La parabola italiana di questi giorni sciagurati è rappresentata da quella telefonata fra il comandante della Capitaneria di Porto di Livorno e il comandante della Costa Concordia.
A riascoltarla – come hanno fatto più volte milioni di italiani – è una specie di paradigma dell’Italia, un quadro
sintetico di questo Stivale sempre più disperatamente improbabile, tanto che i poveri italiani che appartengono
alla parte per bene (maggioritaria?) lo hanno immediatamente riconosciuto. Molto facile, ovviamente,
collocare in cattedra il comandante Gregorio Maria De Falco che dice: "Diamoci da fare. E’ il nostro compito
e il nostro dovere" e mandare dietro la lavagna il poveretto di nome Francesco Schettino che risponde:
"Scappiamo. Non è mica colpa nostra. E poi ormai non c’è niente da fare".
Lui si è trovato, forse senza accorgersene, a impersonare l’Italia insopportabile, ma va riconosciuto che
è bravissimo a rappresentare quel luogo in cui qualsiasi cosa che finisca male per inettitudine ha sempre un
altro colpevole: pensate a quel ministro che può rubare un appartamento con vista al Colosseo e poi dire
sfacciatamente che non sa chi gli glielo ha dato ma se lo trova – dice – lo manda all’ospedale. Rappresenta
anche quel luogo in cui se a una ricco signore serve uno stalliere lo va a pescare nella Mafia, mica può fidarsi
di uno che faccia lo stalliere e basta. E poi rappresenta quel luogo in cui le indagini dei crimini non
sono il lavoro per il quale i magistrati sono pagati ma il risultato di giudici che agiscono in malafede perché
sono "comunisti".
E che ne è di quel luogo in cui se vedi un gruppo di uomini impegnati a svolgere un lavoro qualsiasi (uno
scavo per sturare una fogna, la riparazione di una semaforo, la costruzione di un edificio, eccetera) puoi
stare ben sicuro che quello che comanda il gruppo è il più cretino?
Per non parlare poi del luogo in cui per valutare l’andamento dell’economia nazionale non vale la pena
andare a esaminare le analisi delle entrate e delle uscite perché è più facile osservare quanto sono occupati
i tavoli dei ristoranti.
Ma a rappresentarlo ancora meglio c’è il fatto che negli ultimi tempi quelli il cui compito è controllare le
cose sono stati sistematicamente nominati da quelli che devono essere controllati, che poi sarebbe la famosa
faina che viene posta a guardia del pollaio. E poi ecco quella che potrebbe essere la "chicca" di questo
triste elenco: il modo in cui il sindaco di Cortina e il vice presidente del Senato hanno reagito all’azione dei
finanzieri in cerca di evasori fiscali, che sono delinquenti esattamente come i ladri.
Come hanno manifestato il loro ribrezzo quei due "pubblici ufficiali"?
Hanno gridato come anatre che l’azione della finanza è stata una cosa degna di uno "stato di polizia".
(Posso fare una piccola osservazione molto, molto incazzata? In Argentina, dove attualmente vivo, lo stato
di polizia c’è stato davvero ed ha avuto un costo immenso: migliaia di persone sono state incarcerate, torturate,
gettate dagli aerei, private dei figli per darli in adozione agli aguzzini, tanto i loro genitori ormai non c’erano più. Sono passati tre decenni, ma le ferite continuano ancora a bruciare molto. Fareste bene a usare le parole in modo più appropriato, maledetti cialtroni!).
E’ possibile rintracciare una morale in questa poco morale vicenda? Forse quella della normalità e dell’eccezione, due concetti dei quali gli italiani hanno pressoché dimenticato il significato. Il comandante De Falco è stato immediatamente innalzato alla santità e oggi è la persona più amata che ci sia in giro. Pochi giorni prima di questa tragedia un calciatore della Serie B si è rifiutato di partecipare alla truffa del calcio scommesse ed è stato ufficialmente e solennemente lodato. Chi sono i normali e chi gli eccezionali? De Falco e il calciatore onesto o il comandante Schettino e i calciatori venduti?
La difficoltà di rispondere a questa domanda è precisamente il problema dell’Italia di oggi.