“I love New York”. La scritta é sui sacchetti dell’ultima spesa fatta sabato, prima che Irene colpisca the city that never sleeps. Giá, é proprio cosí, I really love New York, ed é in momenti come questi che chi vive qui si accorge quanto questa cittá, unica nel mondo, possa farti riperdere la testa fino all’incoscienza. Fuggire? Salire in macchina e spostare la famiglia cento miglia all’interno del New Jersey? No, i newyorkesi, gli oltre dieci milioni di immigrati, o figli e nipoti di immigrati, la loro cittá non la lasceranno mai sola davanti al grave pericolo.
Non la lasciarono sola il giorno dopo l’11 settembre, quando si pensava che altri terroristi kamikaze avrebbero potuto colpire ancora con chissá quali armi di distruzione di massa, figuriamoci per un uragano chiamato Irene.
Certo, chi abita nella Zona A, cioé nei costosi palazzoni di Battery Park, nella lower Manhattan, costruiti con le portinerie sotto il livello dell’Hudson, o nei very cool ex casermoni industriali di Red Hook a Brooklyn, dove una volta lavoravano gli scaricatori di porto osservati dalla Statua della Libertá, ha dovuto fare le valige di corsa, e chi non l‘ha fatto sa che potrebbe rimanere intrappolato per giorni, circondato da due metri d’acqua. Ma chi abita nelle zone B e C, ad andarsene non ci pensa nemmeno. New York é parte della tua famiglia e non si lascia sola, mai.
Io abito nel cuore di Park Slope, Brooklyn. La zona é classificata tra quelle sicure, perché é appunto una schiera di strade parallele intersecate dalla quarta fino all’ ottava avenue, che salgono in salita verso il maestoso Prospect Park. Strade in salita, come se si fosse a San Francisco. Ma qui le casette non sono di legno, ma quei brownstone di fine ottocento, a tre piani, con la tipica scala all’entrata visti in tanti film in cui i protagonisti finalmente baciano la loro bella o fanno a cazzotti con il bullo del quartiere. Insomma a Park Slope le case sono quelle del terzo porcellino, di mattoni e in piú tutte incastrate tra loro. Mica le villette isolate e di legno del New Jersey, che se le spazza via il soffio del lupo cattivo, figuriamoci un uragano…
I really love New York perché sabato, andando al supermercato e poi anche al vicino Home Depot, ho visto centinaia di newyorkesi che in coda si sorridevano senza spingere, aiutandosi e dandosi consigli e quando gli rispondevi che quei sacchetti di sabbia che avevi nel carrello erano gli ultimi, ti salutavano senza rancore per la tua fortuna, con gli occhi di chi é contento che la tua casa forse non si allagherá nel piano che qui chiamano “garden floor”, a livello giardino.
Nel solo giro di una settimana, a New York prima si é sentita la scossa di terremoto (fenomeno sconosciuto qui) e ora siamo nel mirino dell’uragano Irene. Tutto questo a pochi giorni dall’anniversario dell’11 settembre. E allora ecco che tutto questo puó, anzi deve avere una spiegazione positiva, ottimista perché é proprio nei momenti piú drammatici che un popolo mostra tutto il suo carattere e la sua forza.
La cittá che con troppa superficialitá viene definita la mecca dell’individualismo sfrenato, invece é qui, pronta a dimostrare al mondo, dieci anni dopo 9-11, come il carattere dei suoi abitanti, un miscuglio di razze arrivate da ogni angolo del globo, sia il risultato del piú riuscito esperimento di aggregazione sociale della storia dell’umanitá.
I love you New York, e con il sindaco Bloomberg e altri dieci milioni di tuoi folli amanti, eccomi pronto a difenderti da Irene, come da Al Qaeda e da chiunque vorrebbe farti sparire perché sei la cittá che vive giá nel futuro dell’umanitá.