La primissima fase di una catastrofe, quella dei momenti immediatamente successivi, appartiene completamente alle vittime. E’ tutto loro il dolore; è tutta loro la solidarietà che gli cresce dentro e li spinge ad aiutare tutti quelli che possono; è tutta loro la paura che ancora non sia finita ed è tutta loro la disperazione per chissà cosa sarà accaduto ai loro cari. Ecco per esempio quella giovane donna incinta che non smette mai di chiamare suo marito con tutto il fiato: al momento dello schianto, quando un intero vagone è piombato su quello in cui loro si trovavano, lui era lì, vicino a lei, perché adesso non risponde? Ecco poi il giovane padre che urla sempre e solo un nome, Roberta, Roberta, Roberta, come per sovrastare il grande frastuono affinché la sua la sua piccola possa rispondergli. Ma non accade. Poi c’è il maturo signore che non vuole disturbare nessuno. Mostra la foto di sua figlia ventenne con discrezione: avete visto questa ragazza?, per ottenere soltanto risposte molto frettolose.
La seconda fase della tragedia di Once, una delle stazioni di Buenos Aires, è già in corso quando vi arrivo io e simultaneamente i soccorritori professionali. Si muovono rapidi, efficienti, danno ordini, tutti obbediscono e cominciano subito le partenze delle ambulanze verso gli ospedali che nel frattempo sono stati allertati. Alcune partenze vanno verso l’obitorio perché molti, troppi passeggeri non ce l’hanno fatta.
Quelli che non si sono fatti troppo male perché erano in vagoni lontani dallo schianto sono scesi e sono corsi verso la testa del treno. Non sanno il perché. Restano lì, senza sapere bene cosa fare, e lo stesso vale per quelli che erano in stazione ad aspettare amici o parenti che erano su quel coso informe che pochi minuti prima era un vagone. Chissà che ne è stato di loro. Vogliono sapere, chiedono ai soccorritori ma quelli hanno da fare, devono essere lasciati in pace.
Arrivano anche gli agenti di polizia. Adesso penseranno loro a mantere l’ordine affinché i soccorritori possano lavorare più efficacemente. Ma il disordine si è esteso molto. Le corse dei treni sono state sospese e nella piazza davanti alla stazione spuntano alcuni autobus che dovrebbero portare i viaggiatori alle loro destinazioni. Per salirvi la gente crea interminabili file. Molte persone rimangono sui binari della stazione perché non credono che i treni siano stati davvero fermati. Perché, del resto, dovrebbero farlo? Gli agenti hanno il manganello in una mano e lo scudo nell’altra. Sembrano i gladiatori che in questo periodo sono molto frequenti nella tv argentina e le loro facce non dicono proprio niente di buono.
Faccio appena in tempo a consolarmi per il fatto che nessun governante è venuto a Once a fare il buffone, come accadde tre anni fa all’Aquila colpita dal terremoto.
Ma qualcosa di "italiano" poi accade, ed è anche peggio. A un segnale del loro comandante, i poliziotti "partono" verso la gente roteando i manganelli. Schizza dalla memoria ciò che accadde a Via Caetani, al centro di Roma, dove era stato trovato il corpo di Aldo Moro. Perché assaltare chi sta rendendo omaggio a una salma?
Perché è tutto ciò che i poliziotti sanno fare, rispose a suo tempo Lietta Tornabuoni, la bravissima columnist della Stampa. Il Moro assassinato era uno. Quelli di Once il loro omaggio lo stavano rendendo a cinquanta morti, un numero che poi verificando meglio è salito a sessanta. Ma le botte date e ricevute in ambedue le circostanze e le bestemmie di qualli che sono stati costretti a fuggire come dei delinquenti, erano del tutto uguali. Forse prima o poi la vera, unica, effettiva e legittima Internazionale che si possa davvero cantare in coro, finirà per essere la stupidità delle polizie e dei loro comandanti.