“E il Bronx? Ci sei mai stata?”. Quante volte amici italiani in visita a New York mi hanno fatto questa domanda con negli occhi la luce del rischio. La parola Bronx, nell’immaginario collettivo italiano (e forse globale), evoca pericolo, violenza, criminalità. Il Bronx è sinonimo di ghetto e, come tutti i ghetti, spaventa e incuriosisce. In quel suono è racchiuso il fascino del rischio raccontato in tanti film. Quando si pensa al Bronx si pensa alle gang e a una vita di strada. E in strada, lo scorso venerdì, è finita la vita di Oliver D’Orio, cittadino italiano che, secondo alcuni testimoni, sarebbe stato ucciso da un pugno che lo ha steso a terra facendogli battere la testa.

Oliver D’Orio, 37 anni, cittadino italiano, è stato ucciso venerdì 23 maggio nel Bronx. La foto è pubblicata sul profilo Facebook della vittima
Pare che il turista trentasettenne, in città per visitare la ragazza, se ne andasse in giro ubriaco per le strade del Bronx chiedendo insistentemente ai passanti di pagargli una birra (il Daily News e il New York Post hanno pubblicato un dettagliato resoconto con immagini e un video piuttosto crudo che sta facendo il giro del web). La notizia ha avuto una grande risonanza in Italia e il dettaglio del “dove” sembrerebbe aver giocato una grossa parte nella visibilità che la vicenda ha ricevuto e avrà di certo contribuito a rafforzare quel senso di pericolo legato al mitologico e selvaggio distretto settentrionale di New York City.
La cattiva reputazione del Bronx sembra dura a morire, nonostante l’area sia diventata molto più sicura negli ultimi anni. Nel commentare i fatti di venerdì scorso, i residenti del posto si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni rassicuranti alla stampa, ripetendo all’inifinito che l’area non è pericolosa e che è una bella zona da visitare. Eppure quelli che alla fine ci vanno, nel Bronx, a vederlo dal vero, a verificare se è realmente pericoloso come dicono, sono pochi impavidi che di solito se ne tornano a Manhattan delusi per non aver visto nessuna sparatoria.
Io ci sono andata nel Bronx, ci sono andata spesso e quell’aria dura di alcune delle sue zone ha soddisfatto il mio gusto per il rischio. E allo stesso tempo ho avuto modo di guardare dietro quella facciata arrabbiata, per scoprire le cause di quella rabbia e la passione e l’amore per il Bronx di tante persone che hanno deciso di restarci e di fare la loro parte perché il “burning borough” potesse lasciarsi la violenza alle spalle e diventare altro. No, non è ancora il posto più sicuro al mondo, ma nemmeno quello più pericoloso. Di sicuro aiuta avere un po’ di “street smarts”, un po’ di quella capacità di capire cosa è ok è cosa è meglio evitare. E forse tra le cose da evitare mi sentirei di inserire andarsene in giro di notte ubriachi a infastidire afro-americani posteggiati davanti a una bodega. E lo dico senza giudizio di valore.
Il nostro Oliver non ha fatto la più saggia delle scelte, ma il Bronx non è l’inferno. Dalle statistiche ufficiali il distretto di New York risulta più sicuro del 22 per cento delle città americane. Il numero di delitti che vengono compiuti ogni anno nel Bronx non è di molto superiore alla media della città.

Un murales nel Bronx
Su un’area di 110 chilometri quadrati, vivono circa 1.400.000 persone. Lo spagnolo è più parlato dell’inglese e i residenti di origine latina rappresentano più del 50 per cento della popolazione (dati del Census Bureau). Nel 2012 la percentuale di residenti sotto la soglia della povertà è risultata del 26.6, contro una media cittadina di 21.4: il Bronx è il più povero dei cinque borough, mentre il South Bronx non soltanto è l’area più povera del Bronx, ma nel 2010 è risultato anche il distretto più povero degli Stati Uniti, secondo il Census Bureau, con picchi del 34.1 per cento. Numeri che da soli bastano a dare un’idea di cosa ci sia da aspettarsi quando, oltrepassato l’Harlem river, si arriva nel Bronx.
Come molte delle zone urbane più povere degli Stati Uniti, la sensazione non è quella di abbandono e decadenza. La povertà si vede nella qualità dei materiali di cui sono fatte le case, nella quantità di persone in età da lavoro che si raggruppano agli angoli di strada e nel numero di fast food. Ma nella povertà c’è spesso il colore della vita vera. E il Bronx è anche un vivace puzzle di culture, etnie, musiche, cibi, estetiche, lingue. E c’è tanto da vedere e da fare. C’è chi dice che la vera Little Italy di New York, sia Arthur Avenue su cui si allineano decine di ristoranti italiani e dove c’è un mercato coperto dove ho mangiato il panino più italiano (prezzo a parte) che abbia mai avuto la fortuna di assaggiare da questa parte dell’Atlantico. Qui è ambientato (ma non girato) A Bronx Tale (uscito in Italia con il titolo Bronx) con Robert De Niro e qui avvengono molte delle vicende narrate in Underworld di Don De Lillo, scrittore cresciuto proprio nella sezione italiana del Bronx.

Il New York Botanical Garden, nel Bronx
Il Bronx Museum of the Arts è ospitato in un bell’edificio moderno e organizza mostre di arte contemporanea con particolare attenzione agli artisti afro-americani e ispanici, oltre a cicli di eventi legati alla storia e alla vita nel quartiere. Il Bronx Documentary Center, in una casetta indipendente, recentemente restaurata, nel South Bronx, dal 2011 organizza proiezioni, mostre fotografiche ed eventi multimediali, dando spazio a sperimentazioni nell’arte dello story telling. Il New York Botanical Garden è un piccolo angolo di paradiso affacciato sul Bronx River con una ricca e variegata vegetazione, percorsi, angoli panoramici e serre. Pelham Bay Park è il parco più grande della città, tre volte l’estensione di Central Park. Nell’area di Fordham c’è il cottage in cui Edgard Allan Poe passò gli ultimi anni della sua vita. E poi anche il Bronx ha la sua area “bene”, Riverdale, una zona ritagliata tra brutti palazzoni, sulle cui strade curve, tra salite e discese, si affacciano decine di case vittoriane con tanto di parchi e giardini e prati e siepi tagliati alla perfezione. Qui negli anni ’20 viveva la famiglia più famosa d’America, i Kennedy che, su 252nd Street, avevano una magione di 20 stanze. Erano altri tempi, certo, ma quella parte del Bronx conserva ancora un fascino aristocratico e vecchio stile.
Esiste anche un altro Bronx, oltre a quello delle cronache. Se siete a New York e il Bronx vi incuriosisce, non fatevi fermare dalle sua cattiva reputazione. Armatevi di un poco di saggezza e partite. E ricordatevi di non ubriacarvi e far saltare i nervi a qualche locale dall’aria rissosa.
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