A metà settembre del 1964, a Berkeley (Ucla), l’inizio del semestre autunnale coincide con la rivolta degli studenti: sit-in, volantinaggi, assembramenti in giardini e corridoi, assemblee ed occupazioni, dimostrazioni di massa, sino allo sciopero generale. All’origine ci sono i dinieghi delle autorità all’uso di strutture del campus per attività sociali e politiche. Ma in ballo c’è ben altro: il diritto degli studenti a portare, nel ghetto dorato dell’accademia e del privilegio, la questione dei diritti civili che infiamma l’America dell’immediato dopo Kennedy, nonostante all’inizio di luglio il presidente Johnson abbia firmato il Civil Rights Act. L’amministrazione universitaria nega agli attivisti l’uso di spazi e infrastrutture tollerato in tempi recenti, perché teme che il movimento possa trasformarsi da radical in socialist, e di conseguenza inizi ad attaccare frontalmente il complesso militar industriale di cui le università statunitensi fanno parte (ricerca e laboratori, sperimentazione di teorie e modelli), con effetti dirompenti su comunità e stakeholder che ad Ucla fanno riferimento.
Quella che sarebbe passata alla storia come la New Left, avrebbe poi attinto ulteriori ragioni di lotta nella tragica evoluzione della vicenda vietnamita (il cosiddetto “incidente” nel golfo del Tonchino è del 5 agosto e il 7 agosto il Congresso autorizza il presidente all’escalation), ma è nei diritti civili la scintilla della rivolta giovanile che si propagherà un po’ ovunque nel quinquennio successivo. Il “caldo semestre” europeo del 1968, con le punte anarco-rivoluzionarie di Cohn-Bendit a Parigi e di Rudi Dutscke a Berlino, trova ispirazione nell’anticipazione che Mario Savio e i suoi realizzano a Berkeley mezzo secolo fa. A differenza di ciò che sarebbe presto accaduto in Europa (a Roma con Valle Giulia nel ‘68), il movimento dei ragazzi di Berkeley sta alla larga dagli eccessi ideologici e, in questo senso, è paradossalmente più “politico”, perché punta al miglioramento delle condizioni reali della gente, a cominciare dagli studenti.
Quando i ragazzi parigini grideranno “La fantasia al potere”, quelli berlinesi di SDS chiederanno una “società democratica”, quelli romani marceranno e si divideranno sotto le bandiere di fascismo e antifascismo, esprimeranno soprattutto esigenze ideologiche e morali. Il Free Speech Movement che nasce a Berkeley è pragmatico, punta a riqualificare il ceto medio, bianco o nero non importa, che slitta verso il basso, e a dare diritti effettivi agli americani poveri. Anche per questo il fenomeno genererà frutti soprattutto al livello della società civile e dell’organizzazione delle comunità locali, ad eccezione di quando esploderà sulla politica internazionale rendendo dura la vita al big establishment di Washington. Tra i risultati duraturi, l’imposizione della questione giovanile nell’agenda della politica e della società, con un cambiamento profondo che s’infiltra subito in ogni aspetto della vita economica e sociale. I protagonisti scriveranno di aver fatto una rivoluzione genuina dal basso, paragonandola al lavorio delle riunioni nei caffè che aveva preparato la rivolta popolare ungherese del ’56.
The Strawberry Statement (Fragole e Sangue) trasformerà in epopea il movimento dei ragazzi di Berkeley, dando i brividi col “Give peace a chance” cantato e ritmato sotto l’assalto poliziesco. Ogni generazione di ragazzi ha il suo film: i cosiddetti “sessantottini” hanno visto e rivisto quel film, scritto con i loro ideali e le loro canzoni, condividendo che il solo rosso da preservare per le future generazioni fosse quello delle fragole. Nel romanzo di James Kunen che ha ispirato la scenografia del film, il preside dice: "Per me, le opinioni degli studenti sono come le fragole".