La crisi ridisegna la mappa del potere globale. La torta economica e finanziaria cresce ancora, ma mentre si restringono le fette degli industrializzati maturi, si ampliano quelle dei paesi emergenti. Il processo, inarrestabile almeno nel medio periodo, ridefinisce il contributo relativo di nazioni ed aree regionali ai fenomeni della vita internazionale, inclusi quelli a carattere politico. E’ evidenza che la Cina, rispetto alla scorsa decade, sia oggi percepita come potenza in ascesa. Per l’insieme dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) vale la stessa affermazione.
Paesi come Stati Uniti e Italia, al contrario, arretrano, in termini relativi più che in termini assoluti. Le fette di torta in crescita calamitano le opzioni di chi, a vario titolo, opera nel mercato delle risorse disponibili: intelligenze e innovazione, mezzi finanziari e investimenti si dirigono verso le zone in crescita, rispettando la regola principe della legge della domanda e dell’offerta. Si va dove la domanda (e/o l’offerta) promette maggiore remunerazione alle aspettative di chi è chiamato a corrispondere.
Capita anche ai lavoratori, in particolare a quelli migranti, di conformarsi alla legge economica, spostandosi per intercettare la domanda di braccia e professionalità. In questo modo i flussi migratori tendono ad allinearsi ai bisogni del mercato delle risorse umane, avendo tra gli altri effetti quello di calmierare gli snodi dei flussi eccessivi o anomali.
Le prime dieci destinazioni per numero di arrivi hanno visto lo scorso anno in testa gli Stati Uniti, seguiti da Russia, Germania, Arabia Saudita, Canada, Regno Unito, Spagna, Francia, Australia, India. Spagna, Francia e Germania perdono ora posizioni. Il ricollocamento dei flussi ha effetti sulla composizione della popolazione, che è influenzata anche da altri fattori. Stati Uniti e Germania denunciano il 13% di immigrati sul totale della popolazione, la Spagna il 14,3%, la Francia l’11,6%, l’Italia il 7,5%. La scarsa fertilità di Spagna e Italia conterrà il calo del numero percentuale di immigrati sulla popolazione totale derivante dalla diminuzione dei flussi in ingresso, anzi la fertilità degli immigrati potrebbe far ancora crescere quel numero. In quanto alle provenienze si impone all’attenzione il caso turco. La Turchia nel 2010 figura decimo paese per numero di emigrati. Il tasso di sviluppo medio del prodotto interno lordo del 7%, annunciato per i prossimi anni, dovrebbe far scomparire dai top ten migratori la potenza emergente dello scacchiere euro-asiatico. Se così fosse, uno dei tradizionali corridoi di migrazione, quello turco-germanico verrebbe a decadere.
In epoca di crisi finanziaria, le rimesse degli emigrati risultano preziose anche più che nel passato. Secondo dati delle Nazioni Unite, tra il 1990 e il 2010 il numero degli immigrati internazionali nel mondo è cresciuto di quasi una volta e mezza, passando da 156 a 214 milioni; nello stesso periodo il flusso di rimesse è salito da 68 a 440 miliardi di dollari, incremento di quasi sei volte e mezza.
I top ten di incassi sono stati, nel 2010, in miliardi di $: India (55), Cina (51), Messico (22,6), Filippine (21,3), Francia 15,9, Germania (11,6), Bangladesh (11,1), Belgio (10,4). A specchio, i primi dieci per rimesse in uscita (2009): Usa (48,3), Arabia Saudita (26), Svizzera (19,6), Russia (18,6), Germania (15,9), Italia (13), Spagna (12,6). Si noti la relativa generosità italiana nel retribuire gli immigrati.. Nonostante il consolidamento del fenomeno, non cessano i pregiudizi: considerano l’emigrazione problema invece che opportunità il 68% dei britannici, il 52% degli statunitensi, il 48% degli italiani, il 47% dei francesi, il 41% dei tedeschi.