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July 16, 2013
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July 16, 2013
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In America il melting pot ha un prezzo

Francesca TarantinobyFrancesca Tarantino
Time: 4 mins read

Quello che ha fatto George Zimmerman è sbagliato ed il fatto che Trayvon Martin sia morto, non doveva accadere. Passiamo oltre però. Tutta questa faccenda mi ha fatto molto riflettere sulle questioni di razza, sarà perchè in questo momento vivo in un quartiere a maggioranza nera e non posso fare a meno di notare, gli sguardi di sfida e di disapprovazione che alcuni membri di questa comunità di Brooklyn mi fanno quotidianamente. 

Vivere nel melting pot non è facile, siamo diversi e uguali nei diritti, ma convivere, come in ogni matrimonio che si rispetti, è molto complicato e bisogna lavorarci. Dopo giorni di dibattiti, mesi anzi, sul processo Zimmerman, perchè la vicenda va avanti da più un anno, ci ritroviamo credo tutti ad essere piuttosto stanchi dei discorsi di politici e leader dei diritti civili, che mostrando giustamente sostegno alla famiglia Martin, ci propinano i soliti banali clichè sulla discriminazione verso gli afroamericani e viceversa. Vorrei vederli a passeggiare nel mio quartiere, dove piccoli gruppetti di adolescenti di colore mi osservano sussurrando "white bitch" tra di loro come se niente fosse. Ormai ci ho fatto l'abitudine, e francamente non mi disturba più.
Se consideriamo una realtà come gli USA e vogliamo essere sinceri al 100%, dobbiamo metterci una mano sulla coscienza ed ammettere che siamo tutti "razzisti". 

Ci sono centinaia di esempi che si possono fare, si potrebbe parlare del razzismo degli italoamericani per dirne una, discriminati per generazioni e adesso per la maggioranza razzisti. Anche i miei parenti emigrati dalla Calabria più di 30 anni fa, la mia vera famiglia qui a New York, sono stati vittime di discriminazione per generazioni e sono diventati a loro volta intolleranti verso alcune categorie di persone. Questa cosa la si percepisce anche parlando con loro delle cose più semplici. In realtà anche passeggiando per Whitestone, un quartiere del Queens a maggioranza italiana, affascinantissimo per me, visto che anche percorrendo una stradina si vedono edifici diversi a seconda delle famiglie che ci abitano. Case che ricordano il partenone, chiaramente di famiglie greche, altre con definiti tratti asiatici, abitate da coreani, alcune con la bandiera americana o italiana e così via. 
I miei parenti sono sempre stati restii ad insegnare l'italiano ai loro figli. All'inizio non capivo perchè, dopo però ho potuto vedere con i miei occhi determinati meccanismi. Mia zia, che adoro ed è qui da più di 40 anni, non ha avuto una vita facile nel farsi accettare come "calabrese" a New York quando è arrivata ragazzina insieme ai suoi genitori. Quando la sento parlare male di Obama perchè è nero, dopo 5 anni ormai non riesco più ad arrabbiarmi con lei come un tempo. Perchè ho iniziato a capire le sue ragioni, che per sbagliate che siano, mostrano molto della storia che riguarda gli italoamericani, per lo meno qui a New York. Quando mia zia era alle scuole elementari qui negli USA, ha dovuto imparare l'inglese e poteva parlare solo ed esclusivamente inglese. Il bilinguismo non era una possiblità all'epoca. Per cui ora quando la sento lamentarsi, anche quando si chiamano i call center c'è l'opzione di parlare in spagnolo, mi fa sorridere. Lei come il resto della sua famiglia, arrivarono negli USA poveri, senza un soldo in tasca e dopo poco tempo si sono dovuti adattare allo stile di vita americano, non solo con la lingua ma anche modificando le loro abitudini. 
Mi racconta ancora, quando la prendevano in giro per l'accento, i suoi ricordi mi intristiscono a volte, soprattutto se considero il fatto che per la discriminazione subita anni fa adesso i miei cugini non parlano italiano e molti degli "anziani" hanno perso dimestichezza con la lingua d'origine. 
Gli emigrati del Sud sono stati quindi costantemente discriminati per anni, sia in America che in Italia. Erano considerati inferiori, con una cultura ed una tradizione primitive e decisamente diverse dagli Americani. Questo è solo un esempio. Molti italiani emigrati anni fa iniziarono a lavorare insieme ad afroamericani. Gli italoamericani erano discriminati esattamente come i neri. Sulla questione della razza dunque, ci sarebbe tanto da dire. Il passato e la storia della comunità italoamericana negli USA, ovviamente non giustificano i fenomeni di intolleranza e di razzismo. Si ricordano ancora episodi gravi come quello l'uccisione nel 1989 dell'afro americano Yusuf Hawkins a Bensonhurst, un quartiere italiano di Brooklyn, che diventò l'icona del razzismo italoamericano a NYC. 

In questo scenario dunque, credo che l'unica speranza risieda nelle nuove generazioni. Siamo persone libere, possiamo studiare e lavorare dove vogliamo. Non dobbiamo cercare a tutti i costi di "entrare" in una società o di assorbire una cultura dimenticandoci della nostra. Gli italoamericani un tempo hanno cercato quasi di annullare le loro orgini, per diventare come i bianchi "puri" americani, per questo motivo oggi, qualsiasi paragone con la comunità nera li fa irrigidire. Il razzismo se così si può definire, da parte di qualsiasi gruppo etnico, nasce soprattutto da un desiderio di farsi accettare, di ricevere una sorta di approvazione dalla società in cui si vive. Questo per dire che sulla questione di razza, non si può parlare per luoghi comuni, anche in una vicenda tragica come quella di Martin, bisogna andare aldilà dei clichè. Gli USA costituiscono una realtà troppo complicata per ridurre una faccenda così grave ad un mero caso di razzismo. 

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Francesca Tarantino

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