Giovedi scorso la patria da cui sono fuggito e quella in cui mi sono rifugiato si sono incontrate in una data: il 24 marzo. Il quarto giorno di primavera in Italia e dell’autunno in Argentina è una roccia di memoria dei due Paesi, una memoria di infamia e dolore per ciò che è accaduto, ma anche di sollievo (seppure mesto) perché l’infamia e il dolore ormai appartengono, per l’appunto, alla memoria. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è lontano, sebbene neanche gli oltre sessanta anni trascorsi riescono a far dimenticare la "ferocia" nazista, come ha ricordato Giorgio Napolitano. Molto più recente, il 24 marzo 1976, è la tragedia argentina, quella dei trentamila scomparsi inghiottiti nelle catacombe della dittatura militare, quella dei "voli della morte", quella dei bambini sottratti agli assassinati e "consegnati" alle coppie di militari senza figli, quella delle eroiche Madri di Plaza de Mayo.
L’eccidio del 1944 il suo sbocco lo ebbe con la condanna di Herbert Kappler, il comandante della Gestapo nella Roma occupata e responsabile della strage di 335 persone inermi per vendicare l’attacco al Polizeiregiment Bozen. Ogni mattina quel reggimento marciava lungo le strade della città per intimidire i romani. Secondo Kappler, il semplice risuonare dei loro scarponi sull’asfalto doveva diffondere un senso di tale potenza e invincibilità che qualsiasi intenzione ostile sarebbe svanita all’istante. L’attacco degli uomini della Resistenza mostrò invece la vulnerabilità di quel reggimento e la rappresaglia di Kappler fu immediata: per ogni soldato tedesco morto, dieci italiani saranno uccisi.
Nella concitazione di radunare 330 persone da ammazzare, gli "aiutanti" fascisti di Kappler si sbagliarono e alla fine le vittime furono 335. Kappler poi fu processato e condannato all’ergastolo, ma la scena finale fu quella di ben due esempi della tradizionale cialtroneria italiana. Primo esempio: Kappler riuscì a fuggire il 15 agosto del 1977.
Secondo esempio: il capo del governo di allora, Giulio Andreotti, per calmare l’opinione pubblica inferocita fece dimettere il ministro della Difesa Vito Lattanzio, ma poi lo mise a capo di due altri ministeri. Se nel primo caso la cialtroneria aveva vinto, nel secondo stravinse.
L’epilogo delle atrocità commesse dalla dittatura militare argentina è ancora in corso perché anch’esso ha dovuto subire una buona dose di cialtroneria. La riconquistata democrazia, infatti, produsse due presidenti che avevano scarsa voglia di processare gli assassini. Il primo, Raul Alfonsin, decise che soltanto i tre membri della giunta militare, Jorge Videla, Emilio Massera e Ramon Agosti, dovevano essere processati, mentre quelli che avevano "solo obbedito" non erano da perseguire. Il secondo, Carlos Menem, decise di salvare anche i tre capi, varando un indulto generale.
Con l’avvento di Nestor Kirchner alla presidenza, l’indulto fu cancellato e le indagini sulle atrocità commesse ebbero finalmente la spinta necessaria per fare giustizia. Ma intanto erano passati un paio di decenni. Oggi i processi, fra conclusi, in corso e in preparazione, sono 363. I sopravvissuti sono impegnati a testimoniare e siccome per loro è molto duro raccontare ciò che hanno subito nei macelli che i militari avevano allestito, è stato creato uno strano mutuo sostegno spontaneo riassumibile così. Oggi tu deponi e io sto fra il pubblico, ti faccio sentire che non sei solo e quando finisci ti abbraccio, ti distraggo, ti aiuto a superare quel passato orribile che hai dovuto rivangare. Domani deporrò io e sarai tu a metterti tra il pubblico per non farmi sentire solo.
C’è qualche punto in comune fra queste due vicende lontane nel tempo e nello spazio? Me ne vengono in mente un paio. Il primo è che a Roma i resti di due degli assassinati, Marco Moscati e Salvatore La Rosa, sono stati individuati dai Ris, il reparto scientifico dei Carabinieri. Ed è automatico pensare ai tanti corpi di scomparsi che sono stati identificati grazie al Dna, per consentire – se non altro – di seppellirli. Ma fa pensare anche a quei cento bambini che – adottati dagli assassini dei loro genitori – adesso sono stati individuati, anche essi grazie al Dna. Si calcola che ce ne siano altri 400 da trovare.
Il secondo riguarda il personaggio che tutto il mondo ci deplora: Silvio Berlusconi. Tempo fa, spinto dal suo ego e dalla sua insensibilità, arrivò a raccontare una barzelletta in cui i destinati ai "voli della morte" venivano a un certo punto beneficiati con il permesso di "fare una passeggiata" nel vuoto. Con lui l’infamia dolorosa di cui si è parlato finora si trasforma in infamia cretina.