Nella foto il Prof. Alberto Asor Rosa
Sarebbe desiderabile che Alberto Asor Rosa, già Deputato del P.C.I., fosse il titolare di un chiosco di bibite e non un Professore di letteratura in un prestigioso ateneo, autore e curatore di celebri e autorevoli opere di critica e antologia letterarie.Un tale desiderio, peraltro, non lo implica degno di quell’immaginaria veste e non di quella reale. Tutt’altro. Sommessamente, credo sia e rimanga espressione rilevante della cultura italiana. Solo che, sulla prima pagina de il Manifesto di giorno 13 Aprile, ha scritto che con Berlusconi siamo al punto di non ritorno e che, o ora o mai più, bisogna organizzare “una prova di forza che….scenda dall’alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d’emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato, congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d’autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d’interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale”. Ha scritto cioè che, per il bene della democrazia, bisogna organizzare un Colpo di Stato. Tanto pone plumbee questioni. E le pone proprio perché Asor Rosa è Asor Rosa e non l’omino del chiosco; donde il mio desiderio.
Se ne sono immediatamente accorti i nemici del Cavaliere, la cui prima preoccupazione è stata quella di governare la rilevanza del greve appello. Rilevanza che, dunque, c’è. Dal loro Headquarter, La Repubblica, in un’intervista al Professore allestita lo stesso giorno del controverso editoriale, traspare la volontà di arginare lo smottamento, da un lato, con censure manierate verso l’intervistato, dall’altro, articolando un’accusa preventiva verso chiunque, dal Centro-Destra, volesse rilevare l’accaduto: costoro sarebbero “araldi” di Berlusconi, e i loro argomenti, “polverone”, nelle espressioni sprezzanti di Ezio Mauro, enunciate nella riunione di redazione trasmessa sul sito del quotidiano che dirige. Come a dire che Asor Rosa ha sbagliato, lo dice lui (Mauro), e la questione è chiusa (e pare che l’intenzione abbia avuto successo, considerando la velocità con cui la notizia è sparita dai giornali, compresa La Repubblica, ad eccezione de Il Foglio). Chiunque volesse aggiungere altro rispetto a tale definitiva parola, sbaglierebbe a sua volta, rilevandosi un servo di Berlusconi. La prima vittima dell’arringa preventiva è stato Giuliano Ferrara, che ha ritenuto di far capolino subito (uscendo inusualmente dalla ordinaria collocazione domenicale) e vergando parole di misurata ma densa concentrazione su Il Giornale del 14, a doppiare l’intervento della sera prima su Qui Radio Londra. E la circostanza, essendo Ferrara notoriamente navigato e rotto alle durezze della nostra vicenda pubblica, colpisce, almeno altrettanto che la tattica di Mauro. Sicchè, se, pur testimoniando posizioni opposte, non riescono a sorriderne loro, non vedo come possa farlo io, semplice cittadino della Repubblica. Così, correndo il rischio della scomunica eziomauriana (ammesso che giunga fino ad imos) indugerò anch’io sul pronunciamiento del Professore. Che, dicevo, risuona plumbeo.
Perché la faccenda del Colpo di Stato non solo non è estemporanea, ma sembra piuttosto una (involontaria) legittimazione ex post che un auspicio. Secondo un’autorevole interpretazione infatti, il golpe in Italia è stato già eseguito e il regime conseguente instaurato (seppur non ancora solidamente), e in un tempo anteriore al Berlusconi politico. Alludo alla tesi sostenuta da Stanton H. Burnett e Luca Mantovani, in The Italian Guillotine, opera nota ai lettori di America Oggi/Oggi 7, colpevolmente meno nota in Italia. In quel saggio, scritto nel 1998, si afferma che l’Operazione Mani Pulite è stato un Colpo di Stato, eseguito grazie alla convergenza di tre fattori: 1), l’interesse dei maggiori gruppi imprenditoriali a sgravarsi da rapporti con i Partiti di governo (pure lungamente coltivati per tutta la Prima Repubblica), divenuti non più convenienti nell’incedere di Maastricht; 2), l’azione convinta di un settore della magistratura (quantitativamente minoritario, ma culturalmente ed ideologicamente agguerrito) al quale, peraltro, si poterono aggregare singole figure di magistrati non portatori di alcuna esplicita connotazione ideologica; 3), il connubio fra questi magistrati e alcuni importanti organi di stampa, tutti (tranne uno, facente capo al maggior partito di opposizione) riconducibili ai giganteschi interessi economici che decisero di liberarsi della Prima Repubblica, con inevitabili riverberi sul sistema dei media televisivi, strutturalmente al traino della carta stampata.
Sull’oggettiva marcescenza di quel sistema politico, incessantemente riproposta con il meccanismo degli avvisi di garanzia/sentenze (ricordate?), sarebbe sorta così in Italia una struttura di potere, espressa dal ruolo assunto dal Pubblico Ministero, destinata, se non riconosciuta e ricondotta al suo alveo costituzionalmente naturale, a sovvertire stabilmente gli equilibri e la qualità della nostra democrazia. Ma ciò che è, se possibile, più imbarazzante (e magari anche più preoccupante) è la circostanza per cui, nella interpretazione del Prof. Burnett, tutto avvenne proprio sulla base di valutazioni teoriche e di matrici culturali identiche a quelle espresse oggi da Asor Rosa. Ecco perchè parlavo di involontario (ma significativo) avallo ad un Colpo di Stato già eseguito, più che di un manifesto (nell’accezione storico-marxiana del termine).
Ora, è fuori discussione che, con l’avvento di Berlusconi, sia stata introdotta una figura straordinaria nel nostro ordinamento. E che straordinari (proprio nel senso di ‘fuori dell’ordinario’) siano stati i mutamenti indotti, sulla struttura dei poteri esecutivo e legislativo, da questa esperienza politica: la semplificazione tribunizia delle dinamiche interne al partito (Forza Italia prima, Popolo delle Libertà poi) si è riprodotta sia nella formazione del Governo (designato plebiscitariamente all’atto stesso delle elezioni) sia nella rappresentanza parlamentare che, pertanto, ha agito e agisce come una massa di manovra agli ordini del Capo. Paradossalmente, il termine di paragone più immediato, sia per funzionamento interno che per modalità di espressione istituzionale, è il Centralismo democratico con cui il vecchio P.C.I. ha vissuto la sua storia (non c’è ombra di ironia). Per carità, diversa la statura grammaticale della truppa (ma questa è piaga dei tempi, più che solo del Cavaliere, o dei suoi elettori), diverso il radicamento territoriale (ma le tessiture massmediatiche e telematiche delle odierne trame sociali non implicano, per ciò solo, un loro minor valore rispetto alle corrispondenti, più plastiche, esperienze storiche), diverso il rapporto con la funzione di governo (ma, oltre all’insediamento amministrativo nelle c.d. regioni rosse e nelle numerose Giunte provinciali e comunali sparse per la Penisola, dal 1975 in poi, la Conventio ad excludendum venne sostituita da un più articolato movimento inclusivo, senza contare il decisivo ruolo costituente).
Solo che tale figura politica è andata due volte all’opposizione dopo regolari elezioni nè, giunta al governo, ha mai mandato, o tentato di mandare, Polizia o Carabinieri ad arrestare i suoi avversari politici.
Viceversa, lungo questa inaspettata linea di tesi, di singolari convergenze e di inconsce (?) rivendicazioni, le parole del Professor Asor Rosa autorizzano a non ritenere irrealistico, o necessariamente “berlusconiano”, che:
1) una certa declinazione del potere coercitivo statuale (impersonato da Polizia e Carabinieri, invocati nell’articolo, ma costituzionalmente sottoposti al Pubblico Ministero grazie all’innesco formale di un’ipotesi di reato) sia un modo per “integrare” la democrazie, quando asseritamente in pericolo: così, lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del «pubblico», cioè degli apparati istituzionali che compendierebbero una visione consociativa e statualista della democrazia, sarebbero il “più”, “i tre capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano” nelle parole di Asor Rosa, pretermessi da Berlusconi, e per salvare i quali sarebbe sacrificabile il “meno”, la sovranità popolare, invero fittizia, tanto che ha portato al potere il Cavaliere tycoon e manipolatore;
2) l’indefessa rivendicazione di una diversità e superiorità morale si addensa in èlites, come quelle del Palasharp, che si stagliano, olimpiche e inarrivabili, sugli elettori di Centro-destra, evasori fiscali, amorali, ignoranti e che lasciano l’automobile in seconda fila, secondo un’amabile epigrafe del Prof. Eco, e aleggia nel riferimento del Prof. Asor Rosa alla prova di forza che “scenda dall’alto” a guidare la pur generosa, ma da sola insufficiente, “parte sana del paese”, giustificandone un ruolo sovraordinato ed eccezionalmente tutorio (l’eccezionalità ridonda dall’equiparazione di Berlusconi ad Hitler, proposta sia dall’un Professore, nell’editoriale, sia, e prima ancora, dall’altro, nella citata assemblea), che può spingersi fino alla sospensione delle libertà individuali (con il correlato oggettivo delle “situazioni di emergenza”, risalente a Mani Pulite: “Se si creano situazioni di emergenza nelle quali diviene indispensabile comprimere i diritti individuali, per ripristinare l’ordinamento giuridico, allora, nell’interesse comune, sono favorevole alle restrizioni di diritti individuali”- Francesco Saverio Borrelli, Micromega, Ottobre-Novembre 1995);
3) le indagini e i processi intentati contro Berlusconi potrebbero essere l’espressione di un Colpo di Stato non ancora concluso (dopo una prima parte riuscita contro i Partiti di governo della Prima Repubblica).
Bene. Anzi, male. Malissimo.