Il Louvre di Parigi presenta sino al 16 gennaio una mostra davvero unica, dedicata alla Macedonia antica e a re Alessandro. L’insieme di reperti archeologici, le testimonianze storiche, le annotazioni multimediali a carattere sociologico e ambientale degli esperti, appaiono imperdibili. Il visitatore viene convinto che la Macedonia sia stata una delle aree più civilizzate dell’ellenismo, contrariamente alla vulgata che mette il nord in coda alla civilizzazione greca, fino a definirlo barbarico. Percorrere l’ampia e articolata rassegna significa imbattersi in raffinatezza di monili e vasellame, monete auree, mosaici e sculture sofisticate, pensiero e filosofia, sepolture ricche e civili, templi religiosi dove la pietas si associa al benessere dei magnati.
Siamo nel 336 a.C. quando Alessandro, che ha appena vent’anni ma sarà presto il Grande, assume il comando della nazione macedone. Il regno ha conosciuto un’impressionante espansione sotto il padre, Filippo II. Il nuovo sovrano, reggente già a sedici anni quando Filippo parte in spedizioni punitive contro i vicini, è colto (tra i maestri, Aristotele), bello, ambizioso, possente. Eredita uno stato modernizzato, ben amministrato, straripante di valuta e, grazie a questa, armato di una milizia preparata e professionale. Dal 338 l’espansione macedone ha soggiogato le deboli città di Peloponneso e Attica, compresa la decadente e presuntuosa Atene, riunendole in alleanza di civiltà, a disposizione dei propositi espansionisti macedoni che puntano all’Asia.
L’aristocrazia greca è turbolenta, ma si lascia integrare nella struttura politica comune, tesa a promuovere anche le terre isolate ad occidente, meno urbanizzate. Alessandro va sui resti della mitica Ilio: fa sacrifici agli eroi achei e troiani, poi schiaccia i persiani e unisce l’Asia Minore all’Occidente ellenico. Nel segno dell’unione di EurAsia spinge i suoi uomini (nel 334 al suo seguito escono dalla Macedonia 35.000 fantaccini e circa 5.000 cavalieri) sino ai limiti del mondo allora conosciuto. S’impossessa della Fenicia (territori attualmente tra Libano e Siria), quindi dell’Egitto dove, stabilitosi a Memphis, fonda nel 332 Alessandria. Quando il persiano Dario viene assassinato, il Macedone gli dà degna sepoltura e prende a carico l’educazione dei figli, facendo castigare il satrapo traditore Bessos. Nella primavera del 329 è sull’Hindu Kush e in India nell’estate del 327. L’anno dopo l’esercito, sazio delle conquiste, gli impone di rientrare. Nel lungo peregrinare verso la Grecia, Alessandro s’affaccia sull’oceano, costeggia il mar d’Oman e il golfo Persico, s’ammala e muore a Babilonia nel 323.
La meteora del “divo” Alessandro significò la fondazione di più di settanta colonie presso quelli che Plutarco chiamerà “popoli barbari” (forse per questo massacrati a ripetizione dalla falange macedone), la diffusione in Asia delle magistrature greche, la contaminazione tra ellenismo e i costumi asiatici. Il Grande, ma non l’aristocrazia macedone, progetta EurAsia come fusione tra Occidente e Oriente; a questo fine fonda città, diffonde scienza e cultura, adotta la nobiltà achmenide, impalma quante più figliole di re asiatici può. Gli epigoni, i generali con cui ha assoggettato tanti popoli, impiegheranno meno di due decenni per frantumare il suo impero in una miriade di regni, azzannandosi per un potere che non hanno mai compreso. Il progetto di EurAsia sarà ripreso dai Romani, su scala più vasta e duratura, e Costantinopoli ne darà testimonianza, insieme al mito di Adriano.
L’avvento dell’Islam arabico taglierà per sempre le radici di quel sogno d’universalismo.