Il 25 Ottobre 1971, l’Assemblea delle Nazioni Unite vota l’ammissione della Repubblica popolare di Cina e l’esclusione dell’altra Cina, Taiwan. Complice l’America di Nixon e Kissinger, che ha bisogno di Pechino in funzione antivietnamita e antisovietica, “si restaurano”, come recita la deliberazione dell’Assemblea, “i diritti legittimi della Repubblica popolare di Cina”. Qualche mese prima la diplomazia del ping pong aveva segnato il primo passo della nuova era. Qualche mese dopo, il 21 febbraio, Nixon è a Pechino in visita ufficiale. Rientrava nel teatro della storia l’unica grande civiltà precedente a quella romana, sopravvissuta alle distruzioni del tem-
po. Alle spalle secoli di colonizzazione, repressioni, disprezzo da parte dei vincenti, frustrazioni da coolie ingiuriato e sfruttato. Davanti, le fortune di un immenso stato dispotico, deciso ad affrancare il suo popolo, dapprima attraverso i dettami del rosso libretto di Mao e la deriva sanguinaria della rivoluzione culturale, poi con il pragmatismo di Deng e successori.
I cinesi in quattro decenni si sono imposti al mondo, per capacità di lavoro e creazione di ricchezza. Oggi si permettono non solo di crescere a tassi di due cifre, costruire pezzo dopo pezzo la più forte armata asiatica, offrire di finanziare la ripresa delle economie europee, ma di competere con le migliori università al mondo, promuovere il cinese a lingua globale e più studiata, caratterizzarsi come soft power attraverso l’azione globale degli istituti Confucio. L’Occidente e il sud est asiatico, con gli Americani in prima fila, l’hanno riempita di valuta pregiata creando un minotauro dalla testa totalitaria e il torso dal vello d’oro ispessito di fondi sovrani. Quale uso la Cina, tuttora ribollente di revanchismo per le umiliazioni del passato, farà di tanto potere in specie verso i vicini asiatici, non è dato prevedere. Sinora in politica estera ha prevalso la moderazione, anche se durezza e repressione continuano a caratterizzare i comportamenti interni. E’ certo che il sistema internazionale non ammette vuoti, e che la Cina si attrezza per riempirli, dovessero mai presentarsi, nel Pacifico come nella parte orientale di EurAsia. Se certi sviluppi trovassero realizzazione, il gigante asiatico riprenderebbe il filo di alcune primazie disperse nel tempo. Circa mille anni fa, nel 1023, creò la prima agenzia governativa per stampare carta moneta generando le prime banconote della storia: servirono a corrompere i potenziali invasori del nord e generare inflazione, ma anche ad aprire la strada verso la modernità delle valute di stato. Allo scadere del Quattrocento, mentre la colta Firenze bruciava Savonarola, inventò il prototipo dello spazzolino da denti, accessorio cult dell’individualismo della contemporaneità. Il patrimonio plurimillenario di scienza e cultura sarebbe stato devastato dalla guerra dell’oppio scatenata dagli inglesi nella prima metà dell’Ottocento, e dai tragici avvenimenti causati dai “barbari che hanno attaccato alle spalle” (commento dell’imperatore Hsien Feng sull’aggressione anglofrancese del 1860 ai forti di Taku e l’occupazione di Tientsin, prima del suicidio). La violenza boxer di inizio Novecento e la spietata reazione delle potenze colonialiste, con le invasioni giapponesi, avrebbe fatto il resto, consegnando lo sterminato paese ai signori delle guerre intestine fino alla resa dei conti tra comunisti di Mao e nazionalisti.
Il gigante nuovamente in piedi chiede di essere percepito come potenza assertiva.
Qualcuno afferma che, benché appaiano ben piantati in terra, i suoi piedi sono di argilla perché presto verranno al pettine nodi come l’aggressione all’ambiente, la negazione dei diritti umani, la censura del pensiero umanistico e politico, gli squilibri demografici (età, genere, regioni), le esorbitanti diseguaglianze di diritti e reddito, la prepotenza e la corruzione delle élite di partito.