L’umanità spostata con il pragmatismo è Michil Costa, pensatore lungimirante, ambientalista e imprenditore, che lavora nel rispetto della tradizione e del proprio territorio, con uno sguardo filosofico proiettato alla natura e all’uomo. Noto per il suo ruolo nel mondo del turismo e dell’hotellerie e per rivestire la carica di presidente della Costa Family Foundation Onlus. L’economia del bene comune è il principio fondante delle tre Case -Hotel Perla, Berghotel Ladinia e il Posta Marcucci- che gestisce con la sua famiglia così come del ristorante stellato La Stüa de Michil, che quest’anno con il nuovo Chef Simone Cantafio, dal Giappone, darà ancora più sostanza ai valori del buono e del bello. Quei valori che si rifanno alle buone maniere, non rivisitate o ricreate ma quelle innate, che ricordano che l’amore è relazione, è ricevere per dare e non dare per ricevere, e le parole rilasciatemi da Michil Costa vivono di questa verità.
Il contatto umano al tempo del Covid-19 nel luogo per eccellenza dell’accoglienza: le Vostre Case, riuscite a mantenerlo?
“L’ospitalità va oltre il semplice atto di ospitare in casa propria: è un modo di essere che diventa accoglienza, un aprirsi verso il viandante, lo straniero che da me viene, per me e la mia terra si interessa, cerca l’interscambio e quindi diventa parte di me, oste, che lo accudisco e faccio del mio meglio per regalargli il tempo migliore. Ecco, se parliamo di accoglienza, non è cambiato nulla e anzi, non dovrebbe essere cambiato nulla se davvero vogliamo offrire un turismo di qualità. Insieme alla mia famiglia e ai nostri preziosissimi collaboratori stiamo lavorando proprio a questo, a una cultura dell’accoglienza per un turismo più umano, per una continua ricerca di qualità. Di questo fa parte l’aspetto operativo, per esempio abbiamo un direttore dell’ospitalità che si prende cura dell’ospite dal momento in cui arriva al momento in cui parte; ma ne fa anche e soprattutto parte una qualità di pensiero che si esprime attraverso la filosofia aziendale. Quest’ultima viene nella nostra missione: “Creiamo benessere consapevolmente dando valore alla persona perché occuparci dell’altro è piacere”.

Cos’è esattamente il bene comune come modello di gestione che applicate, rispetto al quale contano di più i valori come solidarietà, dignità umana e sostenibilità?
“L’Economia del Bene Comune, un’economia alternativa che non pone il profitto come unica misura per il successo dell’azienda, bensì valori quali la dignità umana, la sostenibilità ambientale, la trasparenza e la cogestione, la solidarietà sociale. Il Bilancio del Bene Comune è una matrice studiata inizialmente dall’economo austriaco Christian Feldber che prende in considerazione tutte le attività dell’essere umano, non solo dell’azienda, alle quali vengono assegnati dei punteggi. Vi sono infatti quattro colonne portanti: la dignità umana, la giustizia sociale, la sostenibilità ecologica, la trasparenza e la condivisione delle decisioni. È proprio a partire da questi principi che, dal 2012, abbiamo adottato il modello dell’ Economia del Bene Comune per la gestione delle nostre Case: ogni due anni valutiamo il contributo dell’azienda al bene comune, al bene di tutti; parliamo di qualità del posto di lavoro, di forniture etiche, di ecosostenibilità, di equità sociale e trasparenza, e lo facciamo insieme ai nostri collaboratori. È un modello che richiede molto tempo e molta pazienza, ma così si forma un gruppo coeso. Siamo trasparenti nei nostri bilanci, perseguiamo una giustizia sociale senza nessun sfruttamento, ognuno deve lavorare il numero di ore giusto, perché ne va del benessere dell’essere umano. Abbiamo psicologi che ci fanno consulenza. Certo è un modello che ha costi sull’impresa, ma i risultati sono eccellenti, le persone lavorano meglio e i nostri ospiti trovano un’accoglienza in cui si percepisce l’atmosfera e il contatto umano. Un successo é tale se è vantaggioso per tutti. Siamo qui su questo pianeta per trattarlo bene e per diffondere armonia, questo è lo scopo. L’obiettivo di un’azienda deve essere quello di avere successo – economicamente e socialmente. Non basta fatturare bene, come non basta essere al 100% solidali. I due vanno insieme, si danno la mano, e solo insieme compongono “il successo”. Dobbiamo essere radicali, andare alla radice delle cose, e questo significa anche scegliere con coraggio di opporsi ad un sistema economico-capitalista ormai completamente fuori controllo. Le alternative esistono, dobbiamo solo prenderci il tempo di vederle”.

Credit Pic (La Perla)
Qual è la domanda che un bravo albergatore dovrebbe farsi e che non dovrebbe mai dimenticare?
“Mi piacerebbe, quando si parla di turismo, termine che molto spesso ha sostituito “il viaggio”, dal francese “tourner”, andare in giro, che ci fosse un pensiero comune declinato in prima persona: cosa posso fare, io albergatore, per te contadino che vivi nella mia stessa comunità? E cosa posso fare per te pescivendolo che affronti le tortuose strade di montagna partendo alle quattro del mattino da Chioggia per portarci il pesce fresco in giornata? E per te cameriera dei piani bosniaca che lasci la famiglia per affrontare una lunga e impegnativa stagione turistica? E per te ragazzo nigeriano che sei da anni in Italia e devi accettare i posti di lavoro più umili e ancora non hai il permesso di soggiorno che ancora troppo spesso ti rifiutiamo temendo che tu possa danneggiare i nostri interessi economici? E cosa posso fare per te turista americano, cinese, russo? L’incontro senza finzione, l’incontro vero, quello che accade quando la vita decide di farti un regalo, perché senti che da qualche parte, forse nascosta, c’è una cosa in comune, diventerebbe così l’occasione per una comprensione reciproca, con il gusto di conoscere l’altro riconoscendone il diritto di essere se stesso oltre l’appartenenza culturale, la religione, la provenienza, gli atti e costumi. Se non partiamo da questo presupposto non riusciremo mai a dare un valore altro al turismo nella forma in cui si è consolidato negli ultimi decenni. A riconciliare il turista con il viaggiatore. Il viaggio come dimensione pacificante, che può lenire le ferite che la vita ci infligge. Il viaggio come terapia che può addirittura abbassare il nostro livello di aggressività, come diceva Chatwin. Il turismo deve riappropriarsi di un concetto basilare, che vada oltre i cliché standardizzati, oltre le formulette del marketing di convenienza. Il noi e gli altri non sono parti distinte allo stato puro e isolate, ma possono convivere influendo l’una sull’altra, dando a tutti l’opportunità di farsi persone più complete. Soprattutto i territori che ospitano piccole comunità, come quella dove vivo, in mezzo alle Dolomiti, possono e devono salvaguardare la diversità che passa attraverso la ri-conoscenza delle diversità stesse. Cosa posso quindi fare io per te imprenditore americano e cosa puoi tu ricco cinese fare per me? Cosa posso io operatore turistico fare per te migrante nigeriano e cosa puoi tu fare per la mia comunità? La strada per arrivarci è lunga e faticosa e per raggiungere questo obiettivo non serve solo entusiasmo, ci vogliono coraggio, conoscenza, umiltà. E rispetto”.
La pandemia sembra aver istericizzato il turismo di massa e le strutture hanno occhi solo per i profitti. Cliente, portafogli collide con ospite e consapevolezza. Come se ne viene fuori ?
“Nelle nostre Case il cliente è ospite. E prima del suo portafogli è una persona. Il cambiamento inizia trasformando i clienti in ospiti. Perché il cliente è colui che sfrutta, paga, usa, abusa, va a casa, non è fidelizzato e non porta via niente, l’ospite invece viene da noi rispettando il luogo e portando condivisione. Bisogna rinunciare alla massificazione, puntare a una comunità. Non quantità, ma qualità. Credo in una rivoluzione culturale, fatta di consapevolezza e libertà. Anche perché non può esistere tutela di un ambiente così delicato come le Dolomiti, senza una netta inversione di marcia sul fronte del traffico e del turismo “mordi e fuggi”.
L’essere umano sembra aver dimenticato il dovere di vivere in armonia con l’ambiente che lo circonda e ripristinare l’equilibrio uomo-natura è un’impresa dura. Il Trentino Alto Adige ne sta pagando le conseguenze ?
“Il dovere di vivere in armonia con l’ambiente è baipassato ampiamente dal crescere smisurato della nostra ingordigia. Desideriamo solo nuovi e imponenti insediamenti. “Cubatura”: ecco la parola magica. Ci dimentichiamo dell’esempio della bellezza degli insediamenti più antichi. Penso alle preziose e tipiche case ladine, alle case a fungo in Val Badia e ai loro fienili vecchi di 500 anni. Veri esempi di design antico per la loro funzionalità. Anche le aree più incontaminate vedono una corsa alla cubatura oppure vivono una fase di deruralizzazione: i centri nel fondovalle vengono ampliati, le aree marginali abbandonate, le attività tradizionali interrotte, gli stili di vita omologati. Quando i turisti si troveranno un Südtirol cementificato lo ameranno ancora? Questo mi chiedo. Ha senso continuare a costruire edifici, case, stradoni in montagna solo perché lì l’aria è più pulita? La monocultura turistica è un danno enorme. Mi vien da pensare a Miguel de Cervantes che diceva: “Ognuno è come il cielo lo ha fatto, e qualche volta molto peggio”. Quello che io temo è la “senfterizzazione” (Senfter è il famoso produttore di speck, finanziatore del nuovo collegamento sciistico a Sesto) del Südtirol. Un Südtirol imbustato, plastificato, fatto per essere venduto un tanto al chilo. Rischiamo così di perdere la nostra storia e di trasformarci in una parodia di noi stessi. Ha presente i grandi casinò di Las Vegas? Ecco noi rischiamo di diventare come il The Venice, il casinò famoso per la riproduzione di Venezia. Ci sono le gondole, San Marco, i ponticelli… come il turista ha sempre immaginato Venezia. Ma là ha un senso, hanno creato una piccola Venezia in mezzo al deserto, sono stati bravi! Qui invece noi ci siamo davvero, abbiamo davvero una storia e delle tradizioni, non possiamo diventare l’imitazione turistica di noi stessi, sarebbe un paradosso! Stiamo decadendo. Quante brutture, quanta insensibilità. Quanto inquinamento luminoso e acustico. Le Dolomiti non dovrebbero nemmeno essere attraversate dalle rotte degli aerei di linea che con il loro fumo bianco tolgono forza ai raggi di sole: sarebbe la miglior pubblicità! Sulle Alpi stiamo facendo turismo pornoalpino con alberghi da una parte mostruosi, dall’altra di un kitch spaventoso. Tutti dicono di non avere più i mezzi per investire, la crisi viene usata per rinnegare i precedenti impegni ecologisti. Preferiamo riparare il passato piuttosto che preparare l’avvenire”.

La montagna appare stanca. Non trova che sia giunto il momento di un sistema sanzionatorio severo per le violazioni ambientali?
“Dobbiamo ripensare la legittimità umana alla distruzione ambientale. Dobbiamo ritrovare la consapevolezza ambientale, capire che noi siamo natura e che se non agiamo adesso per difendere MadreTerra dal male che le stiamo infliggendo, non potrà esserci un domani. La montagna non è né buona né cattiva, solo amplifica le nostre azioni. Ti butta giù se non sai come affrontarla. Spesso viene affrontata in modo superficiale, con troppa poca attenzione. Ma se sei negligente la montagna si vendica, ti butta giù. La gente spesso affronta la montagna senza vederne la Bellezza, volendo fare le olimpiadi d’inverno (più aumenta la capacità di portata degli impianti più aumenta la velocità di discesa) e chiedono d’estate la sdraio a 2000 metri al gestore di quello che una volta era un rifugio e ora è diventato il quattro stelle S con piscina e wellness. Il paradosso totale: fanno il wellness all’interno di una struttura quando basterebbe uscire per trovare il wellness assoluto. Il lentius profundis soavius, questo è il vero lusso”.
Le piste sciistiche riapriranno dopo quasi due anni. Cosa si augura e cosa teme per la ripartenza della stagione invernale?
“Mi auguro di riuscire a essere albergatore, e di non limitarmi a fare l’albergatore riuscendo a prendere per mano collaboratori, ospiti e fornitori. Temo un edonismo sfrenato, alla pari di quell’edonismo che poi, causa la troppa energia in campo diede il via alla Urkatastrophe, la catastrofe originaria, la prima guerra mondiale. Tradotto: sfruttare uomini e pianeta per poi, definitivamente, collassare”.

Costa Family Foundation onlus, la fondazione di famiglia nata nel 2007, sostiene progetti di sviluppo per la difesa dei diritti dei minori nel mondo. Due sono i progetti avviati in favore delle donne afghane, la parte più debole di una terra da troppo tempo martoriata e dilaniata dalla violenza. Con Revolutionary Association of the Women of Afghanistan siete riusciti a mettervi in contatto ed è ancora possibile aiutarle?
“Il mondo ha bisogno di Consapevolezza Compassione e Bellezza. L’illusione fondamentale dell’umanità consiste nel pensare che io sono qui e tu sei lì. Tutto è connesso. Il matematico Lorenz diceva che una farfalla che sbatte le ali fa piovere a New York. Devo essere consapevole di ogni mia piccola azione. Con le donne di RAWA non abbiamo mai smesso di essere in contatto. Tuttora continuiamo a sentirle, tuttavia attraverso canali alternativi e con molta attenzione a non fare alcuni nomi, né di luoghi né di persone. Al momento le donne sono nascoste, si muovono con molta cautela, la paura dei Talebani e degli altri gruppi radicali islamici, è molto grande. La situazione è davvero drammatica, ci sono tantissimi sfollati interni che sono fuggiti dai loro villaggi per sfuggire dalla violenza talebana, persone che ora hanno bisogno di acqua, di cibo, di un tetto sopra la testa. Ed è proprio per questa urgenza umanitaria, che attualmente stiamo raccogliendo fondi. Per quanto riguarda gli altri due progetti, sempre per questioni di sicurezza delle persone coinvolte in loco, non si può dire molto, possiamo dire solo che ci siamo ancora”.
Nelle nuove generazioni, tanti sono i giovani attivisti in continua espansione sensibili ai temi ambientali. I giovani sembrano più saggi e gli adulti più vulnerabili, i giovani gridano all’armonia con la natura, gli adulti invece la sfruttano. C’è una forte dicotomia generazionale eppure le radici sono le stesse, cosa ne pensa ?
“I bambini crescono con dei valori molto diversi da quella che dovrebbe essere la loro estrazione. Viene a mancare il contatto con la natura: vedono una forma di vita che può anche portare a una soddisfazione effimera. Così facendo andiamo a perdere l’autenticità. Solo riconoscendo l’autenticità di questi luoghi, della nostra cultura, della nostra lingua riusciremo a trovare e continuare con più forza e più convinzione un bell’equilibrio con ciò che ci circonda”.
Le montagne possono insegnare solo ad alunni attenti non certo distratti. Se dovesse educare un bambino alla montagna da dove partirebbe?
“Le montagne sono maestri muti che insegnano ad alunni silenziosi” diceva W.Goethe”.
Alle generazioni adulte invece qual’è la cosa che più augura affinché sappiano cogliere al meglio l’opportunità dell’inevitabile cambiamento del tempo in cui viviamo ?
“Quando la crescita economica supera la crescita culturale abbiamo un problema di equilibri. Occorre curare noi stessi per curare il mondo. “Never miss a good crisis”. La drammaticità di ogni crisi, nasconde la grande opportunità di rimodulare i nostri valori, gli obiettivi e le consapevolezze che finora avevamo dato per scontati. Nulla è eterno. Sta a noi cogliere l’opportunità di crescita nella difficoltà. Come? Ridiamo valore all’umano”.