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Oltre gli stereotipi. L’altra faccia di Scampia, quella che il mainstream non racconta

Tutti ne conosciamo le vele, molti la associano a Gomorra, ma, andandoci, si scopre che è molto altro e molto di più

Irene RanaldibyIrene Ranaldi
Oltre gli stereotipi. L’altra faccia di Scampia, quella che il mainstream non racconta

Scampia, un'altra prospettiva (foto Irene Ranaldi).

Time: 11 mins read

La prima volta che ho messo piede a Scampia, il paesaggio era coloratissimo, le facce mascherate, i cartelli sbeffeggianti, i furgoncini ricoperti di maschere di cartapesta formavano un arcobaleno di voci di riscatto.

Era il giorno del mitico carnevale di Scampia.

un corteo di carnevale come occasione per “un recupero della manualità, che a scuola non si vada solo con la testa, ma anche con le mani; per stabilire e mantenere almeno una tradizione popolare che sia anche contributo all’identità del quartiere; per esercitare la creatività applicata ai casi quotidiani della vita; per stabilire un rapporto fra scuola e territorio, esibendo all’esterno, in corteo per le strade, ciò che si è prodotto a scuola, e usando il territorio come teatro; per educare al riciclaggio di materiali di risulta o di scarto, stoffe, giocattoli vecchi, cartoni da imballaggio, ecc. (cit. bando di carnevale del GRIDAS).

Me ne avevano parlato gli amici dei Traindeville, Ludovica Valori nello specifico, amica musicista ma dalle caleidoscopiche abilità (tra cui quella di essere una muralista). Nello zaino non avevo solo acqua e panini, ma anche un piccolo bagaglio di pregiudizi, sciocco fingere di non averne avuti.

Per me Scampia era sì studio – occupandomi di sociologia urbana e di turismo sociale in contesti “periferici” il parallelo con Corviale a Roma già lo conoscevo – ma era soprattutto la trasposizione dal romanzo di R. Saviano nella serie tv on demand “Gomorra”. E in Gomorra, a parte alcune incursioni nei quartieri centrali di Sanità e Forcella, o nelle ultime serie in America Latina e Londra, la telecamera è fissa sulle vele, per altro con una prospettiva che le fa sembrare una linea infinita che si auto-riproduce come nel gioco Tetris o una litografia di Escher.

Andandoci, tutto cambia e ti senti pure un po’ preso in giro. Del resto, non avrei fondato – ormai sei anni fa – un’associazione che ha per slogan “interroghiamo i luoghi, camminiamo insieme” se non ci andassi realmente con le mie gambe nei luoghi.

Perché è quando smetti di farti delle domande, è quando pensi di sapere tutto o pensi che la curiosità e la voglia di conoscere debba appartenere solo ad una fase della vita collocata nella parte “giovane”, è qui che inizi a diventare un vecchio rompiballe.

“Gli uomini non possono vedere nulla intorno a sé che non sia il loro proprio viso: tutto parla loro di loro stessi. Anche il loro paesaggio ha un’anima” scriveva Karl Marx. Qual è l’anima delle città e dei quartieri? Qual è la storia di una città e di un quartiere, quella mainstream raccontata dai media e dalla tv e cinema o quella degli abitanti? Quella delle statistiche ufficiali “numeri alla mano”, o quella del sentito dire, del “l’ho letto su facebook” che diventa fake news, tanto ormai la verità delle fonti non va più di moda?

Se tutto è paesaggio, non è bello il paesaggio che è costretto a vedere chi vive ancora oggi in una delle due delle cosiddette “vele” che sono rimaste a Scampia (su 7 progettate e 6 realizzate), quartiere dell’estrema periferia nord di Napoli che confina con i quartieri Piscinola e Miano, col quartiere Secondigliano, col comune di Arzano, Casandrino, Melito e Mugnano.

Il progetto dell’architetto Francesco di Salvo prevedeva la realizzazione di otto edifici contrassegnati con le lettere (uno però non venne mai costruito), nel piano della legge 167 del 1962, per l’acquisizione di aree cittadine da destinare all’edilizia popolare. Il modello architettonico adottato da Di Salvo – che si inserisce come quello di Corviale a Roma a firma di Mario Fiorentino – è quello del Megastrutturismo. Nel caso delle Vele il disegno è rappresentato da due blocchi paralleli a gradoni, con un grande vuoto centrale, collegati tramite scale, ascensori e ballatoi. Ogni blocco, è alto 45 m, pari a 14 piani, ed è costituito da un edificio a tenda, dal profilo a curva da cui appunto il soprannome di vela.

Di nuovo, come avvenuto per Corviale a Roma, il progetto originario dell’architetto è stato tradito, perché incompleto: esso prevedeva la realizzazione di attrezzature e servizi, verde pubblico con percorsi e sistemi pedonali, aree destinate ai giochi per i bimbi, attrezzature all’interno degli spazi destinati a servizi ed una serie di centri scolastici, religiosi, commerciali, culturali, sanitari. Nulla di tutto questo, ma enormi palazzi dove dormire e basta, senza alcun esercizio commerciale, sociale, educativo, sanitario. Con, in più, l’utilizzo di sabbia di mare (!) per solidificare i tondelli per le costruzioni.

Per raccontare come erano in origine le Vele di Scampía tutto forse potrebbe cominciare con il film “Le occasioni di Rosa” di Piscicelli (1981), ambientato nella desolata periferia di Secondigliano dove albergavano disagio, alienazione urbana, conflittualità sociale, emarginazione, precariato, disoccupazione, violenza, droga. Già il Piano Regolatore Generale di Napoli del ’39 di Piccinato prevedeva una grande zona di espansione edilizia a nord del Parco di Capodimonte. Il Piano di Zona per Napoli-Secondigliano fu redatto dal Comune di Napoli ai sensi della legge 167/62. Fu così che in un’area di circa 400 ettari, per 78000 abitanti, poco distante dall’aeroporto di Capodichino, fu previsto un grande insediamento di edilizia economica e popolare.

Furono così gettate le basi per una diaspora: la creazione di un rione ghetto, futura fonte e sede di malessere sociale, di indifferenza e di rivolta da parte degli abitanti verso quella stessa società borghese. Una profezia che si è auto avverata.

Il progetto venne elaborato negli anni ’72-’74 su incarico della Cassa per il Mezzogiorno da un gruppo di professionisti e docenti universitari (tra i quali Vincenzo Forino, Camillo Gubitosi, Alberto Izzo, Nicola Pagliara, Aldo Loris Rossi, Raimondo Taranto) coordinato dall’Arch. Franz Di Salvo.

I servizi non arrivarono mai ma arrivano abusi, abusivismo e soprattutto il terremoto. Nel maggio del 1980 il Comune di Napoli, pressato da una fortissima spinta sociale, assegnò una gran parte di alloggi anche se ancora privi degli indispensabili allacciamenti ai servizi pubblici (acquedotto e fognatura comunale, gas, luce). Dopo il terremoto, non rispettando le graduatorie, si verificò un’ondata di occupazioni abusive ed ancora un’altra nell’ ‘82, la quale trasformò i piani porticati in abitazioni di fortuna, creando nuove baracche dentro un’opera di architettura moderna.

Le provenienze di questa popolazione sono per la gran parte dal centro antico e storico della città, dai quartieri Sanità, San Carlo all’Arena, ma anche dalle baraccopoli di San Giovanni a Teduccio.

Una popolazione, dunque, monoclasse in larga misura disoccupata, proletariato, sottoproletariato anche se con piccole fasce di livello impiegatizio e terziario.

Felice Pignataro

In questo contesto così difficile già operava Felice Pignataro (Roma 1940, Napoli 2004) con la moglie Mirella. Insieme nel 1981 fondarono l’associazione Gridas (gruppo risveglio dal sonno, con riferimento alla frase di una delle incisioni della “quinta del sordo” di Francisco Goya: “el sueño de la razon produce monstros”), dal sito:

Dal 1967 ha portato avanti, insieme alla sua compagna Mirella, una controscuola per i bambini delle baracche, prima al Campo A.R.A.R. di Poggioreale, poi all’I.S.E.S. di Secondigliano.  Sposatosi con Mirella nel 1972, si è stabilito definitivamente a Scampìa (periferia nord di Napoli) da dove ha continuato a mettere le sue enormi capacità artistiche al servizio degli “ultimi”.

 

Nel 1981, con Mirella e altri, ha fondato l’associazione culturale GRIDAS (gruppo risveglio dal sonno) allo scopo di offrire strumenti per risvegliare le coscienze assopite. Nell’ambito delle attività svolte con il GRIDAS si è caratterizzato come il più prolifico muralista del mondo (definizione data da E. H. Gombrich, del Warburg Institut di Londra) realizzando oltre 200 murales in giro per l’hinterland napoletano, ma anche nel resto d’Italia. Inoltre, ha creato a Scampìa il carnevale di quartiere divenuto una tradizione in oltre 30 anni di attività.  É stato un punto di riferimento importante per gruppi e associazioni in lotta che lo hanno trovato sempre disponibile a supportare le proprie battaglie con la sua poliedrica arte creativa.

Le Vele di Scampia si rifanno a modelli celebri nella storia dell’architettura come le Unités d’habitation di Le Corbusier e le strutture “a cavalletto” ideate da Kenzo Tange (autore anche del quartiere Librino alla periferia di Catania). Alla base di tutti questi riferimenti vi era un’utopia sociale ed abitativa in cui gli spazi individuali venivano inseriti in un ampio contesto di aree comuni andando a favorire il senso di comunità e creando in un solo edificio una ‘macchina abitativa’ simile ad una città modello, aree verdi e grandi vie di scorrimento.

Un progetto simile a quello delle Vele è il complesso residenziale di Villeneuve Loubet, a metà strada tra Nizza e Antibes, in Francia, progettato negli anni ’60 dall’architetto francese André Minangoy. Conosciuto con il nome di Marina Baie des Anges, il progetto francese ripropone la forma di immense vele bianche, alte fino a 70 metri, ma sviluppate lungo il mare della Costa Azzurra, collegate da infrastrutture pubbliche e dotate di tutti i servizi e le attrezzature di un nuovo centro urbano. Le quattro piramidi di Villeneuve Loubet, che ospitano circa 1500 alloggi sono annoverate infatti nel “Patrimonio del XX secolo”.

Tra il 1997 e il 2003 sono state abbattute tre delle sette strutture iniziali, lasciando in piedi le restanti quattro strutture. La decisione di agire su una situazione di forte degrado fu presa sul finire degli anni Ottanta, sostenuta e dalla popolazione che denunciava le gravi condizioni delle Vele. La prima a cadere fu la Vela F, demolita con le ruspe nell’agosto 1998, dopo un primo tentativo con esplosivi fallito nel dicembre 1997 (ne cadde solo una parte, lasciando i piani più alti praticamente intatti e in bilico sulle macerie sottostanti). La seconda fu la Vela G, la cui demolizione fu eseguita nel febbraio 2000. La Vela H verrà invece abbattuta nell’aprile 2003. I primi due interventi furono eseguiti e coordinati dalla giunta comunale guidata dal sindaco Antonio Bassolino, il terzo da quella presieduta da Rosa Russo Iervolino.

Nel 2016 una delibera comunale ha previsto l’abbattimento di tre vele e la riqualificazione della quarta, la vela azzurra. Nel 2019 Il Comune ha lanciato il progetto Restart Scampia finanziato con 27 milioni di euro che prevede l’abbattimento di tre vele e la riqualificazione del quartiere, ristrutturando la vela celeste, che ospiterà gli uffici della Città Metropolitana, ovvero l’ex Provincia di Napoli.

Nel 2008, Matteo Garrone decide di trarre dal romanzo di Roberto Saviano “Gomorra” un film. Le Vele, rimaste li come fantasmi, diventano un set cinematografico e da allora, si susseguono film, serie e documentari, e anche (sig!) dei “Gomorra Tour” al modico prezzo di 60 euro a persona (cercare su google per credere).

Un tipo di turismo che tende a rafforzare il pregiudizio che attanaglia alcuni quartieri e gli fa quasi più male del muro pieno di umidità e del bus inesistente, perché si innesta nel pensiero e trasmette nelle menti l’immagine stereotipata di un luogo.

Tuttavia la maggioranza delle persone di Scampia (che ha circa 60 mila abitanti) non ha alcun contatto con la criminalità, ma ne subisce comunque le conseguenze, per due volte.

La prima, è quella di vivere obbligatoriamente accanto ala camorra. La seconda, perché è sporcata dalla fama che la criminalità ha dato al quartiere.

Le organizzazioni criminali agiscono da vero antistato, provvedendo anche al sostentamento delle famiglie degli affiliati, finiti in carcere o uccisi nelle faide.

In tutto questo nel 2003 inizia il fatto noto come “prima faida di Scampia” (anche faida di Secondigliano) una guerra di camorra combattuta soprattutto nel quartiere che ha coinvolto una serie di clan napoletani: da una parte i Di Lauro di via Cupa dell’Arco a Secondigliano (capeggiati da Paolo Di Lauro), dall’altra la frangia dei cosiddetti “scissionisti”, anche detti “gli spagnoli” (perché con base operativa in Spagna), gruppo nato da una costola degli stessi Di Lauro (capeggiati da Raffaele Amato). Una terribile guerra intestina che lascia a terra per mano di clan avversi tra il 2004 e il 2005, 84 persone legate alla criminalità ma anche tre persone uccise per errore. Lo stadio di calcio inaugurato a Scampia da poco tempo, è stato intitolato a Antonio Landieri, vittima innocente di camorra.

Quando tutto sembra perduto, i sogni dell’utopia disseminati dalla fine degli anni Sessanta da Pignataro, in realtà resistono e si fanno concretezza. A Scampia già dagli anni Novanta si fanno passeggiate nel verde grazie a delle sezioni di Legambiente animate da Aldo Bifulco del centro “La Gru”. Perché nel verde? Perché Scampia è il quartiere con più polmoni verdi di tutta Napoli.

E poi a seguire, e in parallelo nascono, altre realtà associative, al seguito della pionieristica esperienza del Gridas, amati e rispettati a Scampia (non è difficile incontrare bandiere con scritto “Nessuno tocchi il Gridas”).

In questo contesto socio-economico nasce nel 2002, come gruppo informale, l’associazione “Chi Rom e chi no” che lavora intorno all’idea della città come luogo di condivisione e crescita collettiva, pensando alla periferia come spazio laboratoriale in cui realizzare azioni culturali, artistiche e sociali con i suoi abitanti. A partire dal nome e dal doppio significato dello stesso in italiano: «chi è rom e chi non lo è» e in napoletano «chi dorme e chi non dorme», inizia un percorso.

Parallelamente all’associazione, nasce “Arrevuoto” un progetto di teatro e pedagogia che opera tra le periferie ed il centro di Napoli. Il loro slogan è “Only connect” il metodo è quello di unire giovani adolescenti e non solo. Nel 2014 si inaugura “Chikù gastronomia cultura tempo libero” su iniziativa di Emma Ferulano, uno spazio multiforme di sperimentazione imprenditoriale, sociale, culturale, pedagogica e gastronomica (è l’unico ristorante di cucina balcanico napoletana in Italia) in cui si uniscono le anime di “chi rom e…chi no” e de “La Kumpania” impresa sociale e inclusione lavorativa tra rom e italiani.

Chikù.

Chikù si trova al di sopra dell’Auditorium di Scampia con vista panoramica sulla villa comunale (si veda la foto di copertina dell’articolo). Chikù è accanto al Municipio e al Commissariato di Scampia, a 15 minuti a piedi dalla Stazione della Metropolitana di Piscinola – Scampia e a 10 minuti d’auto dall’Aeroporto Internazionale di Napoli-Capodichino. È raggiungibile dalla stazione Garibaldi con la linea 1 della Metropolitana, fermata Piscinola-Scampia e con il bus R5.

Nasce il “Progetto Pangea” col suo “Giardino dei cinque continenti e della nonviolenza” un percorso di educazione alla nonviolenza nelle 6 aiuole di Largo Battaglia a Scampia. Il “Progetto Pangea” prevede la collaborazione di associazioni, scuole superiori e cittadini. Il giardino è in corso di realizzazione e ogni aiuola è stata abbinata a uno dei cinque continenti e la restante all’area del Mediterraneo. In ciascuna di esse vengono piantate essenze specifiche di quel dato continente.

Progetto Pangea.

Il “Progetto Pangea” è autofinanziato dai partecipanti e da liberi contributi sia economici sia materiali (piante, terriccio, attrezzature da giardinaggio) per creare un presidio fisso con attrezzature di giardinaggio a disposizione delle realtà territoriali impegnate nella cura di questo e di altri spazi verdi pubblici.

In paleogeografia, la Pangea (dal greco “tutta la terra”) è il super-continente che si ritiene includesse tutte le terre emerse della Terra durante il Paleozoico e il primo Mesozoico.

Progetto Pangea.

La scritta colorata sul muro che accoglie appena si entra nel parco dei 5 continenti, “Simm tutt’uno”, vale più di qualsiasi sintesi.

Tutte queste realtà associative, ricreative, culturali, naturalistiche, gastronomiche, si trovano nel quartiere di Scampia, Napoli, a 7 km a piedi dalla centralissima via Toledo tra shopping, brand, pizza fritta e babà.

Perché come diceva Giordano Bruno “L’universo è tale che ogni punto è al tempo stesso, centro e periferia” e il panorama di Scampia non è gomorra, come hanno raccontato la moglie di Pignataro, Mirella, la figlia Martina, Emma Ferulano, Aldo Bifulco ad un gruppo di soci di Ottavo Colle provenienti da Roma, Milano, Foligno, Napoli stessa. Mentre molti partiti politici si riempiono la bocca di “riqualificazione delle periferie”, le persone continuano a fare la differenza.

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Irene Ranaldi

Irene Ranaldi

Irene Ranaldi è dottore di ricerca in teoria e analisi qualitativa presso la facoltà di Sociologia della Sapienza di Roma. È presidente dell’associazione culturale "Ottavo Colle" che promuove il turismo locale nei quartieri periferici delle città. È giornalista, ha svolto ricerche principalmente sul rapporto tra identità locale e mutamento sociale e ha pubblicato numerosi articoli in riviste scientifiche su temi riguardanti la sociologia urbana, con un particolare focus su gentrification e trasformazioni urbane e sul rapporto tra globalizzazione e città. È autrice di "Testaccio, da quartiere operaio a village della capitale" (Franco Angeli 2012), "Gentrification in parallelo. Quartieri tra Roma e New York" (Aracne 2014) e "Passeggiando nella periferia romana. La nascita delle borgate storiche" (Iacobelli 2018)

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