Avete mai provato a mangiare pane con olio, aceto (non balsamico, di vino) e un pizzico di sale? Se non l’avete mai fatto, provate. E’ squisito. Ma anche l’occhio vuole la sua parte, come si dice. Così non è indifferente se verserete sul piatto prima l’aceto e dopo l’olio, oppure prima questo e dopo quello. Nel primo caso l’olio (tutti lo sanno, ma è sempre un bel vedere), cade sulla chiazza rossastra dell’aceto e ne viene circondato; sembra come volersi liberare da quella stretta, aprire un corridoio da un punto qualsiasi di quella cinta, per fuoriuscire verso il bianco specchiato e aperto del piatto, dove potrebbe darsi a vita autonoma, colorando del suo regale e aureo splendore ogni spazio che volesse accogliere quel suo corpo denso e profumato; e invece deve subire l’acquosa indifferenza di quello, che col suo granato chiaro e opalescente, senza sforzo, senza scomporsi se non il minimo, frena quelle incursioni, le chiude, in duplice cerchio perfetto, con la sua agile massa, impenetrabile e aspramente dominicale. E anche quando una posata, o un tocco di pane che si tuffi ad immergersi in quella ghirlanda bicolore, ne scompaginino le parti, l’olio non vedrà mai la libertà, potendo solo sperare di frammischiarsi in parte al prevalente vicino, annacquandosene e arrossandosene il manto, ma mai, con quella compagnia, potrà mostrare le sue pure trasparenze, distendendosi solitario sul bianco letto del piatto e facendone intravedere la superficie liscia, illuminata dal suo velo solare. Se invece versiamo prima l’olio e poi l’aceto, tutto cambia: e, sin dall’inizio, vedremo formarsi chiazze disordinate, ma libere di fluttuare, secondo la loro diversa consistenza, su quello sfondo chiaro, frammischiate l’una all’altra ma mai contaminate nei colori, acquietandosi in un equilibrio apparentemente anarchico ma, in realtà, solo più pacioso.
Nessuno spinge, nessuno frena. Prima dell’Euro, eravamo in quest’ultimo pattern, direbbe un trader: liberi di fluttuare, noi l’olio, gli altri l’aceto, e pur nell’apparente disordine che nella sovranità fiscale e monetaria comporta, c’era equilibrio.
Dopo l’Euro, noi l’olio, siamo stati costretti a comporre una duplice ghirlanda, bella, simmetrica, noi col nostro genio e la nostra tradizione culturale ad illuminare il centro del piatto, gli altri, l’Unione Monetaria, a frenare la nostra soave fluidità con l’incoercibile asprezza di Maastricht. Ma guai a fiatare, perché così la visione era ordinata e più bella.
Ma chi è il misterioso buongustaio, chi ha stabilito se versare prima l’olio o prima l’aceto?
Il Gruppo De Benedetti e il Centro-sinistra al tempo del primo governo Prodi, padre anche della soglia di conversione a 1936, 26. Adulti, colti ed europei. Quello che era l’assetto con cui le tre precedenti generazioni di italiani cresciute una sull’altra, all’improvviso non fu più un’alternativa, un modo di gustare la pietanza (le nostre politiche fiscale e monetaria libere di muoversi verso l’assetto più conveniente) come l’altro, ma divenne il modo sbagliato, il modo da proibire. L’olio doveva stare fermo e recintato dall’aceto, aspro ma inamovibile. Niente estro, niente equilibrio variabile, solo perfezione e simmetria. Così avemmo i "parametri di convergenza", rapporto debito/Pil, deficit di bilancio, tasso di sconto: tutto demandato al misterioso buongustaio.
Per più di un decennio questi manigoldi hanno potuto sghignazzare della loro trovata, perché i tassi d’interesse bassi, si diceva, favoriscono stabilità monetaria, abbondante denaro circolante, quindi investimenti e consumi.
In realtà, l’Euro non solo non aveva alcun merito, ma serviva a mascherare l’immenso abominio che alimentava la giostra: denaro elettronico a gò gò, derivati e mercato immobiliare come acqua fresca, fino quando la festa è finita. Il resto lo stiamo vivendo. Uno si aspetta, non si dice delle scuse, ma almeno una "riflessione critica", come si diceva ai bei tempi: anche perché, qualche altro, come il premio Nobel ameri cano Paul Krugman (ma non solo), non proprio l’omino del chiosco, lo dice e lo ridice ormai da qualche anno, che la storiella della crescita, del rigore e del debito pubblico è un’altra balla colossale e che, specie per i paesi ritenuti più deboli, fra i quali naturalmente l’Italia, si tratta di riappropriarsi della sovranità fiscale e monetaria: quindi di prendere a calci l’Euro e i suoi manutengoli.
E invece, caduta una menzogna (l’Euro ci renderà più stabili e ricchi, altrimenti la speculazione ci massacrerà: ricordate questo mantra intorno ai primi anni ’90?), ecco che lor signori ne imbastiscono subito un’altra: "fate presto", altrimenti lo Spread ci ucciderà. Ora è ancora alto alto, ma nessuno urla.
Accanto ai manigoldi in dolo (che significa deliberata volontà di potere), va però precisato che in questi anni ci sono stati anche i manigoldi in colpa (pasticciata velleità di potere); sicchè i vari governi Berlusconi, pur nella indiscutibile precarietà alimentata dalle squadracce procuratorie, è riuscita ad adunare una massa di mediocri, di coglioni e di coglionesse come è difficile anche solo concepirne. Ma questi sono sciatti e incapaci. Non dimentichiamo quelli preparati e lucidamente traditori. Anche perché, per quanto sia squisito, l’uomo, se è uomo, non campa di solo pane.