Sono da mille e mille anni su questa spiaggia. Abbandonata. Capace solo di piangere non lui, Teseo, ma la vita che gli ho affidato. Che sono sola non m’importa, ma il passato brucia ancora la mia anima… Non sapevo che un semplice filo avesse tanta importanza. Per me. Che avrebbe cambiato il corso della mia vita. Io glielo ho donato con amore. Come potevo non darglielo?
Ne aveva bisogno per scovare il Minotauro. Non potevo lasciarlo andare all’avventura, nel labirinto, senza filo. A me cosa serviva? …Sono fuggita con Teseo come un’assassina. Adesso capisco perché: ho assassinato noi tutte”. Dovevo andare a vedere cosa era successo ad Arianna, la signora del labirinto, della vita e della morte. Sono stata anch’io Arianna. E chi non lo è stata? Solo che non lo sa. Se lo sapesse, tornerebbe indietro a riprendersi l’anima. Ripercorrere la propria storia talvolta è l’unica via di guarigione possibile. La psicanalisi l’ha imparato dal mito.
Lei era ancora lì, prostrata, sull’isola di Dia. Sedotta e abbandonata dall’eroe Teseo, dopo che gli aveva svelato come uscire dal labirinto di Cnosso una volta ucciso il Minotauro. Forse il Minotauro non era un mostro, ma qualsiasi giovane uomo che veniva attratto nel labirinto asoddisfare la dea con una maschera di toro…
E non faceva più ritorno. Era il tempo della civiltà minoica, a cavallo tra il mito e la storia, tra il matriarcato e il patriarcato, quando i sacrifici umani erano richiesti per assicurarsi la rinascita della vegetazione (3000-2000 a.C.). Ogni anno il paredro, compagno della regina-dea, doveva esser soppresso e sostituito con uno più giovane. Minosse, sposo della regina Pasifae e padre di Arianna, era riuscito a salvarsi la pelle e cambiare le regole, ma non del tutto. Creta era l’isola più potente, ricca ed evoluta del Mediterraneo, i greci della terraferma erano solo dei barbari scesi dal Nord che dovevano offrirle dei tributi per sopravvivere in pace. Ogni 9 anni erano costretti ad inviare a Creta 14 giovani da dare in pasto al Minotauro, l’uomo dalla testa di toro figlio di Pasifae, il frutto del suo amore incestuoso per il bianco toro di Poseidone.
Ma quando mai un marito si tiene in casa, sia pure in un labirinto, il mostro partorito da sua moglie, per di più con un toro? Minosse non aveva ancora tutto quel potere che millantava, ma aveva già imparato a colpevolizzare la donna. Per contro, non se ne faceva sfuggire una, donna o dea che fosse…
Arianna, innamorandosi, affida il filo della vita allo straniero: svela la sacra sapienza femminile che detiene i segreti della natura (riproduzione e vegetazione), rinuncia alla dea, a regnare. Consegna Creta agli ateniesi. Sul monte Ida nasce Zeus: il re degli dei. La dea diventa moglie o figlia sua. E’ l’inizio del potere maschile. E della cultura greca, della nostra civiltà.
Arianna, dunque, era stata piantata in Nasso (non in asso, come si usa erroneamente dire), l’isoletta Dia Nisos che si trova di fronte a Iraklion, la capitale di Creta. Dia Nisos è la divina Nasso. “Di” è una radice indoeuropea che significa splendente, divino appunto, tanto che Dioniso deriva proprio da Dios-nisos, soltanto una forma maschile della dea… E guarda caso è il giovane dio che muore e risorge, il dio dalle corna di toro, colui che sposa e salva Arianna.
E la porta tra le stelle. A questo finale maschile salvifico del mito non ho mai creduto. Arianna era rimasta là, spesso mi parlava, mi chiamava. Andare a Creta è stato come compenetrare la sua ombra. Per trovare una via femminile di risurrezione. Non sono una androfoba, ma penso che le donne abbiano ancora molta strada da percorrere per ritrovare l’identità femminile perduta.
Non è più tempo di fare le figlie di Zeus, come le varie Minetti con Berlusconi, né di assoldare dei toy boy come fossero dei padri della dea. Peraltro sapersi donare non significa andare con il primo che capita o con il miglior offerente. “Gli dei sono il luogo, sono la solitudine, sono il tempo che passa” scrive Cesare Pavese. Ecco: per donarsi davvero, per dare valore a quest’atto e a noi stesse, bisogna sapersi conservare. La prova che ci attende è la solitudine, ma è una prova di forza. Richiede tempo, ma conduce al divino.
Sono volata da Bergamo a Chania, la seconda città di Creta. Lì ho affittato un’auto e dopo un paio d’ore, a mezzanotte, ero a IRAKLION. Avevo prenotato il Lato Boutique Hotel, un albergo design, che si affaccia sul porto veneziano dell’antica Candia. La mattina dopo percorrevo la breve salita che conduce al museo archeologico dove sono conservati i magnifici reperti provenienti dalla vicina Cnosso. Ad accogliermi, all’ingresso, lo slanciato principe dei gigli con i lunghi capelli che gli scendono oltre le spalle e subito dopo, appoggiate al muro, due enormi labrys, le asce bipenne simbolo del palazzo di Cnosso, da cui ha preso il nome il labirinto. Poi tante piccole labrys d’oro. Le armi che le amazzoni tenevano alla cintura. Il magnifico ryton dalla testa di toro, boccale dal quale si versava il sangue sacrificale. Il disco di Festo, mai decifrato, le statue di Ade e Persefone, signori degli inferi, le dee dei papaveri e dei serpenti, la croce simbolo dell’unione del sole e della luna, lo splendido affresco della lotta danzante con il toro… Quando sono uscita non ho potuto fare a meno di comprarmi nel negozio Spirit of Greece una piccola labrys d’argento e legarmela con un laccio al collo. Poi ho proseguito in auto per Cnosso.
CNOSSO era il labirinto: un intricatissimo agglomerato di sontuosi palazzi che abbiamo la fortuna di vedere parzialmente ricostruiti grazie all’archeologo inglese Arthur Evans che iniziò gli scavi all’inizio del ’900. Arianna mi parlava e io scrivevo, seduta all’ombra di un albero, per non dimenticare: “Ma ho mai abitato qui? Le cicale dicono sì, sì… Cnosso è così cambi Anch’io sono cambiata. Entrambe in peggio…
Mi sono sentita come morta per secoli, sepolta in un labirinto di ricordi e non ho vissuto il cielo, la terra, il mare, il sole, i fiori, gli animali… non volevo niente, non vedevo che l’ombra di un Teseo che non era materia, non era parola, non era pensiero a me”.
Poi mi sono assopita. Mi ha risvegliata una voce: “Arianna, sono qui…” “Chi sei che conosci il mio nome?” “Sono Teseo, non riconosci la mia voce?” “Il mio Teseo non aveva questa voce…” “Ma come?!” “Allora non ricordo”.
“Io avrei riconosciuto la tua fra mille. E sei sempre così bella…” “Hai buona memoria, ammesso tu sia Teseo. Perché neppure ti vedo”.
“Non puoi vedermi perché sono morto da molto tempo. Mi chiedo invece come tu sia ancora qui sulla terra”. “Io sono la dea. Peccato che ci abbia messo un’eternità di dolore per comprendere la mia immortalità”.
La mia missione era già compiuta? Avevo ucciso il toro, lo spirito di Teseo che si era impossessato di Creta e fatto dio? Certo era che non lo percepivo più.
Nelle foto, lo stemma della Serenissima sul muro d’un palazzo di Chania e la spiaggetta di Nasso
La sera ho fatto una cena romantica con me stessa sul roof dell’albergo, beandomi del possente torrione veneziano dorato nella notte placida. La mattina dopo sono partita alla volta di DIA. Ma non c’era modo di raggiungerla. Nessuno al baracchino a vendere i biglietti del motoscafo, che avrebbe dovuto salpare alle 10:30. Sono entrata all’agenzia Motor Club sul porto. Il titolare Giorgos mi ha offerto il caffè e telefonato al capitano dell’imbarcazione. Non sapeva se partiva – ha detto – perché non aveva clienti. Cosa andavo a fare? Non c’era niente là… Senta – ho detto con determinazione – io sono venuta dall’Italia per andare a Dia, ci devo andare. Giorgos ha telefonato a un amico e organizzato che mi portasse con la sua barca nel pomeriggio. L’ha assicurato che ero “oréa” (splendida). Forse mi stavo mettendo nei pasticci, ma non avevo alternative. Richiama il capitano e dice che invece parte perché ha dei clienti russi. Dopo un’animata trattativa sul costo, mi imbarco e salpiamo che è l’una passata. La mia felicità dura poco: c’è vento di tramontana e le onde inondano la prua. Mi do dell’imbecille per il rischio in cui mi sono cacciata: la barca è vecchia e se il mare continua a crescere a Dia non arrivo neanche a nuoto… Dopo un’ora e mezzo raggiungiamo l’isola. Sbarco e parto in perlustrazione risalendo la collina ricoperta di pietre e bassi arbusti sotto un sole cocente come niente fosse.
“La mia sofferenza ha segnato di innumerevoli rughe perfino queste rocce, grigie come la mia pelle – diceva Arianna. – E il mio sangue ha tinto questa terra di rosso che solo il mare lenisce con la sua schiuma d’onde e rilascia bianca”.
Poi sono scesa verso una spiaggetta e mi sono distesa sulla sabbia. Allora ho visto il filo – incredibile! – e ho capito: “Come questa piuma di gabbiano, sono rimasta appesa a un filo di ragno tra gli scogli per secoli. Potevo essere me stessa e vi ho rinunciato per sentire fremere un battito d’ali nel cuore”.
Alle 18.30 risalivo in auto e raggiungevo verso ovest, alle 20, RETHYMNON, una deliziosa cittadina fortificata dai veneziani, caratterizzata da un labirinto di stradine fiorite, colme di locali e negozi. Scicchissimo il rinomato ristorante- enoteca Avli e graziosa la taverna Castelo poco distante. Da Aurora semplici e raffinati bijoux semipreziosi fatti a mano. “Sagapò, agapi mou” (ti amo, amore mio) cantava dalla torre delle mura una voce dal tono struggente. Sono salita al castello, attratta da quel suono, ma il mio cuore era saldo.
Casa Vitae è una splendida dimora veneziana ristrutturata ad albergo con otto camere dai nomi di fiori. La mia, Myrtia, si affacciava su patio fiorito. Sono rimasta seduta sotto le stelle a respirare quella pace profumata fino a notte fonda.
Creta: Arianna, Teseo, il Minotauro e la… Merkel
Dopo pranzo sono ripartita, ascoltando le canzoni greche trasmesse da Radio Amore, alla volta della penisola di RODOPOU per raggiungere il promontorio dove sorgeva il tempio della dea DYKTINNA, soprannome dato a Brytomarti, antica dea cretese della caccia e della fertilità, poi trasformata dalla religione olimpica in Artemide. Dyktinna significa “la ragazza della rete” perché – racconta il mito greco – inseguita dal bramoso Minosse, si gettò dal promontorio ma venne salvata da una rete gettata da pescatori. L’ultimo centro turistico è KOLYMBARI: mi sono fermata a gustare un’enorme insalata greca da Milos tou Tzerani, un vecchio mulino in riva al mare ristrutturato e molto gradevole. Non potevo non sceglierlo: a fare gli onori di casa c’erano delle simpaticissime oche. Il benzinaio mi ha sconsigliata di proseguire perché dopo il paese di Rodopou la strada non era più asfaltata ed era piena di pietre acuminate. Ma io mi ero fissata di andare a sentire Dyktinna. Quindi ho tirato dritto. All’inizio dello sterrato, che si snodava tra montagne pietrificate, ho incontrato gli argonauti: un gruppo di pastori con barba e capelli neri che dovevano togliere il vello alle pecore. Anche loro mi hanno sconsigliata di proseguire. Ho guidato a 20 km all’ora per circa un’ora e mezza, attraverso un paesaggio arido e inquietante, incontrando dietro le curve solo capre scocciatissime dell’intrusione, finché sono arrivata alla cima: cominciava la discesa a strapiombo. Mi sono fermata: se bucavo, ho pensato, andavo giù fino in fondo. Altro che reti di pescatori… e se mi andava bene non sarei riuscita a tornare prima del buio. Dovevo rinunciare. Sono ritornata indietro e, quando ho rivisto gli argonauti, avevano già rapato un numero considerevole di pecore. Ho raggiunto KISSAMOS, che si affaccia su un’ampia baia, prima di sera e quando ho visto il gradevole immobile Mirtilos, dove avevo prenotato un appartamentino, mi è sembrato di aver fatto ritorno alla civiltà. Sono scesa al lungomare per cenare e ho individuato un ristorante tipico con i tavolini azzurri: The Cellar. Ho finalmente assaporato la cucina tipica cretese, ricca di piatti di pesce e vegetali al forno, a prezzi davvero contenuti. Stelios e Costas, i due proprietari, mi hanno riempita di attenzioni e invece di stare due notti a Kissamos sono rimasta quattro, fino al giorno della partenza. Ho trovato un nuovissimo albergo design sulla spiaggia, il Nautilus Bay Hotel, con belle camere spaziose e mi sono trasferita lì. George, il titolare, l’indomani si è accorto che non aveva posto l’ultima notte e non mi ha fatto pagare nulla, accompagnandomi all’Aphrodite Beach Hotel, gestito appunto da Afrodite una signora greca, come la dea bionda con grandi occhi azzurri, insieme al marito Dimitri. I costi guardateli sul web: sono proprio onesti.
Kissamos, chiamata anche Kasteli, è tutta uno scavo: affiorano dappertutto resti di mosaici romani, segno che era una città importante. Ma è un posto strategico per fare un’infinità di escursioni verso spiagge bianche, zone archeologiche o montagne impervie. Dal porto parte il traghetto per l’isola di GRAMVOUSA, dominata da una fortezza veneziana, che ho raggiunto dopo una faticosa risalita, appagata però da uno scenario magnifico. Un tuffo poi nelle bianche acque dell’immacolata spiaggia di BALOS mi ha ritemprata. L’indomani, scendendo lungo il lato ovest di Creta, ho attraversato pittoreschi villaggi dell’Innahorion e percorso il ciglio spaventoso della Gola di Topolia. Ma ne è valsa la pena: ho raggiunto in un’ora la luminosa spiaggia di ELAFONISSI, con i tre azzurri del mare greco e il cielo di un intenso pervinca, ben deciso ad essere diverso, e la sabbia bianca che diventa rosa nel pomeriggio…. Qui non c’è alcun paesino, se non delle camere da affittare.
Stelio è titolare anche della agenzia Strata Tours di Kissamos (http://www.stratatours.com), che organizza anche jeep safari e percorsi culturali. Ovviamente gli ho parlato di Dyktinna ed è rimasto colpito della mia passione per questo mito che è anche la sua. Domenica mi ha condotto lui con la sua jeep a Dyktinna e io ero al settimo cielo. Ci siamo fermati ad ammirare le straordinarie icone del monastero di Monì Gonias e a prendere un caffè greco nel negozio del suo amico Nikos. Un anziano sedeva con le mani su un bastone nodoso e, affinché sia robusto, la radice che cresce orizzontale nel terreno va tagliata alla luna calante, “come quando si vuol prendere un uomo” mi è stato spiegato.
Basterebbe, quindi seguire la luna…, come indicava anche l’antica Dyktinna, che oggi è una baia segreta tra due promotori risplendente come uno zaffiro. Saliamo a piedi ai resti del tempio sontuoso che edificarono per ultimi i romani e che i tedeschi, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, hanno disintegrato non potendosi portar via quello che non potranno mai avere. Ma lei c’è ed è inviolata.
“Non sono stata presa nella rete, salvata da pescatori. Sempre uomini che ti salvano. Storie che si sono inventati loro. Sono saltata sì dal promontorio nel mare, ma perché sapevo che mi sarei salvata. Io so nuotare. Altrimenti non l’avrei fatto. Sono riaffiorata ad altri lidi. Mi è sembrato il modo meno cruento di sfuggire a Minosse”. Ma perché non hai impugnato la labrys, Dyktinna? Stelios, come sempre fa, è rimasto sotto l’unico ulivo ad attendere la risposta, mentre io scendevo a immergermi nelle sue acque e riaffioravo a nuovi sogni.
Abbiamo proseguito per POLYRINNIA, fondata dagli invasori dori, potente città che controllava tutto il territorio che domina il golfo di Kissamos e per la splendida spiaggia di FLASARNA, una volta un grande porto distrutto da un maremoto. Un singolare trono, troppo grande per un uomo e troppo piccolo per un dio, ricorda una grande civiltà. L’ultimo giorno mi sono aggirata frastornata per le vie della bella CHANIA, la Canea veneziana, da una domanda assillante: “Chi è Zeus e chi Europa oggi?” Se lui è sempre il toro e scarrozza la ninfa per il Mediterraneo, chi personifica, dove ci porta? E’ la Grecia che mena in giro l’Europa? O viceversa? Non c’è più una dea, ma neanche un dio, se non vogliamo credere che la Merkel sia davvero in grado di cavalcare il toro europeo. E, per avidità, ci riduca come le pietre di Dyktinna.
Lo shopping è sempre un antidoto per coprire i pensieri. Un magnifico albero di melograni in ceramica di Popi Lidaki, mi ha ricordato come Core, confidando nell’offerta di Ade, diventò Persefone, talvolta chiamata Arianna… Poi il mio sguardo è stato attratto da un anello nella vetrina Bee Jewellery che si affaccia sul porto: la croce templare non era altro che l’antica unione di sole e luna! Sono entrata e me lo sono infilata al dito mignolo. E’ stato poco dopo che ho visto la scritta sul muro di un’antica casa veneziana: “Nulli parvus est census cui magnus est animus” (Non è modesto il censo di colui che ha un grande animo).
La Merkel, che vuole personificare l’Europa dell’euro, dovrebbe venire un po’ a scorazzare per Creta. Sarà difficile però metterla in groppa a un aitante toro greco.