Con le tragiche immagini che in questi giorni ci giungono dalla Somalia, si torna a parlare dell’Africa, dell’Africa che muore di fame. Dell’Africa imputridita dall’Aids. Dell’Africa che con le eccezioni dell’Eritrea, dell’Etiopia, del Mozambico, non sa governare se stessa. Forse non lo saprà mai. L’Africa agli Africani è una causa persa. Si gridi pure allo “scandalo” per quel che compare in queste righe… Si accusi di “razzismo” e di nostalgie colonialistiche il vostro ‘qualunquista’… Ma la realtà è questa. E’, soprattutto, una realtà ormai vecchia. Nel 1964 due giornalisti italiani di grosso calibro, Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, girarono un documentario cinematografico intitolato (chi ha più di 60 anni se lo ricorda bene), “Africa Addio”. La pellicola, distribuita nel ’66, riscosse uno straordinario successo in Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania; restò “in cartello”, almeno in Italia e in Inghilterra, fino al ’68 inoltrato. Jacopetti e Prosperi ci avevano visto giusto fin dall’inizio: con efficacia giornalistica, quindi con oggettività, avevano previsto il disastro del processo di de-colonizzazione imposto a Gran Bretagna e Francia dal Presidente degli Stati Uniti Harry Truman già nel 1946, confermato nel ’52 dal Presidente Eisenhower, ribadito nel ’61 dal Presidente Kennedy. Appoggiato dall’Unione Sovietica, la quale cercava così consensi fra le masse arabe e africane allo scopo di attuare l’accerchiamento politico, ideologico, strategico, dell’Occidente. “Africa Addio” oggi è un documento d’impressionante attualità, è un cazzotto sul muso dei superficiali secondo i quali (ora rischio davvero la fucilazione…) “siamo tutti uguali”… Non è affatto vero che “siamo tutti uguali”. Piaccia o non piaccia, le differenze di indole, di carattere, fra un popolo e l’altro appaiono incontrovertibili. Negarle è anti-scientifico, è anti-storico: il ‘samba’ è brasiliano e non messicano o paraguagio… Calcio e Rugby sono inglesi e non romeni o scandinavi… I grandi comici sono italiani, inglesi, americani, e non tedeschi, non russi, neanche spagnoli, né tantomeno portoghesi o serbi o croati…
La de-colonizzazione avrebbe tuttavia avuto luogo. Non sarebbe stato possibile impedirla, bastano gli esempi del Kenya ai tempi di Jomo Kenyatta e dell’Algeria sollevatasi contro la Francia nel 1956 e diventata indipendente nel 1962. “The heart of the matter” è il modo, precipitoso, frenetico, perciò disordinato, con cui venne condotta da inglesi e francesi asfissiati sia dagli americani, sia dalla Sinistra internazionale riunita intorno a Sartre, a Brecht, a Bertrand Russell. Minacciati, intimiditi, offesi dal Segretario Generale dell’Onu Dag Hammarskjoeld, secondo il quale era “giusto” in Africa massacrare bianchi, donne e bambini compresi… Difatti, fu un’ecatombe. Oggi l’Africa paga la sbornia de-colonizzatrice di allora. La paga da almeno quarant’anni. Noi occidentali seguitiamo intanto a flagellarci per i “crimini” commessi nel Continente Nero e nel Maghreb. Crimini commessi dai soli belgi, espressione, peraltro, di una nazione fasulla, “inventata” dal “Foreign Office” 170 anni fa, o giù di lì.
Con l’eccezione del Mali, del Chad, dell’Alto Volta (macchè Burkina Faso!), l’Africa è un immenso forziere di ricchezze naturali. Ci sono diamanti, oro, petrolio, bauxite, manganese e tante altre materie prime nel Continente Nero, soprattutto in Congo, Sudafrica, Nigeria, Senegal, Angola, Sudan e anche in Africa Settentrionale (vedasi la Libia). Ricchezze che servono esclusivamente ai dittatori di turno locali e ai “pescecani” delle multinazionali occidentali. Non sarebbe tuttavia difficile mettere fuori gioco gli uni e gli altri. Solo che il molto piccino Occidente d’oggigiorno non ne ha la volontà, non ne ha presente neanche il concetto. Ci laviamo la coscienza con concerti Rock e con derrate che raggiungono solo l’1 per cento degli sventurati somali, sudafricani, nigeriani, ivoriani. Quindi riprendiamo a banchettare inneggiando all’autodeterminazione – e alla “democrazia”…
Discussion about this post