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August 28, 2011
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I Love New York

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

 “I love New York”. La scritta é sui sacchetti dell’ultima spesa fatta sabato, prima che Irene colpisca the city that never sleeps. Giá, é proprio cosí, I really love New York, ed é in momenti come questi che chi vive qui si accorge quanto questa cittá, unica nel mondo, possa farti riperdere la testa fino all’incoscienza.  Fuggire? Salire in macchina e spostare la famiglia cento miglia all’interno del New Jersey? No, i newyorkesi, gli oltre dieci milioni di immigrati, o figli e nipoti di immigrati, la loro cittá non la lasceranno mai sola davanti al grave pericolo. 

Non la lasciarono sola il giorno dopo l’11 settembre, quando si pensava che altri terroristi kamikaze avrebbero potuto colpire ancora con chissá quali armi di distruzione di massa, figuriamoci per un uragano chiamato Irene.

Certo, chi abita nella Zona A, cioé nei costosi palazzoni di Battery Park, nella lower Manhattan, costruiti  con le portinerie sotto il livello dell’Hudson, o nei very cool ex casermoni industriali di Red Hook a Brooklyn, dove una volta lavoravano gli scaricatori di porto osservati dalla Statua della Libertá, ha dovuto fare le valige di corsa, e chi non l‘ha fatto sa che potrebbe rimanere intrappolato per giorni, circondato da due metri d’acqua. Ma chi abita nelle zone B e C, ad andarsene non ci pensa nemmeno. New York é parte della tua famiglia e non si lascia sola, mai.

Io abito nel cuore di Park Slope, Brooklyn. La zona é classificata tra quelle sicure, perché é appunto una schiera di strade parallele intersecate dalla quarta fino all’ ottava avenue, che salgono in salita verso il maestoso Prospect Park. Strade in salita, come se si fosse a San Francisco. Ma qui le casette non sono di legno, ma quei brownstone di fine ottocento, a tre piani, con la tipica scala all’entrata visti in tanti film in cui i protagonisti finalmente baciano la loro bella o fanno a cazzotti con il bullo del quartiere.  Insomma a Park Slope le case sono quelle del terzo porcellino, di mattoni e in piú tutte incastrate tra loro. Mica le villette isolate e di legno del New Jersey, che se le spazza via il soffio del lupo cattivo, figuriamoci un uragano…

I really love New York perché sabato, andando al supermercato e poi anche al vicino Home Depot, ho visto centinaia di newyorkesi che in coda si sorridevano senza spingere, aiutandosi e dandosi consigli e quando gli rispondevi che quei sacchetti di sabbia che avevi nel carrello erano gli ultimi, ti salutavano senza rancore per la tua fortuna, con gli occhi di chi é contento che la tua casa forse non si allagherá nel piano che qui chiamano “garden floor”, a livello giardino.

Nel solo giro di una settimana, a New York prima si é sentita la scossa di terremoto (fenomeno sconosciuto qui) e ora siamo nel mirino dell’uragano Irene. Tutto questo a pochi giorni dall’anniversario dell’11 settembre. E allora ecco che tutto questo puó, anzi deve avere una spiegazione positiva, ottimista perché é proprio nei momenti piú drammatici che un popolo mostra tutto il suo carattere e la sua forza.

La cittá che con troppa superficialitá viene definita la mecca dell’individualismo sfrenato, invece é qui, pronta a dimostrare al mondo, dieci anni dopo 9-11, come il carattere dei suoi abitanti, un miscuglio di razze arrivate da ogni angolo del globo, sia il risultato del piú riuscito esperimento di aggregazione sociale della storia  dell’umanitá.

I love you New York, e con il sindaco Bloomberg e altri dieci milioni di tuoi folli amanti, eccomi pronto a difenderti da Irene, come da Al Qaeda e da chiunque vorrebbe farti sparire perché sei la cittá che vive giá nel futuro dell’umanitá.

 

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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