Alcuni giovani libici sventolano una bandiera italiana a Bengasi, durante una manifestazione anti Gheddafi
E’ disarmante, è scandaloso. Suscita sdegno. E’ l’ennesimo pasticcio italiano, stretto parente della decisione del Governo D’Alema (esecutivo di sinistra) di andare nel 1999 con altri Paesi occidentali a bombardare Belgrado, capitale della Serbia, in nome (ne abbiamo già scritto su “Oggi 7”) di una fogna chiamata Kossovo. Giovedì scorso due Tornado della nostra Aeronautica militare – inquadrati nella Nato – hanno compiuto un’incursione “nella zona di Misurata” (così riferivano fonti ufficiali), città della Tripolitania. Nel momento in cui scriviamo, non si hanno particolari circa la missione. Il Ministro degli Ester Frattini dice comunque che andiamo a bombardare per proteggere i civili libici… Il Ministro della Difesa La Russa da un paio di giorni ripete che otto nostri aerei sono pronti a colpire… Il Presidente del Consiglio Berlusconi martedì scorso assicurava che avremmo compiuto “soltanto” attacchi mirati, “tipo”, aveva aggiunto, convogli in movimento”. In Libia ti può però capitare di sganciare bombe su una colonna motorizzata di ribelli o su una fila di automezzi carichi di civili, distinguere fa governativi e insorti è impossibile, ma questo non entra nella testa di personaggi i quali detengono potere, molto potere, troppo potere. Ci vengono i brividi.
Mercoledì 27 aprile s’era stabilito di discutere il 3 maggio alla Camera sull’opportunità o meno di un nostro intervento armato contro il regime del Colonnello Gheddafi. Tutto veniva quindi rimesso alla volontà del Parlamento. Allora perché giovedì 28 è stato dato l’ordine di attaccare dal cielo obiettivi libici? Perché? Con questo colpo d’ala (davvero d’ala…) siamo entrati nel conflitto libico senza che il Parlamento avesse concesso, appunto, il suo “placet”. Chi è allora che comanda in Italia? Chi è l’”uomo forte” (…) di questo governicchio di destra che in realtà non sembra davvero arbitro di se stesso… ? Ne è arbitro Parigi…? Washington?? Fino a settimane fa – e scusate il termine – eravamo culo e camicia con il Colonnello Gheddafi. Ne accettavamo la protervia, l’ineducazione, la volgarità e, anzi, il Presidente del Consiglio al satrapo di Tripoli un bel giorno baciò la mano e quest’immagine fece ahimè il giro del mondo… Mi venne il voltastomaco. Voltastomaco o meno, ora andiamo a sganciare bombe a breve distanza dalla Tripoli di cui è ancora padrone il tiranno che distorce la Storia… El Mukhtar, il capo nordafricano, vinto e poi giustiziato dagli italiani nel 1931, non rappresentò mai la Libia, il popolo libico. La Libia in quanto tale nacque nel ’34 su disposizione del Governo Mussolini (e dal ’39 in poi considerata in ogni senso giuridico territorio metropolitano italiano). Ottant’anni fa non c’era un “popolo libico”: c’erano tripolini, cirenaici, berberi, berberi del Fezzan e berberi del Gebel. Fra i quali, oltretutto, non era che regnasse un amore appassionato… El Mukhtar rappresentava soltanto due o tre grosse tribù cirenaiche: la guerra che aveva mosso all’Italia, non l’aveva affatto mossa ai padroni di prima, i turchi. Il “Leone del Deserto” sparava sugli italiani poiché cristiani. Capito? La questione si poneva in questi termini.
Noi che alla Libia siamo legati da tremila anni, fino dai tempi della Roma dell’Età repubblicana, oggi sulla “quarta sponda” non siamo che tristi, trascurabili comprimari. A dettare natura e ritmo del match sono i francesi e gli americani, ai quali per piaggeria reggiamo la coda. Un governo italiano serio, ma serio davvero, dichiarerebbe al mondo intero: facciamo nostra la causa degli insorti libici, ai quali va tutto il nostro sostegno politico, militare, morale. Un governo serio invierebbe in Libia un bel corpo di spedizione, al fianco di insorti che con pochi mezzi stanno compiendo miracoli e hanno ragioni da vendere. In Libia un governo italiano serio intimerebbe a Francia e Stati Uniti di non farsi neanche vedere. La Storia ci dimostra che noi abbiamo ben precisi obblighi verso le genti della Tripolitania, dalla Cirenaica, del Fezzan. Questi obblighi li disattendiamo poiché altro non sappiamo fare…