I politici italiani “leticano” sulle elezioni, che in Italia per un vezzo di disastroso stampo provinciale, vengono ora chiamate “election day”… Non c’è scampo sotto i colpi quotidiani della passione ‘italica’ per l’esteriorità, per il vuoto nascosto dietro nastri, nastrini, orpelli; per una forma, neanche tanto elegante, che sostanza non è.
Non c’è scampo dall’uso di termini della lingua inglese, uso esercitato in modo pacchiano da chi l’inglese non lo conosce neppure… Da chi non ha mai letto (pur tradotti in modo esemplare in italiano) David Storey, Alan Sillitoe, John Steinbeck. Da chi, capitato a Londra o a Edimburgo, vaga con aria spaesata – e spesso cerca un piatto di spaghetti…
Magari ci recita pure la solfa trita e ritrita degli “inglesi che non sanno mangiare”… L’Italia contemporanea è ‘anche’ nelle mani di gente così. L’Italia è, ancora e sempre, sotto il controllo dei partiti politici:‘fenomeno’ deleterio, esecrabile, cui si dette il via nel 1945, ma che ora ci schiaccia sotto il suo peso mostruoso.
L’Italia affonda, è fatale che l’Italia affondi. Ma Lorsignori, appunto, litigano; litigano nelle comodità dei loro sconci privilegi. Da qualche giorno, la rissa verbale sul voto popolare si è fatta più aspra ancora e la Nazione appunto si mostra prostrata, prostrata sia nello spirito che nella materia, come forse non lo era mai stata. Si odono perfino frasi sconcertanti, come quella (secondo quanto riferisce “la Repubblica”) pronunciata giovedì scorso dal piccolo Generale del Pdl, Alfano: “La caduta del Governo dipende dal leader del centrosinistra: lo fermino”.
Lo fermino? Come sarebbe a dire? L’espressione ci raggela, incrementa le nostre ansie, le nostre angosce. Ma che razza di linguaggio è quello? Fermarlo…? Siamo impazziti?
Poi, però, lo stesso Bersani, capo della coalizione di centrosinistra, ci viene a dire che non sarebbe il caso di parlare di crisi di Governo. Ne dicono una un giorno, ne dicono un’altra quello dopo. Sia a sinistra che a destra (ma più a destra, “maestra” di “scenografia”) sfoderano un’aria seriosa, artificiosamente solenne: è il loro modo di nascondere “quel” vuoto. Il loro modo di ricorrere, sì, all’orpello. E’ espressione di una vanità sconfinata. E’ dimostrazione di pochezza morale e intellettuale. E’, nella stragrande maggioranza dei casi, prova d’inettitudine. Non è gente brillante, non è gente
originale. Recitano tutti, o quasi tutti, un copione stantìo, muffito. Il copione dell’arte ‘italica’ di prendere in giro i cittadini, evitare i compiti che richiedono sudore, fatica e, appunto, originalità. Il copione che permette di prendere tempo, di prendere altro tempo ancora. Gli italiani a questa genìa di individui concedono ancora tempo… Ma siamo allora un popolo di generosi, di spiriti comprensivi, di donne e uomini mossi dai migliori sentimenti, mossi da commovente riconoscenza verso questi augusti, instancabili personaggi che in modo ammirevolissimo tutelano la cosa pubblica… Passano notti insonni, presi come sono dall’ansia circa le sorti della Nazione.
I loro cuori palpitano per il precario che non sa dove sbattere la testa, per la commessa di supermercato che sgobba per 700 euro al mese, per l’operaio il quale ha da poco ricevuto la notifica di licenziamento…
Ma vadano a lavorare… Imparino, semmai, a lavorare, visto che quasi nessuno di loro, tranne alcuni avvocati approdati al Parlamento e qualche altro soggetto ancora, sa che cosa è il lavoro, il lavoro vero, quotidiano, in parecchi casi sofferto, difficile.
Si rendano finalmente utili. Ci liberino della loro soffocante, esasperante presenza. Della loro ingombrante presenza.