Ricevo centinaia di lettere da donne che mi offrono il loro cuore lì dove l'umanità si è smarrita in un'Italia di salvatori e di supereroi. Nessuno ascolta più le storie. Come se certe verità facessero troppo male. Le raccontano solo dopo, quando le loro protagoniste sono state cancellate. Assassinate, annientate. Il femminicidio che dura da sempre in questo paese non è solo quello nella carne ma è soprattutto quello nello spirito, di tutte quelle donne a cui non è stato concesso essere e che sopravvivono ad una vita che non hanno mai vissuto.
Mi scrive una donna dalla Sicilia. Mi dice che nel suo giardino stanno fiorendo margherite gialle e bianche. Come il colore della sua purezza come quel sole che la tiene ancora legata alla sua Sicilia. Per questo la chiamerò Margherita questa anima femmina di un Sud lacerato e stanco.
Margherita è una donna di poco più che 30 anni. Nata a Noto, in Sicilia, in mezzo a quel sogno barocco che ancora lascia sperare il ritorno di una vera bellezza che è esistita.
Ha 11 anni Titta, quando suo padre scompare. Non si è mai più saputo nulla di lui. Lei lo ricorda con una sigaretta piegata all’ingiù, sulla sua lambretta a consegnare bombole del gas.
“Mia madre gli diceva sempre che un giorno sarebbe saltato in aria per colpa di una scintilla.” Ma questo nessuno lo ha mai saputo.
“Non abbiamo mai voluto chiederci cosa fosse successo, forse lo sapevamo nella nostra parte più interna, ma faceva troppo male confessarcelo. Io e mia madre ci guardavamo negli occhi e senza parlare rinnegavamo quella verità. I miei fratelli, si allontanarono anche loro da casa dopo poco tempo. Restammo io e donna Rina, mia madre, la moglie di don Chiappetta, mio padre.
Ogni lunedí sera verso le sette nella bottega che era stata della mia famiglia da tre generazioni entrava un uomo magro con degli occhiali spessi e consegnava una busta a mia mamma, stringendogliela nelle mani senza parlare. Lei piangeva io non capivo.
Era il vitalizio che l’organizzazione riconosceva alla famiglia per la perdita di un uomo d’onore come mio padre, che a dir di tutti era stato esempio giustizia e rispetto per le strade del paese”.
È una delle prime volte che Margherita parla di questa storia. Me lo concede perchè sa che io posso comprendere.
“A chi dovrei raccontare queste cose. Qui in paese, le sanno tutti, e fuori di qui? Non ho mai creduto che possano interessare a nessuno. Noi abbiamo questo fato, non possiamo evitarlo. La maledizione da beddha terra…eh, potevamo vivere come signori e invece ci siamo ridotti ad essere dei fantasmi delle nostre stesse vite. Se mi guardo allo specchio certi giorni mi faccio paura.
Ho detto a mio fratello che lo avrei scannato con le mie mani, come quando gli tiri il collo ad una gallina e te la senti morire tra le dita. Lui lo ha capito bene che non scherzavo e non è tornato. Voleva che sposassi un suo compare di 53 anni. Un uomo di quelli, si di quelli dell’organizzazione che vanno girando tutto il giorno e li vedi per strada a tutte le ore. Poi quando veniva a comprare il pane per sua madre però, tirava fuori na mazzetta di suordi, tutti pezzi da 50 euro, un mazzo grosso come quelli che tengono in tasca i benzinai. Io non l’ho voluto, e siccome ho imparato a parlare il loro linguaggio loro sanno che con me non devono scherzare”.
Margherita ha un profilo su Facebook con un nome di fantasia, dove c’é scritto che vive a Londra. Lei il Big Ben non lo ha mai visto ma sa tutto di quell’orologio e del ponte che si apre per far passare le navi. Ascolta Rihanna, conosce i testi delle canzoni e anche le traduzioni. Shine bright like a diamond.
“Mia madre è l’unica cosa che mi trattiene qui. Anche il sole, anche la pasta di mandorle ed i carciofi ripieni… Ma quando lei muore faccio un funerale privato e ne do notizia dopo 3 giorni, così come lei vuole. Mi dice sempre con la voce ferma: 'io quella gente al mio ultimo sacramento non ce la voglio, anche se sono i miei figli. Li ho cresciuti ed amati, ed educati per essere dei padri di famiglia, e loro hanno rinnegato pure il mio sacrificio'. Io devo rispettarla”.
Margherita lavora nella bottega da Sorducca, era il soprannome di una sua vecchia zia che lavorava lì ai tempi della prima guerra. La sera, dopo cena produce all’uncinetto ricami che vende alle signore del paese. I soldi del tizio con gli occhiali spessi non li prende più da molti anni.
“Volevano mettermi nei guai, credevano che fossi una di loro. Una sera portarono una cassa di legno fuori dalla bottega verso l’orario di chiusura. Parcheggiarono una Jeep di fronte l’ingresso tanto che dovetti far uscire una signora dal retro. Volevano che tenessi quella cassa nella bottega insieme alle bombole del gas, nascosta nel sottoscala del deposito. Io presi il coltello con cui taglio il formaggio e me lo puntai alla gola – se non ve ne andate mi ammazzo, piuttosto che morire per colpa vostra preferisco uccidermi da sola. La signora vi ha visto sa che riferire al maresciallo… Cercarono di fermarmi ma io ero pronta a farlo”.
Ma dalla porta che dava accesso al sottoscala delle bombole compare Donna Rina, aveva una pistola in mano e la puntò diritta contro quegli uomini. “Vi siete presi mio marito e i miei figli, non avrete noi ne la nostra bottega, e adesso fuori….”.
La superstizione vuole che dopo quella sera l’atto di coraggio di donna Rina venisse considerato il passaggio delle consegne ai posti di comando: l’inizio di un nuovo capitolo che portava il cognome di Margherita. Niente di tutto questo.
“Mia madre non ha scritto nessuna storia se non quella della sua vita. Semmai a quel genere di storie, che spesso sono leggende e che nessuno conosce mai davvero fino in fondo, ci ha messo un punto. Mio padre era una persona, mia madre un’altra. E dopo una vita di silenzi adesso glielo aveva detto forte: Io con voi non ci sto!
Ma tra il dire ed il fare… Lei ha potuto scegliere, a lei non la toccano. Io resto invece il bersaglio mobile di una storia infinita che da queste parti è vita, è normalità è quasi noia”.
Margherita, la vita è bella… perchè?
Perchè ci sono donne come donna Rina che credono ancora che in Sicilia si può scegliere di essere liberi.
I nomi e le località sono di fantasia per maggiore cautela e per esplicita richiesta dei protagonisti della storia.