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February 12, 2020
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La cultura italiana è la più attraente nel mondo? Eppure dal turismo non risulta

Da un indice pubblicato da The Spectator, la cultura italiana è al primo posto come influenza nel mondo, ma poi come attrazione turistica si fa superare sette volte

Riccardo GiumellibyRiccardo Giumelli
La cultura italiana è la più attraente nel mondo? Eppure dal turismo non risulta

La Torre di Pisa, un simbolo della magnificenza della cultura italiana e della sua attrazione turistica (Foto da PxHere)

Time: 4 mins read

L’Italia è piccola, piccola. È il 0,20% di tutte le terre emerse. Una punta di un’unghia rispetto al resto del corpo. Eppure quello che rappresenta, nel mondo, è molto di più. Per certi versi lo sappiamo, non ci sarebbe neanche bisogno di ricordarlo.

Tuttavia, noi lo vogliamo fare perché ci agganciamo a delle notizie che non possono essere inosservate.

Per The Spectator index, la cultura italiana è la più influente al mondo in una classifica stilata per il 2019. La notizia viene segnalata su Twitter, ripresa dal ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo. Seguono Francia, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito, ecc..

A dire la verità qualche tempo fa avevamo parlato, sempre su queste pagine, di una classifica simile fatta da US News, che vede l’Italia come trendsetter al mondo.

Ciò che rende influente la nostra cultura, in senso lato, è un mix di cultura alta e bassa che, da un piccolo lembo di terra, è stata in grado di raggiungere ogni luogo al mondo e diventare la più influente.

Per cultura alta intendiamo quella del sapere colto, della cultura specialistica, scientifica, artistica, letteraria. Quella che si apprende in luoghi particolari, ad hoc, (scuole, accademie, istituti). Per quella bassa intendiamo i valori, le pratiche quotidiane, le consuetudini tipiche di un’identità collettiva apprese, spesso in maniera inconsapevole, a contatto con la società nella quale si vive.

Noi eccelliamo in tutte e due: abbiamo esportato ovunque il sapere più colto ma anche quello più popolare, mi sia permesso il termine. Quello, quest’ultimo, del buon vivere, rappresentato da un’espressione che, uscita dall’ambito cinematografico, diventa nel mondo un’immaginario sociale ammirato, apprezzato, ricostruito e reinventato: la Dolce Vita. 

C’è un po’ di Italia ovunque: persone emigrate, oriundi, italofili; in altre parole i nostri cari italici, ma anche simboli che riempiono le strade, le biblioteche, i musei, i ristoranti. Il linguista Vedovelli sostiene che la lingua italiana è la seconda più visibile al mondo, perché la troviamo nei menù, nelle insegne, nei cognomi e anche in tutto quel mondo dell’Italian sounding che non è frode ma che alla nostra lingua si richiama. Quello del Frappuccino, per dire un esempio. Non è tra le più studiate, anche se molti ricordano come sia la quarta, ma sicuramente è presente intorno a noi. E non è poco.

Se l’Italia è piccola la sua cultura è grande e non ha confini. Niente di nuovo, è vero, ma tutto questo entra in contrasto con un altro dato riportato dallo stesso The Spectator Index, sulla classifica dei paesi più competitivi nel turismo per il 2019.Un dato che non è stato diffuso.

Siamo il paese con la cultura più importante ed influente ma per il turismo siamo solo, e ribadisco solo, all’ottavo posto. Sotto l’Australia, e la Gran Bretagna. Qualche dubbio sorge sulla nostra capacità di “sfruttare” questo potenziale. In Europa, come ci dicono molte altre statistiche (Eurostat, Istat), siamo costantemente dietro a Spagna e Francia, che a loro volta sono costantemente dietro l’Italia per influenza culturale.

Perché avviene questo? La risposta non è facile. C’è differenza quando si domanda un servizio e si vuole vivere una certa esperienza al meglio. Non si tratta solo di pensare: “l’Italia è piena di meraviglie da vedere”, ma anche di poterle visitare al meglio.

Paesi come la Spagna, come ci racconta un bell’articolo  apparso sul iI Sole 24 Ore, hanno puntato sul turismo come risorsa ormai da più di 60 anni con un approccio di marketing strategico molto avanzato già dai primi anni, tanto da diventare il luogo più familiare per  le“4 S’ (Sun, Sea, Sand and Sex) accompagnate da campagne di successo con slogan e loghi diventati diffusissimi. E l’Italia? In costante ritardo e con un “PST (Piano Strategico Turismo Italiano) che è un calderone di 108 pagine molto ambizioso, ed allo stesso tempo limitato dalle complicazioni relative al coinvolgimento di diversi ministeri.” Insomma, i soliti classici problemi di fare sistema, lasciando le cose ad iniziative personali, che coinvolgono alcuni e non altri per controllare meglio il territorio.

Tuttavia, non possiamo fare meglio? Io ne sono profondamente convinto. Certo, essere dietro l’Australia, con tutto il rispetto e l’ammirazione del caso, può far storcere la bocca. Parliamo di in un settore che dà lavoro a 4,2 milioni di italiani, cioè il valore più alto in termini assoluti in Europa.

Non abbiamo medicine dalle soluzioni rapide e immediatamente efficaci, ma ogni tanto ricordare, visto che fuori d’Italia continuano a dircelo, che valiamo molto di più di quello che pensiamo, dovrebbe darci una spinta a fare di più e meglio. A partire dal turismo.

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Riccardo Giumelli

Riccardo Giumelli

Un aforisma che più di altri mi rappresenta è quanto scrisse Machiavelli, citando Boccaccio: “che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi”. Come loro sono toscano, animo inquieto in cerca di porti per approdare e ripartire. Dopo gli studi in Scienze politiche, ho iniziato ad amare i libri, fare ricerca e scrivere, al punto da rimanere nell’Università, prima Firenze poi Trento. A Dijon e poi a Parigi, ho lavorato alla Camera di Commercio italiana e all’OCSE. Tornato in Italia, sono approdato a Verona, dove faccio ricerca e insegno. Intanto un matrimonio e due splendide gemelline. Mi occupo di sociologia, cultura e comunicazione. Tra tanti nuovi inizi e altrettanti epiloghi, una costante: ho sempre tifato Inter. Infatti soffro di stomaco.

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