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March 14, 2010
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Ma dov’è la notizia?

L'intreccio tra giornalismo e potere in Italia

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

 

“Neanche in Zimbawe”. Questa frase, che secondo fonti giornalistiche fa parte delle registrazioni raccolte nei fascicoli della procura di Trani, sarebbe stata detta da il Direttore generale della Rai mentre cercava di concordare una strategia con un consigliere dell’Authority sulle comunicazioni per accontentare le richieste del Presidente del Consiglio Berlusconi che voleva impedire la messa in onda di trasmissioni scomode come “Annozero”.  Ma dove sta la notizia? Mentre mezza Italia si indigna per ciò che ha pubblicato “Il Fatto Quotidiano”, da New York ci appare tutto già rivisto. “Il Fatto” non ha rivelato chissà quale “scoop” sulla sottomissione dell’informazione Rai al potere politico, ma più semplicemente dimostrato per l’ennesima volta quello che si sapeva già.

  L’informazione al servizio dei poteri forti e non del cittadino è un fenomeno radicato, che senza scomodare lo Zimbawe, lo si poteva osservare in Italia ben prima l’avvento di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Con il Cavaliere proprietario di televisioni e giornali, il cancro della democrazia italiana si è certamente aggravato, ma  l’ingerenza della partitocrazia e di altri poteri sull’informazione italiana non è invenzione sua. Anche Romano Prodi sceglieva i “suoi” direttori per il Tg1, anche se bisogna ammettere, col senno di poi, che messo in paragone all’attuale direttore del Tg1 Augusto Minzolini, Gianni Riotta sembra Walter Conkrite!

  Quasi trenta anni fa Bruno Vespa, senza ipocrisia ma neanche vergogna, dichiarava che lui da giornalista Rai considerava “la Dc il suo editore di riferimento”. E magari fosse solo con la Rai il problema. Ricordo, alla fine degli anni novanta, una notizia pubblicata sull’Espresso, che rivelava di un direttore dell’Ansa, l’agenzia nazionale d’informazione che serve tutta la stampa italiana, che prima di decidere o meno se far rilanciare una notizia importante, lasciò la riunione di redazione per correre a Palazzo Chigi e chiedere “istruzioni”. All’epoca non c’era Berlusconi al governo ma il Centrosinistra.

  Da oltre dieci anni, come abbiamo ripetuto appena due settimane fa, da New York scriviamo che il controllo politico sull’informazione è la malattia infantile della democrazia italiana che contagia tutti gli altri poteri della Repubblica. Qualunque riforma istituzionale che non tenga conto di questo, fallirà.

  Con l’innegabile restringimento della morsa del regime di Berlusconi sull’informazione, finalmente tutto il mondo si accorge dell’anomalia democratica italiana. Che vergogna l’inquietante scena del Ministro della Difesa Ignazio La Russa che durante una conferenza stampa strattonava un giornalista freelance che poneva una domanda sgradita al capo del governo e mentre Berlusconi lo riempiva di insulti. Tranne una collega seduta accanto, unica a protestare in quella sala gremita, tutti gli altri giornalisti sono rimasti impassibili, muti e “ordinati”, come tanti soldatini rispettosi. Complimenti alla categoria. Ancora una volta ci tocca ricordare cosa scrisse, nell’estate del 2003, Alessandra Stanley sul New York Times: “With a few exceptions the Italian media are not fair, balanced or tenacious. They were noisy but pliant under previous governments, and they are now ill-prepared to fend off the far more shameless incursions of the current prime minister… in some ways the Italian press got the prime minister it deserves.”

  La speranza in Italia per una informazione democratica arriva dall’internet, come ha sottolineato il Presidente della Camera Gianfranco Fini? Bravo Enrico Mentana che ha saputo aggirare la “censura” con una nuova trasmissione sul sito del Corriere.it.

  Concludiamo con un altro aspetto inquietante sull’attuale capo del governo e come vorrebbe eliminare ogni funzione di controllo dell’informazione in Italia. Berlusconi ha dichiarato che le trasmissioni tv lo metterebbero sotto processo senza dargli la possibilità di difendersi, usando per se la definizione di “persona”. Ha detto il Presidente del Consiglio al suo – nel senso che ne è il proprietario – Tg4: «Per quanto concerne la Rai, posso dire che ho sempre ritenuto inaccettabile, come lo ritengono inaccettabile tutte le persone di buon senso, che si sottopongano a processi in tv delle persone che sono già sotto processo davanti ai giudici e che si accusano in tv di tutto con ferocia e senza dare loro la possibilità di difendersi. E ho sempre chiesto a destra e a manca che si facessero esposti in tal senso all’autorità apposita per le comunicazioni perché assumesse gli opportuni provvedimenti».

  Quindi il capo del governo in una trasmissione di approfondimento politico e d’inchiesta della Rai pretenderebbe di essere considerata una “persona” qualunque, un semplice cittadino che non può essere messo sotto inchiesta dalla tv prima di essere giudicato da un tribunale. Ma certo, mettere sotto processo una “persona” in tv, ma come si permettono? Ma ecco che Berlusconi fa anche approvare leggi come quella sul “legittimo impedimento” in cui il Premier pretende che quella stessa “persona” adesso sia considerato non più un cittadino come tutti gli altri, ma un capo di governo con impegni assolutamente prioritari che non possono essere ostacolati dalla chiamata di un magistrato. Traduzione: se dei giornalisti vogliono fare una inchiesta in tv su di me, non possono perché sono una “persona”, un cittadino come tutti gli altri, se invece lo vogliono fare i magistrati, allora non sono più uguale agli altri ma l’intoccabile capo del governo. Chissà se funziona così anche in Zimbawe

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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