Non siamo che alla metà di dicembre e ricomincia l’Ossessione Sanremo. L’ossessione del Festival della Canzone di Sanremo. Con tutti i problemi che pesano sull’Italia, coi drammi quotidiani che milioni e milioni di Italiani sono chiamati ad affrontare e mentre Bankitalia ci fa sapere che il 10 per cento delle famiglie italiane detiene addirittura metà della ricchezza nazionale; ecco che torna il fracasso, il frastuono Sanremo: torna Il Generale Noia, appunto, Sanremo. Ora ci si strappa addirittura i capelli poiché pare che, per via delle elezioni che verosimilmente si svolgeranno nel febbraio del prossimo anno, le date della rassegna canora potrebbero subire uno slittamento. Il tema è da vari giorni sulle prime pagine dei giornali, riecheggia nelle trasmissioni televisive. L’Italia si trova nella morsa di una crisi economico-social-morale senza precedenti nella sua Storia, il gruppo ospedaliero “San Raffaele” annuncia che chiuderà i battenti il 30 dicembre prossimo, la linea “A” della metropolitana di Roma, come confermato dall’ennesimo incidente di mercoledì scorso, assomiglia ben più a un percorso di guerra che a una linea ferroviaria; frane, smottamenti, inondazioni non si contano ormai più in questo Paese che un tempo era una meraviglia, ma ora si presenta nella orribile maschera “greca” cucitagli addosso dagli sperperatori della cosa pubblica, dai disattenti, dai menefreghisti; eppure, cari lettori, non si parla che di Sanremo, come se Sanremo rappresentasse il massimo dello spettacolo, il massimo della musica: il massimo della vita. Come se Sanremo fosse Arte. Come se a Sanremo si eseguissero melodie dovute all’ispirazione, alla “sovrumana” ispirazione di musicisti e parolieri senza eguali al mondo. Come se Sanremo fosse esempio d’eleganza, di classe e anche d’un certo, necessario “detachment”. Come se a Sanremo cantassero artisti e artiste del calibro di Bruno Lauzi, Umberto Bindi, Gilbert Bècaud, Edith Piaf, Mina, Ornella Vanoni…
A noi già non piaceva all’epoca di “Grazie dei fior”, figuriamoci adesso… Sanremo c’intristiva già mezzo secolo fa, lo trovavamo “paesano”, ordinario, terra terra. Detto senza offesa a nessuno, il più delle volte la sua musica risultava bolsa, manieristica, ampollosa. Motivi tristissimi per pochezza musicale sono usciti da Sanremo, poche, anche se non tanto poche, le gemme, le composizioni di grande forza, di grande equilibrio musicale. Nel complesso, un Festival della Canzone Italiana pressoché inutile. Fu Sanremo intorno al 1952-1953 ad assassinare la canzone italiana impostasi fra gli Anni Trenta e Quaranta come esempio, certo, d’ispirazione e sapienza artistica. Basti citare “Tu solamente tu”, interpretata da Tiola Silenzi o “Soli soli nella notte” cantata da Gino Bechi, o anche la semplice “Macariolita” eseguita da Ernesto Bonino. Musiche d’alto valore che è possibile trovare su Google, basta comporre il titolo di ciascuna canzone e il nome dell’interprete di ciascuna canzone.
Ma ora… Da oltre 20 anni a questa parte Sanremo si para dinanzi a noi come l’Anti-musica, sì, anti-musica, avete letto bene. Da più di 20 anni la musica italiana è priva d’ispirazione, è del tutto orfana del necessario afflato, del necessario spessore. E’ un artificio, un artificio dei peggiori, non certo dei migliori. E’ piatta, ripetitiva. Fatta a tavolino. Non tiene conto della Matematica. E la Musica, quella nobile, quella vera, è Matematica. Ha una sua armonia, una sua logica. Il Pentagramma è Matematica e Geometria!. Eppoi, lo sfarzo… Lo sfarzo offensivo, volgare. Lo scintillìo freddo, “bischero”. L’aria da padreterni di presentatori e cantanti… Il fumo negli occhi distribuito dagli Strateghi e dai reggicoda di Sanremo…
Si faccia, una volta tanto, un favore agli Italiani: s’abolisca Sanremo.