C'è qualcosa di peggio che perdere la propria mente. Ritrovarla.
Spider, David Cronenberg (2002)
La percezione delle cose, quando stai per partire per New York, è che l'opera dark dove ti hanno rinchiuso da bambino (che sia Italia, che sia Europa) diventa quasi normalità. E' difficile parlare del distacco. Il distacco non ha rivali. L'abbandono ghiacciato che si prova nell'ora delle infinite possibilità è attraversato da tre grandi correnti: che colore avrà il buio quando, per la prima volta, chiuderò gli occhi dopo essere atterrato? La mia stanza, chi l'avrà abitata prima di me, quale lutto c'è dentro, chi avrà indossato le scarpette rosse che rigano il parquet? Che film danno al cinema e dove si trova la poltrona più polverosa del mondo? Di una parte di me saprei certo raccontare. Dell'armadio che mi attende, dopo la morte, no. Ma si fa viva una leggerezza zen nel sapere che tra poco più di un mese, Manhattan, tornerà al suo posto nel mio ombelico. Io non la tradirò, lei sarà un vulcano bressoniano di humor e dramma, lontano dal ménage, pagato, lontano dai falsi miti.
Restare in Italia è ciò che auguro a chi ha meno paura. A chi si sente scomodo e ha un calcio piazzato. Ai bruti impomatati. Partire, invece, è una mossa che può sembrare contraddittoria. Partire uguale a rinnegare. Partire uguale a dimenticare. Si parte un po' per tradire, con quella grafica gestuale del saluto, del bagaglio a mano, del fischio d'un taxi, tra i cenacoli aeroportuali. Saprebbero spiegarlo meglio i Befana Befana, il perché di una partenza o d'un atterraggio.
Si parte un po' per riscattarsi, per farsi perdonare, per chiedere scusa. Per dire: "Il mio cuore è davvero cambiato".