Bisogna misurare le parole. Ma queste giornate di gelo e neve appaiono veramente una vistosa metafora della Seconda Repubblica. E, com’è ovvio, la vicenda di Roma è metafora nella metafora. La popolazione delle zone setacciate da un maligno spirito siberiano si sente aggredita da un inverno improvvisamente famelico. Si aspetta un soccorso, rapido, efficiente, composto. Sono straordinarie le temperature, straordinari certi innevamenti, straordinario il loro pervicace perdurare.
Ma in Italia esiste una Struttura dal nome congruo e accogliente: Protezione Civile. E’ come i Vigili Del Fuoco, come un Pronto Soccorso: esiste se c’è un pericolo o anche, se insieme al pericolo, c’è già sofferenza. E non un pericolo qualsiasi, una qualsiasi sofferenza: ma un pericolo ed una sofferenza straordinari. Un fiore all’occhiello, la nostra Protezione Civile. Una cosa che funziona, ha sempre funzionato. Terremoti, inondazioni, frane. Arrivano i nostri, arriva lei: la Protezione civile. Ci eravamo abituati ad avercela accanto, a sentirla una presenza amica con cui condividere l’intimità delle lacrime e delle speranze, quando luoghi, clima e un’aria familiare ci si rivoltano inaspettatamente contro: come un fratello maggiore a cui stringerci mentre papà e mamma litigano malamente.
E la metafora? Siamo nella Seconda Repubblica, dicevamo. Vent’anni esatti da Mani Pulite, di cui cade proprio in questi giorni l’anniversario: un equivoco storico, nel caso migliore, un blasfemo fonte battesimale, in quello peggiore. Ormai siamo abituati, assuefatti si può dire, a uno schema d’azione cristallizzato, nato con l’arresto di Mario Chiesa.
Primo. Indagini, che sarebbero solo un lavoro preparatorio per consentire poi un processo e invece assorbono ed esauriscono tutto il significato, tutta l’attenzione, tutta l’importanza che dovrebbe avere quello e così, quando arriva, nessuno se lo fila.
Secondo. Simile abbominio è reso possibile dal costume professionale di certo giornalismo: i velinari di questura, proni e velenosi, figliati dal mitico “Comitato di Redazione Unificato” e poi andato a diffondere il verbo anche in televisione. I pulpiti sono noti.
Terzo. L’impostura moraleggiante, il “noi migliori, voi peggiori”. Che, come ognuno sa, non è un ritrovato di questi anni. Ha radici antiche. Ha attraversato i secoli, i continenti. L’impostura moraleggiante era a Salem in cerca di streghe, in Europa a caccia di infedeli, in Italia per ripulirci dagli untori, nei domini spagnoli per sradicare eresie. Questo humus è coriaceo e immarcescibile, è camaleontico, aggiorna il suo linguaggio, è sempre alla moda. Ma, nella sostanza, non cambia mai. Fissa un principio superiore inattaccabile e unico, in nome del quale si arroga un potere d’intervento: Dio, la conseguente salvezza delle anime, la salute pubblica, l’Ordine e la Legge. Fissato il principio, grazie ad un’incessante opera di propaganda ed indottrinamento, scolpisce delle figure che impersonano i nemici del Principio: infedeli, eretici, corrotti, lussuriosi (questi ultimi, categoria multiuso, come è agevole intendere). Infine, scovato il nemico pubblico, infuria la persecuzione, l’orda terribile e riparatrice, la giustizia dei giusti, vicari dell’Uno, del Supremo, del Principio.
Quarto. I Giusti, i “migliori”, hanno la loro scorta spirituale: abbecedari bigotti e insulsi intrisi di pretese salmodianti che, in tempi moderni, possono anche assumere la forma di un giornale, di un quotidiano; e, siccome sono senza dubbio giusti, retti, dispongono di armi e di risorse, provvidamente offerte da un qualche sovrano illuminato e retto pure lui. Poco importa se costui, in cambio, vorrà un pezzo di noi: terre, libertà. Per i puri di cuore d’intelletto, non è mai troppo alto il prezzo necessario a vincere il male e i malvagi, i corrotti, i lussuriosi: specie se a pagarlo sono gli altri: immancabilmente fautori del vizio, sostenitori dell’immoralità, a completare la meritata punizione, manco a dirlo. E gli va già bene che non siano stati ancora stanati uno per uno, casa per casa. Ma c’è tempo, c’è sempre tempo per la giustizia. L’alleanza fra i purificatori e il “papa straniero” è fluidificata proprio da quella orrenda mistura: sbirraglia cruda e violenta, eternamente coperta di mostrine e pettorine, e quaresimali conto terzi con i loro sagrestani scribacchini.
Dopo vent’anni di questo scempio, dopo vent’anni di napalm investigativo e di gogna predicheggiante, diffusi e strombazzati come acqua santa e futura redenzione, è persino ovvio che, ad occupare il campo ridotto e inaridito della politica, delle istituzioni, a testimoniare la cultura diroccata dei nostri giorni, siano rimasti molti mediocri e qualche raro, impenitente ostinato. Ma più i mediocri, molti di più.
C’era Bertolaso? C’era la Protezione Civile? Funzionavano? Da anni e in fronti sempre difficili e vasti. Però erano uomini, e viziosi, si è ribattuto. Nessuno lo sa, veramente: si dovrebbe attendere un processo. Ma intanto, nell’incalzare dei giusti si è pensato bene di distruggere, di mortificare, di dannare. Strutture, funzioni, persone, competenze, volontà. Tutto. Perché il male va estirpato alla radice. Niente indugi e mollezze, altrimenti va a finire che qualcuno potrebbe convincere le masse, sempre ingenue e proclivi al vizio, che basta un’aspirina. No, ci vuole il bisturi, meglio: l’accetta. Via tutto.
Abbiamo liquidato una Repubblica, cosa volete che sia la Protezione Civile?
E se nevica? Pazienza. Anziché giocare piangeremo, insieme a un sindaco addobbato con tutina e badile da combattente in prime time, la protezione che non c’è più.