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July 22, 2012
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Credibilitá e riscatto dello Stato

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 5 mins read

La questione vitale per il futuro dell’Italia non é lo spread, anche se dovesse finanziariamente fare crac. La questione piú importante per il benessere di qualunque nazione, riguarda la credibilitá etica dello Stato. Infatti anche le nazioni devono avere una “morale condivisa”, un qualcosa che lega i cittadini e i suoi governanti sul senso comune del bene e del male, su come si persegue il primo e come si evita il secondo.

Nel rapporto tra Stato e mafia, quanto é ancora credibile la nazione degli italiani?

Il presidente Giorgio Napolitano, in occasione dell’anniversario della strage di Via D’Amelio, ha reso pubblico questo messaggio: “Non c’è alcuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità”.

Rita Borsellino, parlamentare europea e sorella del magistrato ucciso dalla mafia venti anni fa, ha detto che il conflitto di attribuzioni sollevato dal Presidente della Repubblica contro la Procura di Palermo per le intercettazioni che lo riguardano nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia nei primi anni novanta “é uno schiaffo a tutto il Paese, proprio nel momento in cui la verità ci sembra più vicina”.

C’é stato in questi giorni, a nostro parere, un equivoco nelle polemiche sulla trattativa tra Stato e mafia, perché si é diffusa l’idea che questa fosse ancora da provare. Lo si ripeterá fino alla noia: la mafia senza il rapporto con le istituzioni non esiste, o meglio non sarebbe piú mafia ma sarebbe cosa altra. Farebbe parte di quella criminalitá organizzata che ogni tanto fa un gran colpo e che piú spesso finisce in galera o al cimitero.

Quindi, nel rapporto Stato-mafia, ad avere il coltello dalla parte del manico é sempre il primo: gli basterebbe  tagliare certi ponti con le istituzioni e ogni spazio per la “trattativa” si cancella. La mafia smetterebbe di essere tale perché non potrebbe piú respirare senza la collusione con la politica e le istituzioni. E’ un po’ come svuotare un grande lago: i pesci morirebbero da soli, non c’é piú bisogno di acchiapparli.

Sostenere che lo Stato inizia una trattativa con la mafia, é un controsenso. Se la mafia c’é, la trattativa c’é sempre. Invece certi mafiosi come Riina e Provenzano nel 92-93 mettono bombe dappertutto perché devono “imporre la trattativa” ammazzando anche Falcone e Borsellino. La logica dice che la politica aveva deciso di interrompere il rapporto sempre esistente tra lo Stato italiano e la mafia.  E’ naturale che i mafiosi volevano continuare a trattare, che volevano continuare ad essere mafiosi, ma accadde che lo Stato, in coicidenza della caduta del Muro di Berlino e poco dopo l’arrivo di Falcone al ministero della Giustizia, si fosse deciso a farla finita con la mafia.

Ne “Il Divo”, il bel film di Paolo Sorrentino su Giulio Andreotti, si vede un sudatissimo Salvo Lima nella primavera del ’92 che non riesce piú a far “trattare” il sette volte premier con i picciotti, e infatti il capo degli andreottiani in Sicilia viene ammazzato pochi giorni dopo a Palermo. Rimettersi a “trattare” con la mafia, dopo che é morto Falcone (e prima dell’attentato a Borsellino) non é un modo per evitare danni peggiori, e quindi attenersi alla “ragione di Stato”. Come avevamo scritto proprio su questa colonna un mese fa, é invece un atto di “alto tradimento”, perché significa scendere a patti con la mafia proprio quando i pescecani erano rimasti senza piú ossigeno. Ecco che infatti spunta chi rimette l’acqua nella vasca!

Chi tradisce lo Stato italiano che stava tagliando quei ponti con la mafia dopo 130 anni? Chi lo fa tornare indietro nella storia?

Emblematico, per capire la mafia, é il film capolavoro di Francis Ford Coppola, ripreso dal romanzo di Mario Puzo “Il Padrino”. Don Vito Corleone é l’unico mafioso seduto al lungo tavolo del vertice della Commissione che deve fare la pace tra i boss dopo i vari massacri. Gli altri infatti sono solo gangster, semplici mobster, capi e capetti della malavita, nonostante i vestiti a doppiopetto. Infatti, quando prima del bacio che dovrebbe decretare la pace, si rinfacciano a vicenda le colpe della guerra, i mobster accusano Don Vito di non voler “share his connections”, di non voler condividere con gli altri i suoi legami con le istituzioni, con i giudici, i politici etc. Perché Don Vito sa come coltivarle queste connessioni, per farsi proteggere e per poter rimanere appunto un boss mafioso. Gli altri, che non sono in grado di nuotare nel mare del potere, restano dei semplici e meno pericolosi criminali.

Il pm Antonio Ingroia dichiara che siamo ormai vicinissimi alla veritá sulla trattativa, speriamo allora che la veritá giudiziaria arrivi prima della sua partenza per il Guatemala. I magistrati palermitani, giá allievi di Falcone e Borsellino, che nella ricerca della veritá non si fermano neanche davanti al “sacrario” della Presidenza della Repubblica, conoscono bene la logica storica dei rapporti tra Stato e mafia, dal Regno d’Italia alla Repubblica: la trattativa non é mai l’eccezione ma la regola. Dopo qualche rara interruzione della trattativa continua (Mori inviato in Sicilia da Mussolini nei primi anni al potere; i 100 giorni a Palermo di Carlo Alberto Dalla Chiesa) anche quel fatidico ’92 con Giovanni Falcone chiamato a Roma dal ministro Caudio Martelli, avrebbe potuto rappresentare l’inizio della fine per la mafia. Ai magistrati l’arduo compito di trovare le prove che inchiodino alle loro responsabilitá quei traditori che abortirono sul nascere quel riscatto morale dello Stato italiano. 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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