La mia lontananza dall’Italia è forte nel senso brutalmente fisico (fra l’Italia e me c’è un oceano esteso su due emisferi) ed anche – di più – nel senso sentimental-moral-cultural- politico, visto che continuo a ritenere impossibile che l’Italia riesca un giorno a recuperare il suo distacco abissale dagli altri Paesi europei che si aprì non molto tempo fa. Al tempo debito, mentre in gran parte dell’Europa si scopriva la sociologia e l’organizzazione sociale, si discuteva sui diritti civili e il rispetto dovuto alla persona umana intesa i tutti i sensi e si partoriva il famoso e fondamentale "Non sono d’accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee", in Italia si continuava a inginocchiarsi davanti al potere religioso, ignorante, cafone e senza nessuna idea da esprimere. Quando osservo la tragica capacità degli italiani di farsi del male o la loro automaticità con cui scelgono sempre le persone sbagliate per farsi guidare, non riesco proprio a trattenere un "Andate a farvi fottere!" che mi sale alla gola. La lontananza è dunque tanto forte e concreta da concedermi ogni tanto una specie di deroga, quando la Nazionale di calcio italiana gioca contro la squadra di un altro Paese. In quei casi è difficile allontanarmi dal televisore ed è ancora più difficile distrarmi. Seguo sempre il gioco senza perdere un momento e intanto, fra me e me, do suggerimenti ai calciatori – passa alla destra, lancia la palla in profondità, dài, tira in porta! – mantenendo la bocca rigorosamente, ed anche buffamente, chiusa. E’ un tifo interiore ma non indifferente, il mio, ma nell’ultima occasione, l’Italia-Stati Uniti giocata l’altro giorno, mi è capitato per la prima volta di sperare di veder l’Italia perdere.
La ragione? E’ nel fatto che il portiere dell’Italia era Gianluigi Buffon, lo stesso che pochi giorni prima, nella porta della Juventus, si era prodotto in una specie di esempio perfetto dell’imbroglione, rubando la vittoria al Milan, che di imbrogli si intende anche lui parecchio ma in questa circostanza era del tutto innocente. C’erano state discussioni: era opportuno che Buffon, dopo quella figura invereconda, giocasse in una partita internazionale? Molti avevano detto che no, non era opportuno. Ma il commissario tecnico Cesare Prandelli, sputando sulla sua stessa, ottima reputazione, aveva deciso non solo che Buffon dovesse giocare, ma addirittura che conservasse la funzione di capitano. Lui è andato in campo tutto giulivo, tranquillo e serenamente ignaro di quella parolina chiamata onestà. Ha preso un goal che ha dato agli Stati Uniti la vittoria.
Mi piacerebbe pensare che la causa di quel goal fosse stata la distrazione che la memoria ancora fresca della porcata compiuta gli aveva procurato, ma pare difficile. Lui ha avuto modo di parlare, di quell’imbroglio, bofonchiando qualcosa del tipo "se l’arbitro non ha visto bene sono affari suoi, io non sono mica l’aiutante dell’arbitro". Proprio l’altro giorno Dino Zoff ha compiuto 70 anni e tutti hanno ricordato non solo le sue formidabili parate ma anche la sua onestà, la sua modestia e la sua sincerità. Non mi pare che lui abbia partecipato al compleanno di Zoff. Anche qui, mi piacerebbe pensare che la sua assenza fosse dovuta alla difficoltà di trovarsi vicino a una persona per bene e quindi troppo diversa da lui. Ma anche questa pare difficile. Con la faccia che ha dimostrato di ritrovarsi, Buffon in imbarazzo per la vicinanza di un onesto è una specie di "missione impossibile". E’ possibile un sogno calcistico? Mi piacerebbe che gli imbecilli degli stadi smettessero di urlare i loro buuu ai giocatori con la pelle nera e cominciassero a indirizzarli, invece, ai giocatori disonesti. Del colore della pelle, bello o brutto che sia, non si è responsabili. Delle porcate alla Buffon, solo brutte, si è responsabili.