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Dittatori in vetrina: il vino del Duce al Viminale

Le bottiglie con le etichette di Hitler e Mussolini sono il pezzo forte di una vineria in centro a Roma: ma il grosso del mercato di oggettistica è sul web

Valentina BarresibyValentina Barresi
Dittatori in vetrina: il vino del Duce al Viminale

Bottiglie esposte in una vineria di piazza del Viminale a Roma

Time: 4 mins read

“Credere, obbedire, combattere”. Se ne sta in mezzo a personaggi come Karl Marx cui è dedicata l’etichetta “Il Rosso del Popolo”, e a un ritratto di Adolf Hitler, il “Duce d’Italia”. In bella mostra dietro al vetro col braccio destro alzato, il fez rigorosamente sul capo e l’altera espressione di sfida. Dice: “Non ho tradito”.

Ma no, non ci troviamo in un museo, come probabilmente starete pensando. E Hitler e Mussolini non stanno dentro a una teca a futura memoria delle pagine più buie della storia recente, ma in una vetrina di piazza del Viminale, a due passi dal Teatro dell’Opera a Roma. Etichette di dittatori su bottiglie di vino. Forse non il pezzo più pregiato del grande negozio all’angolo, ma di sicuro quello che più attira gli sguardi curiosi e sorpresi di visitatori e turisti. Nulla di nuovo sotto al sole, in realtà. La vendita di quelle bottiglie lì, per la vecchia vineria è storia. Già documentata e difesa dai proprietari. Tornata, però, d’attualità a settembre, con l’approvazione alla Camera della legge Fiano.

Ecco cosa prevedeva: “Chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero dei relativi metodi sovversivi del sistema democratico, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne fa comunque propaganda richiamandone pubblicamente la simbologia o la gestualità, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.

Il progetto di legge a prima firma di Emanuele Fiano (Pd) ha fatto molto discutere in corso d’approvazione, nonostante i rigurgiti fascisti (e nazisti) tornati a scuotere il Belpaese dopo l’onda nera dell’estate scorsa e il successo di Casa Pound alle amministrative del 2017. Hanno espresso voti contrari Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega Nord e Movimento 5 stelle. Definito “liberticida” dai 5s, per i quali calpesterebbe la libertà di opinione, il provvedimento è stato contestato anche dal leader leghista Matteo Salvini, che ha dichiarato: “Nel 2017 non ha senso il reato di opinione. Un conto sono le minacce, gli insulti o l’istigazione al terrorismo, altra cosa sono le idee, belle o brutte, che si possono confutare ma non arrestare”. Renato Brunetta (Forza Italia), ha invece rilanciato: “Perché non includere allora anche i comunisti?”. Fatto sta che, a legislatura conclusa, la norma è stata “dimenticata” al Senato, dove sarebbe dovuta passare per l’approvazione definitiva.

Del resto, c’è chi pensa che quello della propaganda fascista sia l’ultimo dei problemi del Paese. Chi minimizza, ritenendo che souvenir o pezzi da collezione in fondo siano oggetti del tutto innocui, “folkloristici”.

Decisamente diverse le reazioni dei turisti che si imbattono nel negozio per la prima volta. Se gli italiani in giacca e cravatta passano ormai indifferenti davanti alla vetrina, gli stranieri rallentano incuriositi e indicano le bottiglie, alcuni sogghignando, altri scambiandosi sguardi increduli.

Ma il negozio a due passi dal Viminale non è l’unico posto dove oggi si possono facilmente acquistare oggetti legati al Ventennio. Sempre nei dintorni, scendendo alla fermata metro Repubblica, ci si può imbattere in bancarelle con pezzi da collezione: e tra i soldatini in miniatura degli stand, trovano posto sia Benito Mussolini sia Adolf Hitler in versione saluto fascista e nazista. Qualche gadget, come calendari o piccole statuine del Duce, resiste ancora in alcuni negozi di souvenir.

Gadget fascisti acquistabili online

Il grosso del mercato, però, si è spostato in rete. Basta andare alla ricerca di “gadget fascisti” su Google per immergersi in un mare magnum di possibilità, tutte a portata di click. Ce n’è per tutti i gusti e le tasche. Da Ebay ad Amazon, dove si trovano persino mezzi busti in bronzo del Duce, ai siti dedicati dove comprare magneti, felpe, ciondoli ispirati a Mussolini e Hitler e anche alle loro massime.

Quanto ai vini, gli stessi esposti in via del Viminale a Roma, li si può ricevere comodamente a casa acquistandoli sul sito dell’azienda Lunardelli: la casa friulana, che produce le bottiglie incriminate ed è attiva dal 1995, ha creato infatti creato una linea ad hoc, la “Linea della storia”, all’interno della quale è possibile scegliere, fra le altre, tra le etichette Der Fuhrer, Il Ventennio e Communist Collection e abbinarle al vino che più si preferisce. Sopravvissuta indenne a quattro cause e anche a un articolo sul New York Times dal titolo “From Italy, a Vintage Redolent of Horrors”, l’azienda ha ribadito che non toglierà mai Mussolini o Hitler dalle sue etichette. “Di gadget fascisti non è mai morto nessuno”, ha detto stizzito Andrea Lunardelli commentando l’ok della Camera alla legge Fiano a settembre.

Souvenir in vendita in Sicilia

E forse, ha ragione. Di gadget fascisti, in fondo, non è mai morto nessuno. Così come di souvenir ispirati alla mafia, che pure proliferano a decine nella centralissima via Maqueda a Palermo. A morire, certamente, sono stati ebrei, zingari, omosessuali, dissidenti. Giudici, commissari, commercianti, liberi intellettuali e gente comune. Ma in campi di concentramento, agguati, rastrellamenti, attentati.

La loro memoria, in un Paese normale, forse sarebbe sufficiente per non farci passare oltre alle vetrine con la proverbiale leggerezza che tanto ci contraddistingue.

Di etichette e stereotipi, però, a morire è anche un po’ il nostro orgoglio di giovani italiani ogniqualvolta andiamo all’estero, fieri della nostra cultura e del nostro genio, e ci sentiamo rispondere che l’Italia è “pizza, mafia e mandolino”. E ogniqualvolta ci sentiamo beffati in casa nostra, perché a chi era venuto per scoprirne le meraviglie, non abbiamo saputo mostrare il nostro volto migliore. E se è pur vero che il brand non è tutto, è certamente una parte essenziale dell’identità che vogliamo affermare e del valore che vogliamo ci venga riconosciuto.

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Valentina Barresi

Valentina Barresi

Valentina Barresi è corrispondente dall'Italia per La Voce di New York. Giornalista dal 2008, s'interessa d'attualità, cultura, esteri e mafie. Vincitrice della 28esima edizione del premio "Mario Formenton", ha scritto per la Repubblica, America 24, il Giornale, la Sicilia e ha collaborato con gli uffici stampa dell'Ambasciata d'Italia a Washington DC e di Oxfam Italia. Tra le città in cui ha vissuto, ci sono Palermo, New York, Roma, Milano, Lussemburgo. Peregrina per necessità o diletto, non ha ancora trovato il suo "centro di gravità permanente", sebbene la Sicilia rimanga per lei l'ombelico del mondo.

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