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May 8, 2011
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Che Obama ci protegga

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

Il compito naturale del  giornalismo è quello di criticare il governo, di scovarne gli errori e imbarazzarlo quando lo merita. Ma su come l’Amministrazione Obama si è sbarazzata di Osama bin Laden, il terrorista più pericoloso del pianeta, c’è poco da ridire e molto da applaudire. Già, per non pochi "opinion maker," soprattutto europei,  Obama non avrebbe dovuto dare l’ordine di uccidere a sangue freddo un uomo già catturato. Una democrazia non dovrebbe assassinare i suoi nemici, senza un giusto processo…  Fino alla spiegazione del "crimine" commesso dai "navy seals" americani: Obama ha eliminato subito Osama perché bisognava silenziarlo per sempre, altrimenti chissà che cosa avrebbe potuto rivelare durante un processo…

Forza, sentiamo, quali segreti così imbarazzanti per gli Stati Uniti il capo di Al Qaeda non avrebbe potuto mettere in un video e rilanciare su internet negli ultimi dieci anni? Perché Osama avrebbe dovuto aspettare di essere "prigioniero" per diffondere chissà quale "scheletro" degli americani? Lui era stato addestrato dalla Cia per andare a combattere in Afghanistan i sovietici negli anni ottanta? Per questo doveva tacere per sempre? Ridicolo.

Quando domenica sera il Presidente Obama dalla Casa Bianca ha informato della morte di bin Laden, a festeggiare nelle piazze d’America erano quasi tutti  "college kids", che l’indomani possono dormire in classe… Ma anche gli altri americani rimasti a casa, compreso chi scrive, hanno gioito per la morte di bin Laden e, per la prima volta da dieci anni, hanno dormito meglio.

Ma si può può gioire della morte di un uomo? Sì, come avranno esultato gli ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento alla notizia della morte di Hitler. Obama ha ucciso un terrorista che per 20 anni ha professato che fosse dovere di ogni musulmano uccidere gli americani, ovunque essi si trovassero. Osama bin Laden non era un semplice "ufficiale" di un esercito nemico, e che una volta prigioniero doveva essere risparmiato. Bin Laden era Al Qaeda, figura non solo carismatica ma capo effettivo che monitorava ogni operazione da lui ideata e approvata. Per questo quando i militari americani sono andati a completare una missione iniziata dopo mesi di sorveglianza, l’obiettivo era l’eliminazione di un pericolo mortale per gli Stati Uniti.

Obama domenica sera aveva detto che il capo di Al Qaeda era stato ucciso in Pakistan durante un conflitto a fuoco. Poi questo si è rivelato incorretto e, secondo le ultime dichiarazioni provenienti dalla Casa Bianca, Osama sarebbe morto senza aver sparato un colpo e senza avere armi addosso (pare ne avesse nella stanza ma non le ha utilizzate). Cioè Osama forse avrebbe cercato di arrendersi dato che avrebbe avuto tutto il tempo di impugnare le armi se avesse voluto, decidendo di giocarsi l’unica chance per restare in vita?

Siamo pacifisti, non pacifessi. Cristianamente si può porre l’altra guancia e rinunciare a difendere se stessi, ma quando la minaccia è diretta anche contro i nostri figli? Il Presidente Obama ha come prima responsabilità la protezione dei suoi cittadini e lo ha fatto. Tagliando la testa del serpente, non ha eliminato un’organizzazione capace di uccidere l’11 settembre tremila persone, l’ha fortemente tramortita e deve ancora finirla. Ma come diceva Giovanni Falcone della mafia, anche al Qaeda è un fenomeno umano destinato, prima o poi, a finire. Però si deve volere distruggerla prima, non dopo. Concentrando tutte le maggiori risorse sull’obiettivo invece di distorglierle altrove. Obama infatti non è GW Bush.

Infine, Obama per colpire il suo obiettivo, è stato ancora più coraggioso perché, per limitare al massimo la perdita di vite umane innocenti, ha rischiato una missione con soldati a terra, invece di colpire quella palazzina con un missile. Avrebbe eliminato Bin Laden ma avrebbe anche ucciso tutti i bambini e tutte le donne che da mesi la Cia aveva monitorato dentro quella casa. Certo, sarebbe stato tutto più facile, ma Obama non è Osama e l’America distruggerà al Qaeda senza distruggersi.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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