Mi risulta che America Oggi, grazie al web, viene letto anche in Italia. Non so quanti siano i suoi lettori ma se ce n’è qualcuno che oggi ha in mente di non andare a votare per i referendum, gli chiederei il favore di andarci e di votare "sì" a tutti e quattro i referendum. No, non è un modo surrettizio di fare propaganda. E’ che purtroppo io non posso votare e non per mia colpa ma del Consolato italiano a Buenos Aires che non ha fatto il suo dovere nei confronti di questo cittadino italiano. Se qualcuno vuole conoscere la storia, eccola.
Il luogo in cui vivo attualmente è l’Argentina. Quando sono arrivato, giusto il tempo di informarmi sul cosa, il come, il dove e il quando e mi detti da fare per "legalizzare" la mia presenza qui, sia nei confronti delle autorità argentine che in quelli delle autorità italiane. In ambedue i casi, la risposta fu ottima, nel senso che le persone con cui avevo avuto a che fare – gli impiegati del Registro Civil argentino e quelli del Consolato italiano a Buenos Aires – avevano sfoggiato un’ottima dose di gentilezza, competenza, praticità. Tutto, insomma, era andato bene e quando ho sentito alla tv che quelli come me, residenti all’estero, dovevano votare per posta e il loro voto doveva inaticipo rispetto al 12 e 13 giugno. Il tempo indicato era il 29 maggio e il suggerimento era che chi non avesse ricevuto la scheda di voto entro quella data era bene che si recasse al Consolato per chiarire le cose. Io non avevo ricevuto nessuna scheda e così eccomi al Consolato.
Il "chiarimento" che subito mi fornisce un’impiegata dopo avermi controllato il passaporto e il DNI è una scarica pirandelliana: "Lei non risulta". Prima di sprofondare nei panni di Mattia Pascal, il personaggio per l’appunto di Luigi Pirandello, provo a scherzare. "Le giuro che esisto", dico. Sì, lo vede anche lei, ma "lei non risulta", insiste. Ma che vuol dire? Vuol dire che la mia presenza a Buenos Aires non è stata registrata. Burocraticamente parlando, io a Buenos Aires non ci sono. Sto ancora a Roma. Vogliamo provare a vedere cosa è accaduto, suggerisco, visto che mesi prima io ero andato al Consolato per "denunciare" la mia presenza qui?
La prassi, mi spiega la signora, è che il Consolato comunica a Roma che io non sono più lì ma qui. Roma prendere atto, lo comunica a Buenos Aires e a quel punto io devo risultare in Argentina. Cos’è che non ha funzionato? "Probabilmente la comunicazione e la presa d’atto sono ancora in corso", azzarda la signora. Ma siccome io la pratica l’ho fatta oltre sei mesi prima, mi pare difficile che le carte stiano ancora viaggiando fra le due città. Come si muovono i documenti, chiedo, via nave sull’oceano? Lei sorride e mi informa che no, figuriamoci, ormai oggi si fa tutto per via informatica.
E allora che ne direbbe di verificare informaticamente come è andato lo scambio di comunicazioni? Lei picchia qualche minuto sui tasti del computer e "ecco la spiegazione". La comuncazione del Consolato è partita per Roma solo pochi giorni fa. Il Consolato se l’è tenuta per sei mesi buoni. Perché? La signora è in imbarazzo, mi ricorda che quello di Buenos Aires è il più grande Consolato italiano nel mondo per via della grande presenza italiana in Argentina; mi dice che il personale è insufficiente; che loro fanno ciò che possono. "Pensi, oggi è festa (era il 2 giugno) eppure siamo tutti qui a lavorare".
Che potevo fare, secondo voi? Prendermela con quella signora che non decide, non comanda e che oltre tutto sta lavorando in un giorno di festa? Me ne vado porconando e mi racconto una vendetta virtuale. Se dovesse accadere che il nucleare, l’acqua privata e i cavoli di Berlusconi avranno via libera grazie alla vittoria dei "no" ottenuta con un voto di scarto, tornerò al Consolato, darò un calcio alla mia indole mite e spaccherò tutto. E’ per questo che chiedo a un italiano non intenzionato a votare di recarsi invece al seggio e mettere la croce su tutti i "sì". In cambio, potrà raccontare di avere votato non per quelle cose di cui non gli importava nulla, ma per conservare un’indole mite.