Della cosiddetta grande stampa italiana, e quindi nella patria dell’elzeviro e dei sofisticati analisti del Costume nazionale, non se n’è ancora accorto nessuno (almeno a quanto ci risulta). Eppure, la scena non si presenta in una anonima stradicciola di Prato o Gallarate o Suzzara. E neanche in una delle piazzette del Trullo, borgata romana. Anzi, il “palcoscenico” è una meraviglia, il “palcoscenico” rappresenta l’Arte, l’Arte italiana nelle sue migliori espressioni. Ogni giorno vi si alza, e poi vi cala, il sipario. Quello che stiamo per raccontarvi, cari lettori, connazionali che vivete oltreoceano, ha luogo a pochi passi dal Palatino, dal Campidoglio, dal Pantheon, da Piazza Venezia. A 20 minuti di cammino dal Colosseo e dall’Arco di Tito. Ha quindi luogo nel cuore di Roma: l’azione si svolge in Piazza del Collegio Romano, dove si trovano il Palazzo del Collegio Romano (cinquecentesco), dal 1874 sede del Liceo Classico “Ennio Quirino Visconti”; e Palazzo Doria Pamphilj, dei Principi Doria Pamphilj, in origine proprietà dei Duchi della Rovere. Il Collegio Romano ci piace poco…
Ci piace poco anche Palazzo Doria Pamphilj: l’uno è un pò freddo, l’altro, per i nostri gusti, un poco troppo barocco. Questa, tuttavia, è un’altra storia, e comunque abbiamo a che fare con due grandi esempi d’architettonica. I protagonisti di quello che potrebbe sembrare un film girato da Luciano Emmer o da Vittorio De Sica, sono ragazze e ragazzi fra i 15 e i 16-17 anni. Ragazze e ragazzi ben curati, di bell’aspetto; disinvolti, anche se, occasionalmente, tradiscono una certa timidezza, la timidezza che ti rinfranca, t’allieta, aggiunge alla tua giornata ancor più luminosità. E ti sorprende…
Ti sorprende nell’era del rumore, del frastuono, del becerume paludato a festa; nell’era dell’ignoranza fatta passare per “scaltrezza”, “senso pratico”, concretezza”!; nell’era inaugurata nel 1980 da Ronald Reagan, quando cominciammo a sentirci dire che “there is no such thing as a free meal”. E i nostri guai iniziarono proprio allora… Aggravati, in seguito, dalla consegna del potere politico nelle mani della finanza internazionale e da una “metastasi” tecnologica cui nessun governo di questa Terra, nessun Parlamento ha voluto dare la necessaria disciplina giuridica, commerciale, morale.
Tutto questo viene detto in modo che riceva un certo risalto ciò di cui da almeno due o tre settimane siamo testimoni assidui: le ragazze e i ragazzi che ogni giorno scorgiamo in Piazza del Collegio Romano, sono studentesse e studenti del “Visconti” i quali intorno all’una, finite le lezioni, siedono – e nobilmente si “insudiciano” – sui gradini d’una chiesuola bizantina, dirimpetto al Collegio Romano. Nell’epoca dello iPad, dello iPhone, della Play Station, delle automobili (le inguardabili SUV) che paiono carrarmati (mal riusciti), questi adolescenti che fanno? Come lo passano il tempo in attesa di tornare nelle loro case all’Aventino, al Colle Oppio, alla Garbatella, a San Giovanni? Giocano a carte. Sissignori, giocano a carte! Usano le comunissime, ma stupende “Napoletane”, carte del Sei-Settecento, le carte con le Spade, gli Ori, le Coppe, i Bastoni (le carte della nostra infanzia, della nostra giovinezza). Ingaggiano duelli a Tressette, a Scopa. Talvolta puntano sulla Briscola. Son prese e presi da un bel fervore, un fervore composto. Molto attenti anche gli spettatori, molto attente, e “partecipi”, le spettatrici. In quei momenti, null’altro desiderano. Uno, o una, di loro, un bel giorno, fra aprile e maggio, deve aver lanciato il seme che gli altri hanno poi raccolto. Vedere per credere… Notare il loro afflato, certo, giovanile. Ma serio, sì, poiché così dev’essere nel Tressette, nella Scopa; eppur mai serioso. Un volto che di colpo si rabbuia, poi s’illumina di nuovo! Ecco: forse c’è davvero un barlume di speranza… Se qualcosa di questa natura s’è svegliato in ragazze e ragazzi di Via delle Sette Chiese, di Via delle Terme Deciane…