Quando arrivò, il governo cosiddetto tecnico fu accolto con molto favore da molti italiani per varie ragioni. Parecchi gioivano semplicemente per il fatto che a guidare l’Italia non c’era più Silvio Berlusconi e quindi potevano smettere di vergognarsi, altri perché sentivano di potersi fidare del presidente Giorgio Napolitano e altri ancora perché vedevano l’uscita di scena dei politici, cioè coloro che detestavano più di qualsiasi altra cosa. Anch’io, sebbene lontano, osservai con grande interesse i balli e i canti nella notte delle migliaia di persone confluite nel piazzale del Quirinale. Le dimissioni di Berlusconi volevano dire un governo non più delinquente, l’allontanamento dei ministri voleva dire la dipartita di un branco di cialtroni incapaci e il governo tecnico voleva dire – sembrava – competenza, decisioni obbiettive e scientifiche, rispetto della realtà. Da quella notte è passato un bel po’ di tempo.
Il governo di Mario Monti ha avuto modo di essere poco scientifico (alcuni errori marchiani come quello della signora ministra del Lavoro, Elsa Fornero, che ha perfino sbagliato i numeri riguardanti gli "esodati") e molto politico nel senso delle chiacchiere, delle pastette e delle sparatelle a effetto del più puro berlusconismo. La lotta agli evasori fiscali, per esempio, si riduce a un blitz a Cortina d’Ampezzo e poi basta; ai giovani precari che lavorano senza contratto si regala una battuta scientificamente stupida come "lavoro fisso? Che noia!" e la composizione stessa del governo "tecnico" rivela addirittura qualche sbavatura alla manuale Cencelli.
La prova? Al ministero dell’Economia c’è un sottosegretario la cui funzione ministeriale non si conosce ma la sua attività si vede benissimo, visto che il suo tempo lo usa a "presenziare" nelle trasmissioni televisive più squallide per spiegare quanto Silvio Berlusconi sia bravo, buono, generoso, onesto, insomma un santo. A prima vista pare che il suo scopo sia quello di convincere il Papa a fare santo l’uomo delle "serate eleganti" di Arcore. Ma non è così. Lo spiega lui stesso di fronte alle telecamere: il posto giusto di Silvio Berlusconi è quello di Presidente della Repubblica. Se ce la facesse, il mondo riprenderebbe a prendere in giro gli italiani, che comunque se lo meriterebero eccome.
Il personale del Quirinale avrebbe parecchio da raccontare sui presidenti che hanno abbandonato quell’antico palazzo riservato per secoli ai papi. Il pulito De Nicola arrivò di corsa da Napoli a Roma per prendere subito il posto del re che aveva appena abdicato. Lo studioso Einaudi non riusciva proprio a staccarsi dalle sue carte. Il tranquillo Gronchi ebbe qualche problema con la stampa di francobolli chiamati "i Gronchi Rosa". Il timoroso Segni aveva una tale paura che il comunismo potesse conquistare l’Italia che pensò perfino di contare sui militari, dimenticandosi di chi comanda e chi obbedisce in uno stato democratico. L’assetato Saragat di cui si diceva che il mattino faceva l’alza-"Barbera" e che alla fine del suo settennato lasciò la cantina svuotata di tutte le scorte alcoliche. Il canterino Leone i cui viaggi di Stato, fosse all’Eliseo, a Buckingham Palace o alla Casa Bianca, finivano sempre con la sua esibizione di "O sole mio". Lo sparagnino Pertini amava piaggiare per l’Italia e si arrabbiava se non gli permettevano di pagare di tasca sua il biglietto del treno. Il picconatore Cossiga che riuscì a rendere la presidenza della Repubblica in una buffonata. Il pio Scalfaro che stabilì nei corridoi del Quirinale un tono molto austero. Il saggio Ciampi che dovette raccogliere le spoglie di Tangentopoli. E infine Napolitano. Tutti con i loro difetti, le loro fissazioni e le loro idiosincrasie. Qualcuno era troppo modesto e qualcuno troppo presuntuoso. Alcuni timidi e altri sfacciati. Alcuni simpatici altri molto poco sopportabili. Ma in definitiva nessuno è stato un delinquente da strada.