Caro Direttore
Valerio Bosco nel suo “Settembre ’43: si (ri)fà la patria”, del 12 scorso, afferma che all’epoca lo Stato Italiano andò “in decomposizione”. Semmai soffre di spaventevoli patologie lo Stato Italiano dei giorni nostri… Basta guardarsi intorno.
Io sono di avviso diverso da quello di Bosco, il quale comunque sfoggia una prosa piuttosto agile e una certa originalità di pensiero. Confesso però di non aver ben capito se, secondo il nostro commentatore, lo Stato andò “in decomposizione” ‘anche’ sotto il Governo Mussolini. Comunque sia, sostenere una tesi di questo genere è, a dir poco, azzardato.
Nei territori occupati dagli Alleati circolavano le “am-lire” (lire ‘americane’), andate in produzione a Washington addirittura sul finire del 1942. Governatori americani, fatalmente, avevano peso, molto peso (scemato però già ai primi del 1945). Ma il primo ottobre 1943 le scuole si riaprirono in tutt’Italia, sia nel Regno del Sud che nella Repubblica Sociale Italiana. Non ci sembra quindi che l’Italia si fosse decomposta. Nel Regno del Sud, Benedetto Croce e la classe politica antifascista tornata in sella in seguito allo sbarco alleato del 10 luglio ’43 fra Gela e Siracusa, sapevano far valere le proprie ragioni nei confronti di americani, inglesi, canadesi. La Magistratura non era stata cancellata. Di pretori del resto c’era sempre bisogno. Al proprio posto restavano i Carabinieri, vigili e attivi come sempre. Fu costituito l’Esercito del Regno del Sud che, soprattutto a Montelungo, nel Casertano, fra l’8 e il 16 dicembre 1943, si distinse nei vittoriosi combattimenti contro la Wehrmacht.
Nel territorio della Repubblica Sociale non erano in uso lire “tedesche”… Rimanevano le lire italiane, lire vere. La Repubblica Sociale, morta fra il 25 e il 28 aprile ’45, chiuse in pareggio. La RSI erogava stipendi ai familiari di ufficiali, sottufficiali, soldati rimasti tagliati fuori e che magari in molti potevano anche essersi schierati col Regno del Sud o, nei campi di concentramento, cooperare con inglesi e americani… Alle autorità bastava mostrare l’ultima lettera o cartolina ricevuta dal congiunto in uniforme.
Senza tanti giri di parole (“Call a spade a spade”, suggeriscono gli Inglesi!), la RSI salvò dai tedeschi l’industria italiana. Se questo non fosse accaduto, la spettacolosa Ricostruzione Nazionale avvenuta grosso modo fra il 1948 e il 1954, ce la saremmo sognata… Quindi anche il Boom (1958-1965) ce lo saremmo sognato. A poco sarebbe servito il Piano Marshall se i tedeschi, com’era stato nelle loro intenzioni originarie, avessero smantellato e rimontato in Germania gli impianti della FIAT, della Breda, della Ansaldo, della Olivetti, della Galileo, della Solvay, della Gilera, della Guzzi e chi più ne ha più ne metta. Il ministro per gli armamenti del Terzo Reich Albert Speer ci rimase malissimo quando s’accorse che la RSI si sarebbe mostrata disposta a tutto pur di non lasciare che i tedeschi procedessero alla “desertificazione” dell’Italia Settentrionale…
Tanto “decomposta” quell’Italia non sembra…
Toni De Santoli, Roma
Caro De Santoli,
Il contributo dato dalla Repubblica Sosciale Italiana alla difesa del patrimonio industriale del nord è stato da tempo riconsciuto dagli storici. E non lo contestiamo. Ci risulta però difficile non parlare di decomposizione dello Stato italiano nei giorni dopo l’8 settembre. Il sostantivo è forse forte, ma rende l’idea. L’Italia era divisa in tre, con una monarchia in fuga, due eserciti di occupazione presenti in diverse parti del territorio nazionale. Un movimento partigiano in costruzione. Un fronte di irriducibili di stanza a Salò. Era la moltiplicazione di centri di autorità e di sensi di appartenenza antagonisti. Nè dimentichiamo la mancanza di un governo centrale nel senso più tradizionale del termine. In questo caso qualcosa dello stato resse, certo, ma gran parte andò distrutto. A livello emotivo ed istituzionale. Nondimeno, del ruolo dell’esercito rimasto fedele all’ “infedele” monarchia ne abbiamo accennato. Ma c’era appunto da rifare l’Italia. Non quella dello Stato liberale ottocentesco demolito dal ventennio fascista. Un’altra Italia. E c’era chi la ri-faceva dalla “parte sbagliata”, con i nazisti. E chi dalla parte giusta, nel tentativo difficile di costruire un nuovo stato su basi democratiche. Il fatto che nei territori della RSI vi fossero ancora le lire italiane, mentre in quelli liberati circolassero le am-lire ci pare piuttosto la conferma economica della nostra tesi. Non era anche questo doppio battere di moneta – “funzione sovrana” per eccellenza – a denunciare materialmente qualcosa di simile al disfacimento di uno Stato per come lo si era conosciuto sino allora?
Cordiali saluti
Valerio Bosco, New York