioni da parte di impiegati e consulenti (famoso il caso di Bradley Birkenfeld che, dopo essere stato condannato ed aver scontato la pena in prigione, nel 2012 ha ricevuto come premio per la collaborazione fornita la somma di 104 milioni di dollari dall’IRS) e condanne e sanzioni alle banche svizzere (nota la sanzione di UBS di 780 milioni di dollari e gli arresti e le condanne contro Raoul Weil, Renzo Gadola, Martin Lack, Rudolph Elmer e Christos Bagios, tra i tanti consulenti emersi nelle vicende della guerra all’evasione) il DOJ, l’FBI, l’US Attorney Office di New York, il SEC e l’IRS sono riusciti a raccogliere prove schiaccianti dell’evasione di un numero crescente di taxpayers americani, dei meccanismi utilizzati dagli evasori e del cospicuo ammontare di capitali sottratti alle casse del governo americano. Secondo stime in difetto si parlerebbe di circa 100 miliardi di dollari annui.
L’OVDP, Offshore Voluntary Disclosure Program americano, si colloca in tale panorama e mira a spingere i contribuenti a dichiarare autonomamente e dunque far emergere sia assets detenuti offshore sia assets che non siano stati volutamente dichiarati, ad esempio riportati attraverso il FBAR o in dichiarazione (poichè ricordiamo che il taxpayer americano è soggetto al worldwide principle of taxation, imposizione su tutti i redditi ovunque prodotti).
Con la dicitura “taxpayers americani” ci si riferisce a coloro che siano soggetti al fisco americano. Il programma permette a coloro che decidono di “come forward” (uscire allo scoperto) di evitare sanzioni penali (fino a 10 anni di prigione e sanzioni fino al 75% degli assets scoperti) da parte dell’IRS e/o del DOJ. È notizia recente che al momento alcune banche svizzere (tra cui UBS), al fine di diminuire le sanzioni possibili, stiano consigliando ai propri clienti di partecipare all’ultimo OVDP del 2014.
Proprio attraverso questo programma (il quarto dopo le edizioni del 2009, 2011 e 2012) il taxpayer conta sul fatto che la Criminal Investigation Unit dell’IRS potrà raccomandare di non procedere penalmente (ovviamente non c’e’ garanzia) ma di procedere solo alla determinazione delle sanzioni civili applicabili, che consistono in una penalità del 27.5% degli assets offshore (in alcuni casi fino al 50%) calcolati negli ultimi 8 anni, ed una sanzione del 20% sulle imposte non pagate, oltre agli interessi sulle stesse.
Il procedimento inizia con una notifica di partecipazione in cui il contribuente manifesta la volontà di uscire allo scoperto. Da questo punto in poi l’amministrazione apre una relazione con il legale che rappresenta il taxpayer volta alla raccolta di precise informazioni sui consulenti finanziari coinvolti, sugli assets spostati e sulle operazioni effettuate.
Se la disclosure coincide con tutti i requisiti previsti – e dopo il pagamento delle varie imposte e sanzioni – l’agente dell’IRS certificherà la conclusione della partecipazione al programma ed il contribuente ritornerà in bonis.
In Italia il presupposto della voluntary disclosure – divenuto legge nel 2014 – è diverso ma certamente influenzato sia dai rapporti intergovernativi sviluppati all’interno dell’OECD negli ultimi 5 anni, sia dal successo della versione americana con l’ottenimento di informazioni in virtù del FATCA. Anche per l’amministrazione italiana vi è ovviamente la stessa necessità di recuperare prezioso imponibile esistente all’estero. L’Italia ha siglato accordi di collaborazione fiscale con la Svizzera e più recentemente con il Liechtenstein ed il Principato di Monaco. Ricordiamo che per l’Italia vige il principio dell’imposizione territoriale modificata (diverso da quello americano worldwide) e che l’Italia non ha in vigore una legislazione analoga al FATCA americano.
Il contribuente italiano con assets all’estero non dichiarati potrà riportarli in dichiarazione, con il pagamento di una sanzione ridotta, presentando istanza all’UCIFI entro il 30 settembre 2015. Nella versione italiana, è l’Agenzia che determina le imposte e le sanzioni applicabili (al contrario dell’OVDP americano in cui l’IRS certifica il calcolo fatto dal contribuente americano) così come è la legge italiana che dispone l'esclusione delle conseguenze penali derivanti da omessa dichiarazione, dichiarazione fraudolenta, omesso versamento delle ritenute.
La legge italiana esclude anche la punibilità per reati sul riciclaggio. Al contrario, nell’OVDP americano l’IRS “raccomanda” la non applicabilità delle sanzioni penali ma non le esclude: così, ad esempio, la sanzione per mancato riporto degli assets stranieri nel quadro RW ammonta allo 0.5% annuo (nella OVDP americana la offshore penalty è del 27.5%) e le sanzioni imposte dalla voluntary italiana sono ridotte di ¼ del minimo edittale. Per i capitali non riportati fino ai 2 milioni di euro è previsto un pagamento forfetario.
In conclusione, in una prospettiva comparativa, gli Stati Uniti hanno dimostrato risultati estremamente positivi in termini di recupero di gettito addizionale. Ricordiamo come nel 2010 già 39 paesi avessero introdotto il programma e l’analisi fornita dall’OECD incoraggiasse i mancanti a farsi avanti. Il vero cambio di rotta è sicuramente dato dalla maggiore collaborazione che si è instaurata tra le varie amministrazioni finanziarie e dall’allineamento dei loro interessi fiscali. Pertanto, poiché lo scambio di dati eè oggi semplice e veloce, i contribuenti con doppia o tripla residenza fiscale e, dunque, con interessi coesistenti in varie giurisidizioni, sono chiamati ad una maggiore responsabilità pianificatoria.